La danza delle parole (elementi di psicanalisi): accenni all’inconscio

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Freud non aveva la verità, ma nel suo percorso, inciampa nell’inconscio, lo inventa.
Ascoltando i racconti di alcune donne si accorge che non tutto ciò che diciamo è sottoposto ad una logica comune; che vi è qualche cosa che ci spinge a fare, di cui non sappiamo, cioè, che non è conscio. Da qui il famoso enunciato: “l’Io non è padrone in casa propria”. Anche il termine “Io”, lui nota che è rivestito da fantasie, da proiezioni e si chiede: Cosa è l’Io ?
La sua deduzione è che l’Io è anch’esso una fantasia, un cercare il luogo dove erigere l’idea che abbiamo di noi stessi, un bisogno di identificarci, di localizzarci. Siamo preda delle immagini e per questo dobbiamo immaginare anche un Io, per saperne, gestirlo, conoscerlo, magari “scavando”.
Freud si accorge che non c’è profondo (termine molto usato in psicologia), bensì che le cose stanno adiacenti, consce e inconsce, e che basterebbe ascoltare, senza ricondurle al già saputo, per poterle sentire; senza doverle sottoporle ad un codice comune, escludendo o includendo all’occorrenza.
L’inconscio è nella parola, è strutturato come un linguaggio.
Non sentiamo perché, troppo spesso, usiamo frequenze stabilite, ma se cambiamo frequenze ascoltiamo dell’Altro; ecco l’inconscio: ciò che spesso non riusciamo ad ascoltare. Ed ecco perché la parola è importante, perché diciamo più di quello che pensiamo.
Freud scopre i lapsus, quegli “errori” che non sono errori e dicono, nonostante il nostro desiderio di padronanza. Anzi scopre che più c’è padronanza e più qualcosa sfugge alla “gestione”; scopre, ascoltando, che le fantasie “agiscono ” in noi come se fossero realmente accadute, quindi non è più importante scoprire se è vero o no. La fantasia agisce, si scrive nei ricordi come se fosse vera!

Cosa comporta questo? Che non solo ciò che abbiamo vissuto o viviamo ci condiziona, ma anche la “percezione” di ciò che ci appare segna tracce.
E il famoso carattere cos’è? Freud ne parla come un elemento che è specifico per ciascuno, differente come ci è dato nella nostra struttura molecolare, ma differente anche per come ciascuno la scrive; ovvero la differenza non è data una volta per tutte, ma si specifica nel percorso della vita, nel modo e nello “stile” con cui le percezioni e le esperienze si scrivono in noi. Quando una persona inizia una analisi, perché avverte un disagio, pensa di conoscere perfettamente il perché delle sue scelte. “Ho fatto questo per questo e poi ho deciso questo per questo…” etc. etc. Durante la conversazione lentamente viene a scoprire che non era per quel motivo, anzi era per un motivo opposto; perché si sentiva in dovere di accontentare Tizio o Caio o perché moralizzava talmente i suoi desideri da doversi comportare nel modo opposto e tante tante cose inimmaginate.

Questo per dire che ciò che pensiamo di fare in piena libertà e coscienza spesso è dovuto da un “ordine a noi sconosciuto”che ci spinge a muoverci in tale direzione.
Non sto parlando di istinto, poiché l’istinto appartiene più al mondo animale, parlo di pulsioni che ci spingono in direzione della soddisfazione. Trovare un modo legittimo che possa tradurre le pulsioni nella vita “reale” è il compito di ciascuno. Anche i grandi autori, poeti, artisti, sottostanno a queste pulsioni non consce, e le loro opere sono la scrittura di esse.
Questo non vuol dire fare quello che si vuole, passare all’azione per realizzare tutte le fantasie…no (a parte che non le conosciamo tutte, perché si rinnovano vivendo, si riproducono, si reinventano..); il lavoro che ci è dato fare è un lavoro intellettuale, per riscrivere, in bella scrittura, la nostra storia, partendo dalle spinte pulsionali che ci porgono, come una rete a strascico, il materiale che abbiamo accantonato inconsciamente e che si riannoda in mille figure e disegni e ai quali siamo legati per un godimento o una sofferenza, particelle delle nostre storie familiari, dei racconti, o di come gli abbiamo vissuti. Fantasie che hanno trovato dimora in noi dai primi momenti di percezione di questa vita terrena e che si sono stratificate nel tempo. Costruzioni di noi che spesso poggiano su luoghi comuni, pregiudizi, superstizioni, visioni familiari, tramandate da generazioni.
Ecco come si costruisce l’idea che abbiamo di noi…il famoso: IO SONO. Per quello che spesso mi piace ricordare che noi siamo in un divenire costante in una espansione che si diversifica mille e più volte, ma che noi ci ostiniamo, per ignoranza o per pigrizia, a contenere in un limitato e predefinito…IO SONO…!!!

Roberta de Jorio ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.

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