Le cose si pensano, si dicono e si scrivono nel reale; queste le tre fasi che partecipano alla traduzione dalla fantasia al reale, a quel che di reale percepiamo, nel quale siamo immersi.
Senza queste fasi si rischia di rimanere nella fantasia, o meglio, di vivere, come fosse reale, nella fantasia, accontentandosi della “soddisfazione” fantasmatica del pensiero e spesso dell’enunciato verbale che sembra riconoscerlo e riconfermarlo.
Insomma, spesso si pensa, si dice, ma non si fa…
Come uscire quindi da questa en passe che paralizza il nostra fare?
Le cose si pensano, pensandole trovano una traduzione, tra le pieghe del dire, dicendosi le pieghe si dispongono al fare, facendole incontrano l’infinito.
Ma quando incominciare?
Adesso!
Quando esporre all’effetto della trasformazione del tempo che ricuce e riscrive in modo inedito i nostri pensieri e progetti?
Adesso!
Non vi è tempo del rimando.
Il tempo è quello attuale, né prima, né dopo.
Per essere e vivere nel tempo occorre non economizzare, non credere che il tempo si possa fermare o risparmiare.
Il tempo, se non si “abita”, si può solo perdere.
E di tempo perso, in tempo perso, si procede in una voragine di “assenza” di tempo, una sorta di limbo arredato dalla fantasia.
Ci si “sveglia” forse un giorno e ci si accorge del “tempo perduto”, ma è ormai troppo tardi, ciò che è perso è perso.
Ma ciascun momento è il tempo per ricominciare, il tempo del rinnovato “debutto”, un debutto interminabile.
Come fare? Il “come “ lo si incontra facendo e si specifica nel percorso. Non prima.
Come decidere?
La decisione non è la scelta.
Non si tratta di scegliere tra una cosa e l’altra, tra i soldi o il percorso, tra la madre o il padre, tra l’amore e l’odio, tra la quiete e il caos.
La nostra vita non è un percorso binario, non siamo computer.
Tra questo e quello c’è sempre Altro, c’è sempre l’inconscio, l’impossibile visione del “tutto”, l’impossibile supervisione delle cose, l’impossibile saperne.
Per questo impossibile saperne è ridicolo pensare di sapere ciò che si perde o ciò che si trova.
La vita è un continuo perdere e trovare, in una oscillazione dove coesiste questo e quello, “gam gam” come si dice in ebraico, ovvero le cose non sono in CONTRAPPOSIZIONE, le cose sussistono in contemporaneità, per questo non si possono neppure “mediare”: le cose sono irrimediabili, per questo portatrici di assoluto, di rischio, ovvero di vita. Ma occorre ascoltarle.
Quindi ogni fantasia di gestire le cose, il tempo, il fare, è destinato al fallimento e il sintomo ne è il testimone.
Oggi è il tempo, ora è il tempo.
Quando si pensa una cosa è il tempo di farla, di farla entrare nel nostra percorso, trovando il modo per accoglierla.
Lottiamo ciascun momento contro il principio di piacere che cerca di destinare le nostre forze pulsionale al pensionamento, per vivere tranquillo e fare il minimo sforzo. Gioia per lui, ma paralisi per noi.
La pulsione di vita, l’eros, ci spinge a reagire e su questo occorre puntare, senza lasciarci prendere dalle fantasie di “comodità”, di “tranquillità”, di omertà sul desiderio che spinge imperiosamente ad essere ascoltato.
Occorre dare “udienza” a ciò che chiede e esige di essere ascoltato, a ciò che si prenderà, in un modo o nell’altro la sua “soddisfazione”: o mettendo il corpo in scena o mettendo la scena, OVVERO IL SINTOMO, in corpo.
Roberta de Jorio ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.