Paola Russo è un’Art director e consulente per la comunicazione con molta esperienza alle spalle nel mondo della pubblicità milanese. È autrice di campagne per marchi italiani e internazionali come Diesel, Camel, Emergency, Nestlè, Perugina, Peroni, Omsa, Arena, Lotus.
Tra i riconoscimenti ci sono tanti premi a livello italiano e 1 short list al Festival di Cannes.
Oggi svolge attività di brand coaching, consulenze strategiche e creative per le aziende, è responsabile dei workshop “Logo” e tiene lezioni sulla comunicazione a livello universitario.
È stata art director in agenzie di pubblicità internazionali (Ata Tonic, TPR) e consulente creativo freelance per PublicisFCB, Conquest, Ogilvy, BGS, Dorland Ayer, ecc. Quest’anno è la Visiting Professor di uno dei tre stage organizzati dall’Associazione culturale Opera Viva, nell’ambito del progetto “Questa Volta metti in scena…il Cuore“, ideato e diretto da Lorena Matic.
Chi è l’art director?
L’art director è l’altra metà della coppia creativa di un’agenzia di pubblicità; la coppia creativa realizza, progetta, ha l’idea creativa che racconterà la comunicazione di quell’azienda, di quel prodotto, di quel servizio. In poche parole ha l’idea creativa della campagna pubblicitaria ed è responsabile della realizzazione dell’idea fino alla messa in onda.
L’art director lavora a stretto contatto con il fotografo?
Sì, lavora a stretto contatto con il fotografo, con il regista, con l’illustratore e con tutte le altre figure professionali creative. Sarà lui a scegliere i professionisti con i quali realizzare al meglio l’idea creativa, in base allo stile che dovrà avere quella campagna.
Si può dire che è una sorta di regista?
Sì, in qualche modo è il regista del regista; è responsabile anche dal punto di vista stilistico di quello che verrà realizzato, per cui è lui a scegliere il regista, il fotografo, e le altre figure professionali che dirigerà verso la direzione che ha in mente.
Ci sono delle regole che l’art director deve seguire per una campagna pubblicitaria?
Sì, deve seguire continuamente delle regole e deve conoscere la tecnica. Queste regole di cui deve tener conto le impara lavorando e sono regole di marketing, di gerarchie, di contenuti e di forma. Sono davvero tante.
C’è una regola principale?
Sì, una regola principale c’è: il rispetto della privacy, la riservatezza sull’idea e sui contenuti che dovrà comunicare; fino a quando la campagna non sarà messa in onda, l’art director ha per legge l’obbligo di riservatezza su tutto quello che gli viene comunicato dall’azienda, per cui nessuno deve venire a conoscenza dei progetti sui cui sta lavorando. Questa è una regola, una legge molto importante.
C’è molta competizione nell’ambiente pubblicitario?
Come in tutti gli ambienti, ma, a differenza degli altri, c’è una sana competizione ed è uno dei pochi ambienti in cui la meritocrazia vince: un’azienda si accorge ben presto se tu non sei capace di fare il tuo lavoro, perché non può permettersi di buttare via il suo denaro con professionisti che non fanno bene il loro mestiere. Per cui chi è bravo può stare rilassato, non entra neanche in competizione.
Mi viene in mente il film “Amore, ritorna!” con Doris Day e Rock Hudson. Loro lavorano in due agenzie pubblicitarie diverse. Tra i due nasce una concorrenza. Lui inventa un prodotto che in realtà non esiste, non c’è, e che però alla fine è costretto a realizzare.
Non ho visto questo film. Quindi alla fine è costretto a realizzare il prodotto…interessante!
Sì, ad un certo punto gli viene l’dea di chiamare questo prodotto “Vip”, ma non sa che cosa sarà il Vip.
Questo è esattamente il contrario di quello che succede in un’agenzia di pubblicità, di quello che accade su una scrivania di due creativi pubblicitari. La cosa curiosa che ho notato e che in tutti i film – “Kramer contro Kramer”, “What Women Want” – in cui si racconta il mondo della pubblicità dall’interno, ciò viene fatto in maniera non aderente alla realtà. Quello che succede veramente in un’agenzia di pubblicità, ovvero le logiche, le dinamiche di coppia, nei film americani vengono raccontate in un modo un po’ fantasioso. È impossibile che uno si inventi un prodotto, a meno che l’azienda non abbia coinvolto te e gli altri creativi nella fase di ricerca e di sviluppo e allora tu a quel punto dai il tuo supporto e ti metti a disposizione. Non esiste un’agenzia di pubblicità che si inventi una cosa, perché – come detto prima – ci sono delle regole di comunicazione e dei paletti da rispettare.
Nel suo lavoro bisogna essere molto curiosi, e anche conoscere i vari linguaggi…
Secondo me la curiosità sta alla base di qualsiasi modo di stare al mondo, ma in particolare a quello dei creativi. Uno che fa un mestiere creativo non può non essere curioso, deve essere vivace, deve naturalmente avere la voglia di essere attratto da qualsiasi cosa, perché ogni cosa ha dei contenuti che possono essere interessanti. La curiosità poi ti rende laico: ti apre la mente. Bisogna guardare, osservare, conoscere, approfondire in maniera laica; quindi devi essere per forza laico, perché ti può capitare qualsiasi tipo di azienda, di prodotto, di cliente, di realtà. Con questo non voglio dire che non si ha la propria etica: tu puoi decidere se lavorare o meno per un’azienda, però il comportamento e l’approccio sono laici.
Per quanto riguarda i linguaggi, gli stili, è logico che un creativo deve aver voglia di approfondire, perché deve crearsi una base di conoscenza estetica che è necessaria sia se uno fa il copywriter, sia che faccia l’art director. Gli stili, i linguaggi, sono strumenti di comunicazione. L’art director è tenuto ad esplorare da qualsiasi parte.
Ho notato che oggi la curiosità manca un po’… a volte i giovani sono pigri.
Sì, è vero sono un po’ pigri, difatti – ormai sono da sei anni a Trieste – non ho ancora trovato un assistente. Quando si lavora veramente non si può scherzare e perdere tempo: bisogna essere sul pezzo. È vero che i giovani non hanno tanta voglia di lavorare, per farlo bisogna sentirne la necessità, bisogna avere la volontà di approfondire e faticare.
Fare fatica significa anche dover andare qualche volta in riunione presto la mattina. Un assistente che non è disponibile a essere presente, non serve a niente. Io sono disposta anche a dargli tutto, a insegnargli quello che so, se vedo che c’è. Si dice che il miglior assistente è quello che ti lascerà per diventare a sua volta art director.
Nel corso degli anni quanto è cambiato il modo di concepire una campagna pubblicitaria?
Da un lato niente, perché la procedura è quella: bisogna procedere per step; per cui c’è un sistema per arrivare ad individuare il contenuto da comunicare e la forma, e poi c’è anche il tuo quid, cioè la tua parte creativa che farà la differenza. Perciò da un lato c’è sempre lo stesso modo, dall’altro invece è cambiato completamente per una serie di ragioni: una è sicuramente il fatto che la tecnologia, i mezzi per realizzare le cose, oggi sono accessibili a tutti. Quando ho iniziato io, trent’anni fa, era impossibile che un cliente si impaginasse una cosa: non aveva gli strumenti per farlo.
Oggi, invece, chiunque impagina, fotografa o quant’altro; una volta bisognava avere una macchina fotografica per fotografare, ora basta avere il telefonino. La tecnologia rende accessibile un mondo che fino a un po’ di tempo fa era riservato solo a chi ne aveva le chiavi, ovvero i professionisti; mentre ai giorni d’oggi ci sono tantissimi non professionisti che producono materiali che riempiono il mondo della comunicazione trasformandolo in una discarica di cartacce in cui, ogni tanto, c’è qualcosa di valore fatto da professionisti.
Come sono i clienti?
Dipende. Io continuo ad avere dei clienti che mi scelgono perché sono una professionista e quindi si affidano a me. Il rapporto che c’è è affascinante, appassionante per me, perché è uno scambio in cui loro mantengono un ruolo, la loro sovranità come azienda e io faccio lo stesso come professionista.
Che cos’è “Logo”?
Logo è il nome che ho dato alla serie di workshop che tengo per professionisti, aziende e studenti sul mestiere della pubblicità attraverso corsi mirati come quello di personal branding, di art direction, di fotografia e pubblicità assieme ad altri professionisti. Per cui è un contenitore di corsi tecnici per chi vuole entrare nel mondo della pubblicità o per le aziende che vogliono formare i loro dipendenti.
Come mai questo nome?
Logo vuol dire verbo; logo è la sintesi estrema del mondo in cui mi muovo. Logo vuol dire anche brand, che è comunque l’area in cui mi muovo.
Che differenza c’è nel fare una campagna pubblicitaria per la tv, per la radio, per la stampa?
La differenza sta nel tipo di mezzo, quindi la caratteristica del mezzo. La differenza è nella forma, non nella sostanza: la sostanza è sempre la stessa. Sono mezzi che hanno una forma di comunicazione diversa.
Il ragionamento strategico e creativo che si fa quando si progetta una campagna pubblicitaria è sempre lo stesso, ma poi lo devi declinare su media diversi. Lo spot tv è un mezzo di espressione che ha a disposizione la parte visiva in movimento e la parte audio, per cui, si racconterà quello che si deve raccontare di quel prodotto. La bidimensione, imposta dalla stampa, è un altro tipo di linguaggio. Nella radio, invece, si ha solo l’audio per cui attraverso gli spot, si racconteranno emozioni e immagini. Questi sono semplicemente dei linguaggi diversi che uno deve sapientemente conoscere e utilizzare al meglio.
Forse la radio è quella più difficile perché – appunto – si ha solo la voce, l’audio.
A me la radio piace tantissimo. La difficoltà sta nell’essere musicale. Ci sono tanti creativi molto bravi nello spot tv o nella stampa, ma che non sono altrettanto bravi nella radio, magari perché son stonati o perché non sentono in quel senso. Io l’ho sempre amata molto, ho fatto parecchi comunicati radio che mi sono anche piaciuti tanto; è un mezzo che sento mio. Tutto l’aspetto audio, pure quello di post produzione degli spot, è una parte del mio lavoro che mi è sempre piaciuta, alla quale mi sono sempre dedicata. Quando c’è da fare uno spot per la radio per me è divertente, mi piace, mi stimola molto.
Parlando invece di Opera Viva, lei in questa 11esima edizione è uno dei tre visiting professor e tiene lo stage presso il Liceo artistico Sello di Udine. Com’è insegnare ai ragazzi?
È potenzialmente emozionante, perché insegnare ai ragazzi significa lasciare dei semi che potrebbero germogliare in un secondo tempo; magari non lo vedi neanche, magari ciò che ho detto allo stage potrebbe fare la differenza nella vita di uno di quegli studenti fra qualche anno.
È emozionante seminare ciò che loro poi raccoglieranno, non si sa come, non si sa dove. La bellezza di insegnare ai ragazzi è proprio questa: la possibilità di dare e basta, e dopo ne facciano l’uso che vogliono.
Cosa spera recepiscano da questo stage?
Spero che succeda proprio questo: spero che il terreno con il quale arrivano sia sufficientemente fertile, pronto a ricevere, proprio come un terreno vero che quando è pronto assorbe il seme, se è troppo arido lo fa scivolare via, e se è troppo bagnato si macera. Se è fertile riceverà.
Che cos’è per lei il cuore?
È un punto di partenza, è il regista che insieme agli altri attori co-protagonisti – l’intellettuale, il mentale, il materiale, il creativo – ci guida; per cui non bisogna ascoltare solo il regista, essere troppo di cuore, emotivi, fare le cose senza analizzarle, ma si deve anche ascoltare gli altri co-protagonisti. Il cuore è il regista: consente lo scambio umano che per me oggi è l’aspetto principale di tutto: del mio lavoro, ma anche della mia esistenza.
Sogni nel cassetto?
I sogni nel cassetto non esistono: io non sogno, ma realizzo realtà che non sono sogni, ma cose che costantemente succedono, opportunità che arrivano, sensazioni, intuizioni. Non credo nei sogni nel cassetto, ma resto vigile e realizzo ciò che si può realizzare, altrimenti passo ad un nuovo progetto.
Una frase d’effetto per concludere questa intervista.
Cerca la tua unicità e trova il modo tuo personale per esprimerla attraverso i tuoi talenti.
Ringrazio Paola Russo per la sua disponibilità.
Nadia Pastorcich ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.