L’enunciato “Faccio ciò che mi sento”si inserisce nei luoghi comuni che popolano le nostre fantasie.
“Mi sento”…Ma che vuol dire questo “sentire”?
Ciascun incominciamento di un fare comporta la rispettiva resistenza, ovvero una sorta di forza che si oppone al movimento che stiamo mettendo in atto. Occorre ricordarsi quello che scrive Freud sul “principio di piacere”: Il principio di piacere è la perfetta stasi, ovvero non fare nulla, ovvero il ripristino della inerzia pulsionale, ovvero la morte.
Infatti ogni movimento che attiva la pulsione disturba questa inerzia che chiede di far rimanere immobile ogni particella del nostro corpo, ogni spinta al movimento e quindi ogni trasformazione. Il movimento è dunque, per il principio di piacere, una assenza di piacere, un dis-piacere.
Quindi quando qualcosa ci provoca e mette in moto la pulsione si attiva anche la resistenza che ci fa muovere sulle corde parallele della spinta che porta avanti e quella che porta indietro.
Se ne deduce che il fare non sia esente da difficoltà anche psichica, ovvero anche senza incontrare ostacoli esterni si viaggia con gli ostacoli psichici strutturali che ci “abitano”.
A questo punto si capisce come la frase: faccio quello che”mi sento” si possa tradurre con “Faccio quello che il principio di piacere mi obbliga a fare, cioè evito le diversità, il movimento e la sensazione di difficoltà che avverto nel muovermi.”
Per questo ogni cosa, se la si sottopone al principio di piacere, diventa un ostacolo, un limite, un disturbo, una cosa da evitare per poter continuare a condurre, sui binari che ci siamo costruiti negli anni, il solito percorso, ovvero un percorso che abbiamo costruito per evitare di trasformarci. Si potrebbe enunciare in questo modo: “Faccio solo quello che mi renderà sempre uguale, ovvero eviterò di mettermi in gioco, di interrogarmi, di intendere cosa sto facendo, perché voglio continuare a muovermi solo per riuscire a stare fermo!”
Negli anni ci si costruisce quel tipo di routine, alimentata da rinunce o di soddisfazioni solo vissute in mondi paralleli, alternativi, immaginari o nascosti, trasgressivi che, proprio perché non esposti alla luce del sole, riescono a farci camminare nella vita mantenendo tutto in una apparente normalità sociale richiesta da un tipo di società borghese o moralizzante.
Queste vite procedono dal principio di piacere, ovvero non si espongono al rischio della catastrofe, ovvero della svolta necessaria a riprendere il percorso che magari si era iniziato da adolescenti, con progetti e visioni che esprimevano i nostri desideri, con la scommessa di trovare nel futuro un modo inedito e specifico per realizzarli.
Non è vero che i sogni non si realizzano. Solo che si realizzano nella variazione che impone la materia, l’importante è che questo rimanga sulle corde delle norme, delle regole e dei motivi, corde sulle quali cammineremo oscillando come funamboli ebbri delle esperienze che incontreremo.
I sogni sono necessari perché esprimono, seppur in modo non troppo ravvicinato, qualcosa del nostro desiderio inconscio, per questo motivo i sogni sono le tracce sulle quali scrivere la nostra vita. Proprio per questo ciascuna volta che si incontra una difficoltà, invece di mediare in continuazione, occorre cercare di tenere la barra sul proprio orizzonte e proseguire il viaggio, nel suo aspetto di variazione, ma sempre inseguendo la mappa dei nostri sogni. Alle volte ci si perde, ci si allontana, ma, se la tenuta è forte, se non ci si vuole accasare nella sicurezza e garanzia sempre mortifera, la strada la si riconoscerà, magari differente, perché tutto cambia, ma l’orizzonte ci apparirà sempre. Non rinunciamoci.
Invece, spesso, ci si arrende e ci si “adatta”alle situazioni o, alcuni, si ricreano storie parallele, come dicevo, fantasmatiche o trasgressive.
Vi è nella vita un punto o più snodi, nel quale si sceglie la propria direzione. O proseguire, tenendo conto del nostro specifico, scegliendo la luce del sole e la battaglia che ne consegue per affermare i nostri progetti o piegarsi alla rinuncia evitando la lotta per la propria affermazione.
Certo è che la vita esige il coraggio, il rischio, un cielo sopra di noi per continuare a seguire il percorso.
Il nostro romanzo familiare lo scriviamo attraversando questi snodi, quando occorre rispondere con forza e coraggio invece di farsi coprire il cielo in nome di un tetto sicuro, certo che ci ingabbia.
Per questo, per tutto questo, occorrerebbe scappare a gambe levate dalla voce che ci dice: “Faccio quello che mi sento” o “Faccio quello che non mi da disturbo o difficoltà”, perché queste non sono che giri di chiave sul lucchetto che ci siamo creati per imprigionarci.
Roberta de Jorio ©centoParole Magazine – riproduzione riservata