Sono stato allevato come un ninja dell’arte. Quando avevo quattordici anni mio padre, anch’egli pittore, era solito addestrarmi nelle maniere più rudi: una delle cose che ricordo con certezza era questa scena: si alzava dalla sua sedia di lavoro, emergendo dalla sua nuvola permanente di fumo di sigarette, e mi si avvicinava minaccioso con un pennello; poi l’immergeva tra dei colori, apparentemente a caso, ne impastava le tinte, e tracciava improvvisamente delle grandi strisce sul muro bianco della parete dello studio. Poi mi veniva vicino, molto vicino, e, guardandomi fisso febbrilmente, negli occhi, pronunciava, altrettanto minaccioso, queste parole, mostrando i segni sul muro: “ Stesso colore…Subito! Hai un minuto!!”
Ed io, in fretta e furia, dovevo trovare la stessa tinta sulla tavolozza, quel colore combinato a caso, senza permettermi di sbagliare, se no erano guai.
In quegli anni di apprendistato ho imparato tante cose. L’atto stesso della creazione mi ha sempre affascinato. Lo guardavo per ore dipingere, mio padre…Vedevo nascere dal nulla paesaggi e marine, mercati rumorosi e festanti, cieli, nuvole, tramonti accesi ed infuocati: era magia, pura magia.
Lo scrittore argentino Borges affermava che esiste un parallelismo tra lo scrivere ed il sognare. Io sono arrivato a pensare che non solo ne esiste uno anche col dipingere o disegnare, ma uno con tutte le forme d’arte e creazione del pensiero.
In effetti la realtà, così come la conosciamo, ci perviene attraverso i nostri sensi; di volta in volta la decodifichiamo secondo un metro conosciuto, a cui ci siamo abituati fin dai primi giorni di vita.
È risaputo che ogni bambino è potenzialmente un artista ed un creativo: in effetti da piccoli siamo bravissimi come attori sul palcoscenico del gioco, quasi che fosse un nostro habitat alternativo e si confondesse con la vita “reale”: sappiamo inventarci qualunque storia ed interpretarla da compassati attori, alla perfezione: siamo ora un capitano dei pirati, ora un eroe, od una eroina; un astronauta, un conquistatore dello spazio, un cacciatore di vampiri, od una spia internazionale.
Per noi una scatola di cartone può divenire un’astronave, un manico di scopa, una lancia fatata;
un piatto, il timone di un vascello fantasma, un ombrello una spada: nulla è impossibile per noi, quando lasciamo andare a briglie sciolte la fantasia e l’immaginazione: non ci sono confini.
Ed è meraviglioso vedere come tra bambini, riusciamo a comunicarci nei giochi, quelle emozioni; come sappiamo vivere ed assaporare quelle storie di cui siamo protagonisti ed autori al tempo stesso, e che costruiamo via via, in tempo reale, tutti assieme.
Questa immensa dote, questa genialità, la perdiamo lungo la via della crescita, nello sforzo di allinearci al pensiero comune, di essere accettati a tutti i costi, nel divenire, appunto, “adulti”.
Ma in fondo non la dimentichiamo mai del tutto: nel sogno, nella costruzione onirica, ogni notte ne recuperiamo una parte: in una nuova dimensione, in un mondo tutto nostro, a volte simile a volte del tutto diverso da quello della veglia, sappiamo ricreare, appunto e di nuovo, un teatro, un palcoscenico dal nulla; sogni e paure, ma anche storie incredibili ed avvincenti, così come spettrali ed angosciose avventure; ma sempre e comunque cariche di creatività ed immerse nella fantasia.
Ecco che il parallelismo con il sogno si innesta nella funzione creativa di chi scrive, compone o crea comunque arte e pensiero.
Possiamo quindi dire che l’artista è un sognatore “materiale” anche in questa realtà, in quella della veglia, e che riesce a trasferire almeno in parte quelle emozioni, anzi quel modo così naturale di trasferirle, che avevamo da bambini, nella sua vita di adulto e di farcene partecipi attraverso la sua produzione artistica.
L’atto creativo diviene per tanto un trait de union tra sogno e realtà, un passaggio tra i due mondi: sogno e materia si fondono, le due esperienze trovano una simbiosi su una tela, su un foglio od uno spartito: l’arte ha dunque questo magico dono di farci tornare bambini, sia che l’inventiamo, che la trasmettiamo direttamente, sia che siamo pronti a riceverla.
Chi si accosta ad essa con disponibilità ad accoglierla nel suo intimo, ne avverte subito la voce:
per esempio in ogni quadro, in ogni opera, v’è celato qualcosa; qualcosa di particolare, di misterioso, di affascinante che riguarda una parte di noi; o meglio dire, qualcuno di noi.
Questo è il motivo per cui una persona si accalora per un dipinto piuttosto che per un altro; perché si affascina di fronte ad una tela in particolare: perché in quell’opera si riconosce, trova un suo ricordo, un’emozione che magari provava da bambino e che prepotentemente riaffiora alla superficie.
Anche in questo risiede il potere dell’arte, nella sua capacità di riavvicinarci a momenti perduti, ad emozioni nascoste e celate da una razionalità a volte impostaci dal contingente di tutti i giorni; e che ci riunisce ad una fantasia, ad una immaginazione che non riusciamo più a permeare o ricreare, quasi vergognandocene nella nostra vita di adulti.
E, per concludere, potrei arrivare a dire che quindi non solo l’atto stesso della creazione ci collega al sogno, che è a sua volta arte, in sé stesso; ma che il sogno stesso è anche vita; e che vivere, in un certo qual modo, può essere inteso come sognare.
Ed è bello immaginare così la nostra esistenza, questa nostra vita come una forma di sogno che costruiamo lungo la strada, qualunque essa sia e dovunque essa ci porti: vita e sogno dunque si mescolano, gioco e realtà si fondono tra loro: un modo diverso, forse migliore di intendere le cose, non dividendo, ma riunendo l’adulto al bambino, che da sempre sopravvive in noi ed altro non aspetta che riemergere.
Roberto del Frate ©centoParole Magazine – riproduzione riservata