Dalla nave-laboratorio di Guglielmo Marconi a Papa Pio XII (Eugenio Pacelli), per arrivare infine alla famiglia Asburgo. Due storie. Due famiglie. Un legame.
Guglielmo Marconi giunge in Inghilterra – patria della madre – giovanissimo, non avendo trovato riscontro in Italia. Lì trova l’appoggio per poter proseguire i suoi esperimenti e ottiene il brevetto inglese per la telegrafia senza fili.
Nel 1897 fonda la sua prima società: la Marconi’s Wireless Telegraph Company, che produce gli apparecchi trasmittenti e riceventi e istruisce i tecnici per l’istallazione delle stazioni radiotelegrafiche. In Inghilterra un acquisto gli cambia la vita. Stiamo parlando di “Elettra”: la “candida nave che naviga nel miracolo e anima i silenzi eterei del mondo” – per dirla con le parole di Gabriele D’Annunzio – che porta il nome della figlia di Marconi.
Ai primi del Novecento, la nave in questione viene ordinata dall’Arciduca austriaco Carlo Stefano – Ufficiale dell’I. R. Marina – al cantiere Ramage Ferguson Ldt. di Leith, presso Edimburgo (Scozia), su progetto degli ingegneri Cox e King di Londra. I due realizzano una nave elegante, dalle linee pulite, con una prua slanciata in avanti a klipper con bompresso e una poppa stretta e rotonda; in coperta, invece, vi è una lunga tuga centrale in mogano e teak, con due alberi armati con rande.
L’imbarcazione può ospitare, oltre al comandante, sei ospiti, sei ufficiali, sei sottufficiali e diciotto marinai.
Il 27 marzo del 1904 lo yacht viene varato. Si chiama “Rovenska”, in ricordo della località sull’isola di Lussino (Croazia), dove l’Arciduca ha una lussuosa villa. L’imbarcazione viene intestata alla moglie, l’arciduchessa Maria Teresa.
Una settimana dopo le nozze, svoltesi a Vienna il 28 febbraio 1886, l‘Arciduca Carlo Stefano porta sua moglie, la Principessa Maria Teresa, a Lussingrande.
Al termine della cerimonia di benvenuto, i due reali visitano la chiesa parrocchiale, che diventa parte della loro vita religiosa fino alla fine dei loro giorni. Tanto che sia le loro figlie Eleonora e Renata, che il primogenito Karl Albrecht, fanno lì la Prima comunione. Nel 1899 tutta la famiglia si consacra al Sacro Cuore; in quest’occasione l’Arciduca dona alla chiesa la statua di legno del Sacro Cuore, mentre l’arciduchessa Teresa prende la chiesa sotto la sua tutela.
L’Arciduca Carlo Stefano, però, scopre Lussingrande già un anno prima, quando giunge sull’isola a bordo del suo piccolo cutter, “Palamida”, con l’intento di cercare il posto perfetto dove costruire la sua dimora estiva. A Lussingrande, nel 1885, acquista Villa Wartesee; mentre, nel 1886, Villa Podjavori, con tanto di Parco, diventa la sua residenza invernale. Nel corso degli anni viene nominato cittadino onorario, ma anche concittadino occasionale, molto amato dai lussignani.
La prima pietra della diga di Rovenska – il nome deriva dalla bora che “scava” la costa con forza – viene posta nel 1856 da Massimiliano d’Asburgo – fratello minore di Francesco Giuseppe – allora comandante della marina austro-ungarica, chiamato dalla popolazione isolana, per fare da padrino alla struttura.
Ritornando alla nave “Rovenska”: nel 1910, mantenendo lo stesso nome, viene comprata da Sir Max Waechter, passando sotto le mani di un inglese, per poi nuovamente essere venduta ad un’altra persona: Gustavus H.F. Pratt.
Con l’arrivo della Grande Guerra, la nave viene militarizzata e trasformata in nave da pattuglia e scorta.
A Guerra finita, lo yacht viene messo in disparte a Southampton, per poi venir messo all’asta. Nel 1919, per la cifra di 21.000 sterline, Guglielmo Marconi acquista il Rovenska. La nave, in seguito ad alcuni lavori di restauro, lascia la capitale inglese nel luglio dello stesso anno, al comando del comandante Raffaele Lauro, arrivando a Napoli nel mese successivo.
A La Spezia, sotto la direzione dell’ammiraglio Filippo Camperio, vengono apportate alcune modifiche all’imbarcazione, che diventa la nave-laboratorio di Guglielmo. A bordo vengono inserite trasmittenti e riceventi. Marconi, infatti, vuole una nave che gli consenta di effettuare le sue ricerche e i suoi esperimenti. Nasce così Elettra: una stazione mobile, sulla quale, ogni giorno, in solitudine, senza essere disturbato, lavora ai suoi progetti, sperimenta le onde hertziane corte e cortissime.
Per controllare l’efficacia delle trasmissioni, secondo la lontananza tra emittente e ricevente, i suoi esperimenti devono essere fatti a distanze diverse.
Durante la navigazione nel golfo di Biscaglia, gli ospiti della Elettra, grazie alla trasmissione dalla stazione broadcasting Marconi di Chelmsford, per la prima volta nella storia riescono a sintonizzarsi, per ascoltare via radio, dal Covent Garden di Londra, l’orchestra dell’Hotel Savoy di Londra e il soprano Nellie Melba.
Solo il 27 ottobre del 1921 il nome Elettra viene iscritto ufficialmente al compartimento marittimo di Genova con il numero di matricola 956, e di conseguenza al Real Yacht Club Italiano. Ma solamente il 21 dicembre passa definitivamente sotto la bandiera italiana.
Nei due anni successivi, l’Elettra, in America, diventa il luogo di alcune importanti sperimentazioni per le ricezioni a distanza. Il premio Nobel per la fisica, dimostra pertanto che un segnale può essere captato a oltre 4000 chilometri, con onde di 92 metri con potenza di 6 kw – quindi con trasmissione a potenza ridotta.
Su richiesta del Governo inglese, nel 1924, Marconi, sempre a bordo della sua Elettra, comincia a fare degli esperimenti con onde corte di 30-60 metri, con una potenza di 12 kw, coprendo la distanza di 4130 km. Vengono perciò realizzati i collegamenti radio ad uso pubblico tra l’Inghilterra e le sue potenze: Canada, Australia, Sud Africa e India.
Il miracolo avviene il 26 marzo del 1930, alle ore 11.03, quando Guglielmo Marconi, a bordo dell’Elettra, ancorata allo Yacht Club Italiano a Genova, attraverso un piccolo tasto – oggi conservato al Museo del Mare di Trieste – invia nell’etere gli impulsi che, dopo 14.000 miglia, giungono in Australia, accendendo le lampade del Municipio di Sydney.
Nel 1931, tra S. Margherita Ligure e Sestri Levante, Marconi inizia gli studi sulle microonde della gamma inferiore al metro. L’anno seguente viene realizzato il collegamento tra l’imbarcazione di Guglielmo e S.Margherita, e poi quello con il radiofaro di Sestri. Si crea, in questo modo, la possibilità per una nave di arrivare in porto – indipendentemente dalle condizioni atmosferiche – grazie alla rotta segnata dal radiofaro.
Poco prima di morire, nel mese di luglio del 1937, perfeziona il radiofaro a micro-onde. Il 20 luglio del 1937 il mondo della comunicazione perde un importante uomo: Guglielmo Marconi. Data che coincide con il compleanno di Elettra, sua figlia.
In quell’anno la nave viene acquistata per 820.000 lire dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, con l’intento di preservarla e conservarla. La Soc. Marconi, dopo un anno dalla morte di Guglielmo, dona allo Stato gli impianti che si trovano a bordo dell’Elettra.
Con l’imminente entrata in guerra dell’Italia, la nave viene portata da La Spezia, dove si trovava per i lavori di ripristino, a Trieste, città più “sicura”. È il 9 giugno del 1940. La nave resta sotto la protezione della S.p.A di navigazione Italia fino al giorno dell’armistizio: l’8 settembre del 1943. Ma a Trieste la situazione è diversa dalle altri parti d’Italia. E poco dopo l’Elettra viene acquistata dai tedeschi, ritornando così a “casa”. La nave diventa militare e il suo nome cambia in “G. 107” per poi mutare nuovamente in “N.A. 6”.
L’unica cosa che viene permessa di fare all’Italia, è quella di sbarcare le apparecchiature radio ed i materiali utilizzati da Marconi, con l’appoggio del capitano Zimmermann della Kriegsmarine.
Con il timore che anche questi importanti cimeli vengano sequestrati, il professor Mario Piccotti, mette i vari pezzi in diciannove casse, nascoste in posti diversi; e anche durante l’occupazione delle truppe titine nessuno riesce a scovare quei nascondigli.
Nel 1947 quasi tutte le apparecchiature vengono spedite al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.
Con la sigla “G 107”, la nave viene impiegata nel servizio di pattugliamento sulle coste dalmate. La sera del 21 gennaio 1944, giunge nella valle di Diklo, vicino a Zara; la mattina successiva i ricognitori aerei riescono ad individuarla. Diventa il bersaglio dei cacciabombardieri alleati.
Il suo relitto rimane abbandonato per lungo tempo. Il recupero di questa nave è quasi impossibile da concordare con la Jugoslavia. Appena nel 1959, con l’intervento del maresciallo Tito, su sollecitazione del nostro Ministro degli Esteri Antonio Segni, qualcosa inizia a smuoversi. Nel 1962, il maresciallo Tito consegna la nave al Governo italiano, senza pretendere nulla in cambio. Viene perciò riportata a galla e rimorchiata alla banchina del Cantiere S. Rocco di Muggia (vicino Trieste). Ma, purtroppo, l’idea di ricostruire l’imbarcazione, almeno esternamente, da parte del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, è vana: i costi sono troppo elevati e molti si oppongono al progetto.
In prossimità dell’anniversario della nascita di Marconi (1974), la nave viene nuovamente presa in considerazione, grazie alla sollecitazione da parte dell’ammiraglio Virgilio Spigai – Presidente del Lloyd Triestino – al Presidente del Consiglio dei Ministri on. Andreotti.
Nell’ottobre 1972, a Villa Griffone di Pontecchio, da parte del Direttore generale delle Poste e Telecomunicazioni, viene dato l’annuncio ufficiale della ricostruzione dell’imbarcazione.
L’anno seguente l’Arsenale triestino San Marco dovrebbe iniziare la riqualificazione dell’Elettra, ma si arriva alla tragica conclusione che la nave, viste le norme di sicurezza internazionali, non può che restare un semplice “galleggiante”, con l’impossibilità di navigare. A causa delle condizioni della nave, bisogna eseguire un lavoro sostanzioso. Il progetto si blocca nuovamente. Si pensa alla demolizione.
La triste fine avviene il 18 aprile del 1977, quando il relitto, messo in bacino, sotto la direzione dell’ing. Oddone, del Ministero, con la consulenza dello scultore Marcello Mascherini e di un architetto, viene definitivamente tagliato in varie parti. I pezzi della nave – a scopo museale – vengono spediti in vari posti d’Italia.
Una parte dello scafo si trova a Villa Durazzo a S.Margherita Ligure; il blocco poppiero (comprendente l’elica e il timone) al Telespazio di Fucino; la sezione trasversale nel parco di Villa Griffone a Pontecchio (BO), sede della Fondazione Marconi; la macchina alternativa e le caldaie al Museo Storico Navale di Venezia; la dinamo a vapore al Museo delle Poste e Telecomunicazioni di Roma; all’EUR, invece, è stata ricostruita la cabina; mentre molte della apparecchiature di bordo si trovano al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano.
A Trieste troviamo: al Museo del Mare la sezione trasversale centrale della nave, con due ancore, e apparecchiature tra le quali l’ecometro, alcune valvole ed il famoso tasto con il quale Marconi ha acceso le luci a Sydney; mentre la prua è collocata nell’Area di Ricerca di Padriciano – lo studio per la sistemazione della prua nell’AREA dello Science Park è stata affidata allo scultore Giò Pomodoro.
Un pezzo della fiancata è conservato presso il Palazzo delle poste di Mestre, mentre a Muggia la “Fameia Mujesana” conserva il tornio di bordo. Una parte dello scafo si trova al Circolo Marconi di Sydney.
Va tenuto presente che, grazie agli esperimenti e al lavoro di Marconi, gli sos inviati dal Titanic, nel 1912, quando il transatlantico è naufragato, hanno permesso di salvare centinaia di persone. Inoltre, con i radiofari è stato possibile guidare le imbarcazioni nelle entrate dei porti; e grazie al sistema del telegrafo senza fili – il 12 dicembre 1901 il telegrafo senza fili di Marconi collegava la sponda europea con quella americana dell’Atlantico – facilitare il commercio via mare.
La rivista “Times” di Londra ha definito Guglielmo Marconi “l’uomo più significativo della nostra epoca“.
A legare questa storia con quella degli Asburgo, e in particolare con la Principessa Irmingard di Baviera, non è soltanto il fatto che l’imbarcazione sia stata costruita per il volere di un Asburgo, ma è anche grazie ad una figura che è entrata nella vita di entrambe le famiglie. Si tratta di Eugenio Pacelli.
È il 13 maggio del 1917, quando Papa Benedetto XV nomina Vescovo Eugenio Pacelli, e nel contempo, Arcivescovo di Sardi in paritibus e Nunzio apostolico in Baviera. In quello stesso giorno, la Madonna di Fatima appare per la prima volta.
Mesi più tardi, il neo Vescovo confessa che mentre stava passeggiando nei Giardini Vaticani ha avuto modo di assistere al “miracolo del sole”– a mezzogiorno, del 13 ottobre 1917, molte persone, che si trovano alla Cova da Iria, presso la cittadina portoghese di Fatima, vedono il disco solare cambiare colore, dimensione e posizione, per circa dieci minuti. A causa di questo avvenimento, Papa Pacelli diventa molto devoto alla Madonna di Fatima.
L’incontro con Marconi avviene a Santa Marinella: il Cardinale Eugenio Pacelli, amico del Conte Francesco Bezzi-Scali, marito di Anna Sacchetti, frequenta molto la casa della famiglia Sacchetti a Santa Marinella; proprio lì, un giorno, conosce lo scienziato Guglielmo Marconi, futuro marito della Marchesa Maria Cristina Bezzi-Scali.
Nel 1931, a Santa Marinella, viene inaugurata la Stazione Radio (oggi Radio Vaticana) costruita da Marconi e da lui donata al Papa. In nome della bella amicizia che lega Marconi e Pacelli, quest’ultimo, nel 1930, a Civitavecchia, battezza Elettra, la figlia dell’amico. Madrina di battesimo è la Duchessa di Laurenziana, in rappresentanza della Regina d’Italia, Una volta diventato Papa XII, Pacelli dà ad Elettra la Prima comunione.
Ma Eugenio Pacelli è stato una figura importante anche nella vita della famiglia reale tedesca.
Il Principe ereditario Rupprecht di Baviera – figlio di re Ludwig III di Baviera e Maria Teresa Enrichetta d’Asburgo-Este – si sposa in prime nozze con Maria Gabriella, della famiglia reale bavarese, con la quale ha tre figli e una figlia; tutti questi, ad eccezione di Albrecht Luitpold, muoiono in tenera età. Anche Maria Gabriella muore giovanissima.
Nel 1921 Rupprecht di Baviera si sposa nuovamente con la Principessa Antonia di Lussemburgo. A sposarli, nel castello di Hohenburg, è Eugenio Pacelli, che successivamente viene nominato Papa Pio XII.
Dal loro matrimonio nascono sei figli: Heinrich Franz Wilhelm, Irmingard Marie Josefa, Editha Marie Gabrielle Anna, Hilda Hildegard Marie Gabriele, Gabriele Adelgunde Marie Theresia Antonia e Sophie Marie Therese.
Nel castello di Hohenburg a Lenggries, nel 1922, Heinrich, il primo figlio della coppia, viene alla luce; mentre il 29 maggio 1923, poco prima dell’alba, nel castello dei Wittelsbach di Berchtesgaden, nasce Irmingard. Sua madre, la Principessa Antonia di Lussemburgo, ha 23 anni. Nel castello c’è un gran fermento.
Il battesimo della piccola Irmingard si svolge nella chiesa di Berchtesgaden. A celebrarlo è il Nunzio apostolico Eugenio Pacelli; mentre la madrina è la zia Marie José, Contessa di Baviera.
Negli anni seguenti nascono altre quattro figlie. Nel 1924 viene alla luce Editha – nasce durante un soggiorno della Principessa di Lussemburgo da sua madre, nel castello di Hohenburg – che viene anch’essa battezzata da Eugenio Pacelli.
Negli anni Quaranta la famiglia lascia la Germania per recarsi in Italia, evitando così i conflitti con le autorità naziste. Gli anni della Seconda Guerra Mondiale li trascorrono tra Roma, Firenze e Padova.
In questo periodo l’amico Eugenio Pacelli – diventato nel frattempo Papa Pio XII – li riceve in Vaticano. “Il santo Padre è stato molto cordiale; ha parlato con ognuno di noi e ci ha chiesto informazioni riguardanti i parenti ed il personale che aveva conosciuto al castello di Hohenburg a Berchtesgaden e a Monaco. E si è pure ricordato del mio cane Wipp” – queste le dolci parole della Principessa Irmingard che si possono leggere nell’autobiografia “Prinzessin Irmingard von Bayern: Jugend-Erinnerungen. 1923-1950”.
Il 20 luglio (data del compleanno di Elettra Marconi e della morte di suo papà Guglielmo Marconi) del 1950, presso il castello di Nymphenburg, a Monaco di Baviera, la Principessa Irmingard sposa Ludovico di Baviera, con il quale ha tre figli: Luitpold, Maria e Filippa.
Il casato Wittelsbach, la famiglia del Principe Luitpold di Baviera, da circa 700 anni, gioca un ruolo importante per la cultura birraria bavarese e tedesca. Conosciute e apprezzate non solo dai tedeschi sono le birre della König Ludwig, prodotte dalla famiglia Wittelsbach. Ma questa è un’altra storia.
Ringrazio il velista Gianfranco Oradini per l’intervista “Gianfranco Oradini: dalla Principessa Marconi ai progetti ecosostenibili”, dalla quale sono nati gli spunti per questo articolo.
Nadia Pastorcich ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.