“Vorremmo che l’intelligente guardi ed ammiri la tavoletta in Santi Apostoli, spremente la Comunione di santa Lucia, nella quale e gaiezza di tinte e armonia, ed espressione palesano nel Tiepolo un degno seguace ed imitatore del gran Veronese” (Zanotto, 1837). Gioiello architettonico del tardo Quattrocento, la cappella Corner della veneziana chiesa dei Santi Apostoli nel sestiere di Cannaregio è conosciuta soprattutto per la sua strepitosa pala d’altare: un dipinto, quello del Tiepolo, ricco di pathos drammatico dove la pennellata delicata mette in evidenza anche i pochi dettagli che alludono alla crudeltà del martirio.
Realizzata prima del rifacimento della chiesa (effettuato a partire dal 1575, su probabile progetto di Alessandro Vittoria), la costruzione della cappella era stata iniziata dopo il 1493 sotto la guida di Mauro Codussi (tra gli altri) e per volontà del procuratore “de citta” Giorgio Corner, appartenente al ramo della famiglia residente a San Maurizio. Il committente, dopo avervi fatto collocare il monumento sepolcrale del padre Marco, era stato tumulato nel 1540 proprio di fronte al genitore: a quel punto, i lavori potevano essere considerati conclusi (secondo le fonti, nello stesso contesto avrebbero provvisoriamente trovato posto anche le spoglie della regina Caterina di Cipro, successivamente trasferite alla chiesa di San Salvador). Sull’altare era stato inizialmente collocato un dipinto di Benedetto Rusconi detto il Diana, in loco fino al 1740 e includente anch’esso una rappresentazione di santa Lucia accompagnata da altre due figure devozionali: la descrizione piuttosto dettagliata di questa pala originale è riportata nell’ambito di una testimonianza del Ridolfi (1648) “Tavola di santa Lucia tolta di mezzo da due santi collocati in ricco ornamento finto di pietra” (una soluzione che ben si adattava alla decorazione del piccolo ambiente, in marmi policromi). Rimossa l’opera antecedente, emergeva la necessità di dotare la cappella di una nuova pala d’altare: la critica appare quindi piuttosto concorde nel collocare cronologicamente il dipinto del Tiepolo nel corso del quinto decennio del Settecento.
Per affinità stilistiche, è stata evidenziata la grande vicinanza di quest’opera ad un altro capolavoro del pittore veneziano: la pala dell’altar maggiore della chiesa di San Massimo a Padova (Pallucchini, 1968). Tuttavia, gli studiosi non sono ancora riusciti ad indicare una datazione precisa per il dipinto della cappella Corner: recentemente, è stata proposta una collocazione temporale della tavola tra il 1748-1750. Un grave danno alla copertura originale dell’edificio religioso aveva reso necessaria una lunga serie di modifiche volute dal parroco Angelo Maria Ropelli, che potevano dirsi concluse solo nel giugno 1753: nell’occasione di questo restauro – secondo l’opinione di alcuni studiosi – era stata probabilmente presa in considerazione anche la possibilità di commissionare all’ormai affermato Giovanni Battista Tiepolo la decorazione del soffitto della chiesa, incarico che egli avrebbe rifiutato in favore di un allievo meritevole, Fabio Canal. L’eventuale giustificazione per questa mancata commissione avrebbe potuto essere considerata come più che accettabile: nel dicembre 1750 il pittore partiva infatti per la località tedesca di Wurzburg, dove era stato chiamato ad affrescare la celebre Residenza, rientrando poi a Venezia nel mese di novembre 1753. Per allora la tavola Corner aveva già occupato il posto che le spettava: Albrizzi ne avrebbe successivamente dato notizia in una pubblicazione del 1772. Il committente de “L’ultima Comunione di santa Lucia”, procuratore Nicolò Corner, aveva imposto al pittore delle notevoli modifiche compositive rispetto alla soluzione ipotizzata nell’ambito del bozzetto originale del dipinto: d’altra parte, gli studiosi ritengono che la tavola dei Santi Apostoli sia, tra le opere del Tiepolo, quella che presenta le più grandi differenze rispetto alla proposta iniziale. Confrontando il modello – segnalato a partire dal 1909 (Momenti) e conservato presso le civiche raccolte d’arte del Museo del Castello Sforzesco di Milano – con l’opera finale emergono in modo chiaro le modifiche volute dal committente: gran parte dei personaggi sono differenti (ne vengono mantenuti intatti solo tre: il sacerdote, la santa, il chierico inginocchiato con il cero acceso), sparisce il coltello conficcato nella gola di Lucia (spostato sul pavimento, accanto al piatto d’argento che contiene i bulbi oculari strappati alla santa durante le torture), sparisce il carnefice ripreso di spalle e collocato in primo piano (sostituito dai ritratti dello stesso Nicolò Corner, della moglie e del figlio Giulio allora quindicenne: quest’ultimo per lungo tempo ed erroneamente identificato con Giandomenico Tiepolo). Le architetture invece rimangono pressoché intatte: in particolare, la critica ha evidenziato la bellezza dell’edificio classico dalle colonne verdi e della terrazza da cui si affacciano alcuni spettatori. Dal punto di vista dello stile e della composizione, come già ricordato, il dipinto deve molto alla lezione del Veronese: tuttavia, non passa inosservata anche una grande affinità compositiva con la celebre “Comunione di san Girolamo” del Domenichino, risalente al 1614 e conservata presso i Musei Vaticani, che secondo gli studiosi Tiepolo potrebbe aver conosciuto attraverso le incisioni (Bergamini). “L’ultima Comunione di santa Lucia” può perciò essere inclusa a pieno titolo nel catalogo delle opere migliori della maturità di Giovanni Battista Tiepolo: restaurata nel 1993, appare oggi nella sua versione originale, priva delle pesanti ridipinture ottocentesche e delle vernici ormai ingiallite. “I virtuosistici effetti di luce si caricano di un significato spirituale in relazione al nome stesso della santa (Lucia deriva da Lux = luce) come se la scena fosse illuminata da un raggio di quella luce soprannaturale che la giovane martire, cui sono stati strappati gli occhi, vede con la sua vista interiore” (Mariuz).
Nadia Danelon © centoParole Magazine – riproduzione riservata
[Un’inguaribile modernista: rubrica d’arte moderna a cura di Nadia Danelon]