Spesso l’importanza delle cose è racchiusa nei particolari. Da sempre mi hanno affascinato, con quel loro modo di farti interessare a loro. Sono proprio queste increspature nella monotonia sensoriale, che amiamo e temiamo nello stesso tempo, che possono far reagire e produrre emozioni ed azioni di ogni sorta.
Chiunque di noi, anche il più freddo o cinico, si è certamente sorpreso ad interrompere tutto, guardando un tramonto od un mare in burrasca; un prato che ondeggia lievemente, come un oceano d’erba, in una calda giornata assolata; uno stormo di uccelli attraversare un alba.
Gli stimoli, le emozioni ci sfiorano, ci passano accanto, in continuazione; ma alle volte ci entrano dentro.
Sono i particolari di quel qualcosa che raggiunge i nostri sensi e che riesce ad entrare anche nella nostra anima, nella nostra coscienza. Quella coscienza, persa com’è il più delle volte, a controllare, a scansionare tutto quanto ci sta attorno, intenta a testarlo, a calcolarne i pericoli od i vantaggi per la nostra esistenza.
Sono due istinti primordiali che vengono a contatto: l’istinto di conservazione e l’astrazione emotiva che l’uomo possiede.
Sia uno che l’altro fanno parte della nostra vita e ci sono indispensabili: perché entrambi ci tengono ancorati ad un mondo: alla realtà, o almeno a quanto crediamo che sia, il primo; alla fantasia, all’ immenso, infinito abisso emotivo che si cela in noi e di cui abbiamo solo un minimo controllo: paure, piaceri, ricordi, speranze, incubi, mistero, tutto può essere scatenato, recuperato, coinvolto dai particolari.
Queste piccole parti di realtà di materia, di visivo o tattile, riaccendono la macchina biologica che pianifica la nostra esistenza basilare, coinvolgendo strati più alti di coscienza e percezione.
Da questo nasce la composizione anche delle opere d’arte; il più delle volte possiamo trovare quel “particolare” che ha creato l’immagine, l’interpretazione, la stessa ispirazione dell’artista. Forse l’apice maggiore di tutto questo processo è stato il Quattrocento ed il primo Cinquecento, il timido accenno e l’esplosione di quello che chiamiamo Rinascimento. Nelle opere quattrocentesche, che siano paliotti d’altare o primi veri e propri ritratti di principi, prelati o semplici ricchi mercanti, riconosceremo sempre un particolare, in questo caso divenuto simbolo: cosa sarebbe la Gioconda del Da Vinci senza il suo enigmatico sorriso o la Venere del Botticelli senza la grande conchiglia da cui sembra scaturire e schiudersi a noi?
In quelle epoche e persino nei due secoli successivi, particolari e simboli si sono spesso fusi in una geografia, appunto, simbolica della realtà, in una codificazione, a volte magica e cabalistica, di ciò che veniva presentato all’osservazione, sia del mistico che del profano: se andiamo a guardare una qualsiasi natura morta\Ritratto dell’Arcimboldo od un allucinante dipinto del fiammingo Jeronimus Bosch, riusciremo a scorgere solo una minima percentuale dei particolari, divenuti simboli, che i contemporanei degli artisti vi scorgevano: perché la triade, Particolare/Simbolo/Codificazione, faceva parte del messaggio del tempo.
Ora, nella nostra epoca, dove ogni spasimo culturale sembra essere rivolto alla gestione commerciale, al vendere e comprare al prezzo migliore, il particolare viene assunto da pubblicità e comunicatori di massa per attirare l’interesse del pubblico: bene lo sanno i grafici ed i creativi che svolgono il loro lavoro in questo campo, dove un simbolo, un particolare “logo” rappresentativo può o non può attirare l’osservatore. Ecco dunque ancora il misterioso fascino dei particolari; quegli indizi, che in qualsiasi thriller possono cambiare le indagini o la trama del racconto, allo stesso modo possono far nascere qualcosa in noi, alla vista di un particolare di un abito, di una foto o di un dipinto, il desiderio di capirlo, conoscerlo, possederlo.
Qualcosa si scatena, senza che nemmeno possiamo avere il tempo di metterlo a fuoco: una reazione chimica, simile all’attrazione, ci spinge verso un’emozione.
Ci sono persone che più sono affascinate, che più si sentono attratte dai particolari; che non possono non vederli o non amarli; che si adornano di abiti particolari, di arredi raffinati, di oggetti d’arte, di singolarità incontrate per caso: questi sono i collezionisti, d’ogni parte del mondo, nell’infinito universo di variazioni descrittive che lo stesso collezionismo è.
E ci sono gli artisti, anch’essi affascinati, a volte ossessionati da un particolare, da un tratto, da un esempio, da qualcosa che hanno visto, toccato o provato per strada; quel qualcosa che ha abbagliato, magari anche solo per un attimo la loro coscienze, spingendoli a crearne un eco che va da loro verso il pubblico e da questo rimbalza su altri ancora.
Io, ripeto, sono sempre stato affascinato dai particolari delle cose, più che dal loro tutt’uno: ancora adesso mi diverto, grazie alla tecnologia odierna, a ritagliare digitalmente mie vecchie opere, a ridurle in particolari sganciati dal tutto, spezzettandole in una ricerca molecolare visiva, sorprendendomi a creare in tal guisa nuove opere, anche se slegate dal contesto da cui provengono; ed altrettanto mi meraviglio come molto spesso i particolari riescano molto più interessanti, misteriosi e vivi dell’intero da cui provengono.
Pensiero questo che mi fa comprendere come anche tutto il resto non sia che fatto da innumerevoli particolari che assieme creano tutto ciò che ci circonda: miliardi e miliardi di minimi dettagli che come sfumature, intercorrono a creare la realtà, i suoi colori, i suoi profumi e sapori, la dolcezza di una seta nelle nostre mani o l’astratta melodia di uno stormo di note che viaggiano nell’aria fino a noi.
La vita stessa è fatta di quei particolari: a volte li chiamiamo ricordi, a volte paure, ma fanno parte di quell’incredibile puzzle, che giorno per giorno impariamo a ricreare ed a perfezionare; che molto spesso fatichiamo a rimettere insieme o decidiamo di cambiare, quelle mille sfaccettature che fanno parte del nostro pensiero e di tutto ciò che, alla fine, siamo e proviamo.
Roberto del Frate ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.