Passeggiando per le strade del centro di Roma, vicino a Piazza del Popolo, non si può non notare un negozietto sull’angolo tra via di Ripetta e via del Vantaggio.
Teste, occhi, pezzi di bambole riempiono la vetrina. Di primo impatto non si capisce di che cosa si tratti. Avvicinandosi, l’immaginazione inizia a scorrere in un flusso ininterrotto di interrogativi.
Bambole accatastate, impolverate con il passare degli anni; affascinanti e macabre nel contempo.
Vicino alla porta d’ingresso c’è una targhetta che riporta “Restauri Artistici Squatriti”.
Sbirciando dal vetro si intravedono due persone assorte nel loro lavoro; un lavoro artigianale, antico; un lavoro che si fa con le mani e tanta passione. Non resta che entrare nella bottega.
Ad accogliermi, con un accento romano, che mi fa subito assaporare l’essenza di questa terra eterna, è Federico Squatriti.
Subito mi racconta che questa bottega è stata aperta da sua nonna Concetta Pesci, perché voleva assicurare ai figli Mario (padre di Federico) e Renato un lavoro nell’Italia del dopoguerra. Siamo nel 1953. Ancora oggi Federico porta avanti questa attività assieme a sua mamma Gelsomina (detta Gelsy).
Gli antenati della famiglia paterna di Federico lavoravano nel teatro; un’arte anche allora precaria. Antonio Petito, lontano parente di Federico, era infatti conosciuto per le sue interpretazioni della maschera di Pulcinella. Il nonno di Federico, Vincenzo Squatriti (in arte Enzo Petito), il marito di Concetta, invece, recitò nella compagnia di Eduardo De Filippo. Nella bottega c’è anche una foto che testimonia questo fatto.
Ma lascio che sia Federico a raccontarvi la storia di questa bottega alquanto particolare, nel cuore di Roma.
Sua nonna Concetta era la mamma di…
Di mio padre. Lei aveva due figli: mio padre e mio zio e tutti e due hanno fatto questo lavoro. Mio padre qua, in questa bottega, mio zio, invece, in giro per il mondo. Anche mio cugino fa tuttora questo tipo di lavoro, ma da un’altra parte.
In quegli anni c’era tanto lavoro e mia nonna aveva bisogno, oltre che di mio padre e di mio zio, di altri ragazzi che lavorassero con lei; quindi ne prese alcuni, tre o quattro. C’era anche un’altra mia cugina.
Questi ragazzi che lavoravano qui, poi hanno preso altre strade: hanno aperto anche loro dei negozi, posti dove restauravano, specializzandosi successivamente chi nella vendita, chi in un altro tipo di restauro; altri, invece, hanno smesso completamente. Certamente hanno ricevuto un bell’impulso.
Questo mestiere sua nonna dove lo ha imparato?
Subito dopo la guerra, c’era un negozio qui vicino che faceva restauri in generale. Mia nonna e i suoi due figli, mio padre e mio zio, sono stati là per un periodo per assaporare l’ambiente. Non era una cosa così tecnica come adesso: bastava avere voglia di fare e un po’ di manualità ed era fatto.
Ci sono rimasti sette anni per imparare il mestiere, non un giorno. Poi nel 1953 hanno aperto qua.
Fate restauri in generale o siete specializzati in qualcosa di particolare?
Facciamo restauri di ceramiche, porcellane, maioliche, terracotta, gesso; non facciamo né il vetro né il metallo. Rientrano anche le bambole: alcune hanno la testa di porcellana; altre, invece, sono di composizione, quindi cartapesta, metalli vari, e noi facciamo anch’esse.
Oggetti in legno li restaurate?
Piccole cose: dato che ci sono tante persone che restaurano cornici e mobili, sarebbe da una parte come portare via loro il lavoro, dall’altra se uno ha lavorato sempre suoi mobili, sa quello che deve fare. Però, se qualcuno ci porta una cornicetta in legno, un piccolo oggettino, lo facciamo senza problemi. I colori che si utilizzano, il modo di fare, alla fine sono sempre gli stessi; le due cose sono affini. Possiamo lavorarci.
Lei è riuscito ad imparare questo mestiere da sua nonna?
Era un po’ vecchiotta (ride); l’ho imparato specialmente da mio padre e da mia madre che ancora oggi lavora qui con me.
Sua mamma quando è venuta in questa bottega?
La mamma è venuta qui, quando si è sposata con il babbo. La mia famiglia è metà toscana e metà romana. Durante la guerra molta gente di Roma tendeva a cercare un po’ di ristoro fuori dalla città; perciò mio padre capitò in Toscana. Ci è andato per più volte e poi alla fine si sono sposati e la mamma è venuta a stare a Roma, e ha iniziato a lavorare qui.
Con il passare del tempo, com’è cambiata la clientela?
Adesso viviamo in un periodo un po’ di abbassamento, non solo per il restauro, bensì per tutte le arti. All’inizio c’erano solo le famiglie nobili di Roma che avevano pezzi molto importanti; dagli anni Sessanta-Settanta in poi, quando c’è stato – questo me lo raccontava mio padre – il boom economico, anche le altre persone hanno cominciato a fare piccole collezioni, che non erano naturalmente al pari di quelle delle famiglie nobili.
Con l’ampliarsi dei tipi di collezionismo la gente ha portato a riparare da noi tante cose, che magari, all’epoca, non erano collezioni, ma che sono nate in un periodo di benessere.
Ma il comportamento dei clienti com’è mutato negli anni?
A grandi linee i clienti, da noi, sono sempre stati gentili; c’erano persone che se non potevano ritirare per tempo l’oggetto che avevano portato a restaurare, mandavano un bigliettino di scuse
In generale, una volta, c’era meno battibecco; oggi, invece, le persone sono più portate al litigio, e lo si vede anche in televisione. C’è un grande senso di aggressività, che una volta o non c’era o era latente, oppure non emergeva perché era una cosa sconveniente. C’erano delle regole.
L’oggetto più strano che ha restaurato?
No, beh, qua è l’oggetto più non strano, potremmo dire. Ci portano da riparare veramente di tutto e di più!
Per riparare una bambola cosa bisogna fare?
Prima di tutto portarla qui. Guardiamo qual è il problema; vediamo se possiamo risolverlo; proponiamo al cliente le varie soluzioni con i relativi prezzi. Se una bambola è molto rovinata
diciamo al cliente cosa potremmo fare: la prima cosa sarebbe quella di solidificarla, quindi di mantenerla nello status quo; poi potremmo mettere a posto le varie scorticature e farle diventare invisibili, e così avanti.
Quindi, in base alla voglia e alla disponibilità della persona, non sistemiamo la bambola. È un po’ come vestirsi: ti compri una cosa se te la puoi permettere, se, invece, poi prendertene due e sei tentato, le prendi entrambe.
Che tecniche si utilizzano per il restauro?
Le mani (sorride). I colori, gli stucchi, le spatolette – oggetti che usiamo costantemente – e l’aeropenna, vanno bene per qualsiasi cosa; poi, naturalmente, per alcuni prodotti usiamo lo smalto, e per altri le tempere. Sono tutti prodotti molto affini.
Usate anche colori acrilici?
Qualche volta ci scontriamo anche con l’acrilico, però preferiamo non usarlo più di tanto: l’acrilico è stato introdotto su cose non proprio di nostra strettissima competenza; non è un prodotto che ha cent’anni; mentre le tempere, le terre, esistono da secoli.
Quindi pigmenti…
Pigmenti, naturalmente. Abbiamo tutti i colori che ci servono per il nostro lavoro. Raramente ci capita di dire: “Ma qui, che ci mettiamo?”; questo perché abbiamo talmente tanti tipi di colori…Ovviamente ci sono i colori di base che noi dopo misceliamo.
Gli oggetti di oggi e gli oggetti di una volta; qual è la differenza?
La differenza è che gli oggetti vecchi venivano fatti quasi sempre a mano; c’era l’intervento dell’uomo. Se io devo riprendere il colore fatto da una persona è una cosa, ma se io devo riprendere una parte stampata da una macchina, è un’altra. Per esempio, le bambole antiche si aprono, sono accessibili all’interno; quindi posso sistemarle facilmente.
Più si va avanti, più – specialmente adesso – i vari pezzi vengono assemblati in fabbrica; perciò non c’è più modo di metterci le mani, e quindi di riparare un danno che, il più delle volte, sembra in parte voluto: sembra che stabiliscano che un oggetto debba avere un termine. Invece, ci sono oggetti che hanno cento-duecento anni, che anche se sono stati maltrattati, rimangono com’erano; mentre adesso, alcune plastiche, alcune cose si deteriorano con il tempo. Gli oggetti di una volta erano fatti per durare, quelli di oggi no.
Gelsy, cosa si ricorda di quegli anni, degli anni Sessanta? Che aria si respirava a Roma?
Era un’altra cosa: prima di tutto, qui in zona c’erano artigiani, botteghe, negozi alimentari, c’era addirittura il forno, dove, alla domenica, le persone portavano il tegame con il cibo da cuocere. Il modo di vivere era diverso. Era più alla paesana, come se io fossi rimasta nel mio paese; era molto simile.
Com’è cambiata la moda nel tempo?
Prima c’erano le gonne lunghe, e poi sono arrivate le gonne corte, all’inglese; all’inizio la gente, soprattutto le persone di una certa età, erano rimaste sbalordite, poi, invece, si sono abituate.
E i nobili?
Si sono sempre vestiti molto bene. Avevano cura delle cose; per esempio, lo stesso cappotto lo indossavano per più anni.
Com’erano i clienti che venivano?
Molto importanti!
Se ne ricorda qualcuno in particolare?
Venivano tanti nobili. Ricordo i Pallavicini: la Principessa Pallavicini era espertissima di porcellane; poi veniva anche il Principe Aldobrandini, il Principe Borghese. Ma poi anche parecchi attori.
F: Noi abbiamo conosciuto tantissime persone importanti con le quali avevamo un certo tipo di amicizia, che però era legata al rapporto di lavoro; anche perché eravamo di un’estrazione sociale diversa.
La nobiltà la nominiamo non per una forma di rispetto, ma perché i nobili erano abituati alle cose belle; vivevano in un ambiente pieno di cose belle.
G: Quindi da noi venivano tante, tante persone. E come dice Federico: avevano in casa tante belle cose, e le conoscevano, le amavano. Erano degli esperti!
F: La mamma mi racconta sempre che quando i ragazzi, degli anni di mio padre, facevano le prime esperienze a cavallo, a loro sembrava chissà che.
G: Una volta, un giovane fece a Don Rodriguez, l’allora ministro del Cile: “Eccellenza, eccellenza!, quest’anno sono stato a cavallo dalle parti del lago Trasimeno. Ma lei è mai stato a cavallo?”, e lui gli rispose: “Tesoro mio, quando la mattina noi ci alzavamo, lo stalliere ci diceva: ‘Eccellenza, quanti cavalli devo ferrare?’” (ride).
“Ma lei eccellenza le scarpe che indossa le ha prese da poco?”, Don Rodriguez rispose: “Le ho da tantissimi anni, ma le tengo bene”, “Ah, io credevo che fosse la prima volta che se le metteva…”
Questo fa capire che c’era una cura maggiore per gli oggetti personali…
G: Sì, e lui poi ce l’aveva in particolare. Aveva una vetrina di porcellane che erano la fine del mondo…
F: Parliamo di persone che nel dopoguerra tendevano a rimettere a posto le cose. Di recente abbiamo consegnato un pezzo alla Galleria Doria Pamphilj – non la galleria aperta al pubblico, bensì la parte non visitabile. Chi è a Roma, bene o male, ha servito la nobiltà romana.
G: Era quella che aveva la responsabilità di tenere bene le cose.
Ancora adesso le persone facoltose vengono da voi?
F: Certo! Abbiamo come clienti il Presidente della Repubblica, alcuni ministri, scrittori, artisti, critici d’arte…
Quindi c’è tuttora l’attenzione al restauro?
F: Assolutamente sì. L’oggetto è sempre oggetto. Noi restauriamo pezzi molto antichi e di vecchie collezioni, come anche piccole cose di poco valore.
Gelsy, quest’arte lei l’ha imparata da suo marito?
Sì, pian piano da mio marito. Ma ormai è da quasi cinquant’anni che faccio questo lavoro.
Quindi lei non ha fatto nessuna scuola d’arte?
No, no. Ho fatto le magistrali.
F: Però, premetti una cosa: quando era piccola andava dalle suore, dove ha imparato a ricamare, a cucire…Quindi, quando c’è stata l’esigenza, per esempio di riprendere il collettino di una bambola, lei lo sapeva fare.
Se uno oggi volesse fare il restauratore…
F: Eh…In questi ultimi anni il collezionismo è andato a picco; essendo andato a picco, gli oggetti si trovano ai vari mercatini per pochi soldi; anche perché chi li vende o li ha ereditati o li ha comprati per pochissimo, gli interessa vendere e basta. Insomma, è un semplice passaggio di mano.
Se invece uno possiede un oggetto da restaurare, e lo porta da noi, deve sostenere un certo costo, perché noi ci lavoriamo tanto su quell’oggetto; dobbiamo capire come deve essere trattato, senza rovinarlo, e per fare questo ci vuole tanta esperienza.
Oggi, certe persone fanno dei restauri dopo aver fatto solo qualche corso; invece, per fare un buon lavoro, ci vogliono tanti anni di esperienza. Bisognerebbe fare un lungo tirocinio, che oggi non fa più nessuno…
Ormai manca la pratica…
F: Manca perché oggi è tutto più complicato, anche burocraticamente; una volta, invece, era più facile: i ragazzini che finivano le medie e non volevano studiare avanti, venivano mandati dai genitori a lavorare dai meccanici, dai falegnami, e così imparavano un mestiere. Poi bisogna tener presente che erano altri tempi e i giovani non avevano tante esigenze, come oggi – il motorino, il cellulare, il computer. Si accontentavano della piccola paghetta che ricevevano dalle persone per le quali lavoravano.
Magari all’inizio facevano piccoli lavoretti e poi, man mano che acquisivano esperienza, venivano affidati loro incarichi più importanti; e qualcuno con il tempo riusciva anche a rilevare l’attività, quando il proprietario andava in pensione.
Per questo lavoro bisogna avere anche tanta passione.
F: La passione è una delle prime cose che devi avere. I ragazzini che lavoravano nelle botteghe prendevano un imprinting, e capivano subito se il lavoro faceva per loro oppure no.
Per fare questo mio mestiere ci vuole tanta passione, perché ci capita di lavorare anche dodici-tredici ore al giorno, stiamo in mezzo ai diluenti, e non tutti i mesi sono uguali: a volte abbiamo più lavoro, a volte meno; quindi pure il guadagno varia. Se uno non è affezionato a un lavoro come questo, non resiste a tutto ciò, tanto vale che faccia un lavoro statale.
Ma che futuro avrà il lavoro del restauratore?
F: Finché ci saranno delle persone che avranno l’esigenza di far restaurare, riparare un oggetto, ci sarà sempre uno che lo dovrà fare. Le attività finiscono quando non c’è più quel tipo di esigenza, non perché manchino le persone.
Fino a trenta-trentacinque anni fa, Roma viveva delle proprie attività, mentre adesso è tutto concentrato sul turismo e sul guadagno immediato.
Il nostro è un lavoro di grandi sacrifici: si lavora tanto e bisogna anche mantenere dei prezzi modesti, accontentare i clienti.
Se un giorno questo tipo di lavoro non dovesse esistere più, pazienza, anche l’Impero Romano alla fine è caduto, e noi oggi non ci pensiamo più. Tutte le cose cambiano, mutano, e io credo molto nella teoria che dice che l’espansione dell’universo tenda sempre al bene; quindi se due stelle si scontrano, poi si forma un’altra cosa; il fiume trova sempre un percorso per scendere a valle…Perciò se il restauro cesserà di esistere, pazienza. A me piace averlo vissuto; ma magari a chi crescerà in futuro, tutte queste cose non interesseranno.
Restauri Artistici Squatriti si trova in via di Ripetta 29, Roma
Ringrazio Federico e Gelsy per la loro disponibilità.
Nadia Pastorcich ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.
Foto di Nadia Pastorcich
Con il massimo rispetto per Federico e Gelsy, mi verrebbe da chiamarli “i sopravvissuti”!
Ci hanno, con le loro parole, riportati in un altro mondo, così lontano adesso: il mondo delle bambole e dei restauri in genere. Oggi, all’epoca nostra dell’ “usa e getta”, leggere queste dichiarazioni mette molta nostalgia. C’è appunto tutto un mondo dietro a questa intervista, che sa di antico, di cose care magari ancora di famiglia, con la gelosia di poterle tenere ancora e rinverdire! Così una bambola può rianimarsi, nella possibilità per noi di poterla sentire come di nuovo viva fra le mani! E dietro a una bambola o ad un oggetto antico c’è sicuramente una persona a noi cara.
Purtroppo però, certe persone interessate al mantenimento di oggetti antichi e quindi dei loro ricordi, ce ne sono sempre meno! Chi oggi ha tempo infatti per certe cose? Certamente un animo gentile e nobile che, se c’è ancora, è confuso tra tanti altri, quelli ripeto, dell’usa e getta, quelli che con questo motto sembrano gettare via anche e perfino i loro più cari ricordi!