Alex Liverani. La tua parte portfolio, classificatasi prima nella sezione dedicata di Urban 2015 – dotART , è veramente emozionante come tipo di fotografia. Volevo chiederti: come mai hai scelto questo tipo di percezione visiva per la tua fotografia?
Nello specifico, questo lavoro non è nato casualmente, ma … quasi. Da circa un anno faccio parte del collettivo di Street Photography ‘Inquadra‘, di cui sono il fondatore (www.inquadra.org). Siamo un gruppo di otto fotografi di strada sparsi un po’ in tutta Italia. Quando ci siamo costituiti ci siamo dati l’obiettivo di cercare di realizzare lavori che non si fermassero all’immagine singola ma che cercassero di raccontare qualcosa con un portfolio, con un insieme di foto.
Trovandomi a Londra, dove ho vissuto per un certo periodo – buona parte dell’anno scorso – e abitando vicino alla zona della City, il cuore economico e finanziario della capitale, mi trovavo a percorrere quelle strade più o meno tutti i giorni. Questi uomini d’affari, questi signori distinti ritratti nelle foto, si fermavano più o meno in punti che erano quasi sempre gli stessi. Sotto, si poteva trovare un’infinità di sigarette, perché a cadenza periodica – ogni cinque, dieci minuti – cambiava il protagonista ma la scena era sempre la stessa. Così ho iniziato a fare quelle foto.
Invalid Displayed Gallery
La difficoltà è stata riuscire a trovare la luce più o meno simile per tutte. La scena magari era perfetta, io ero là, la persona era appoggiata al muro – ma, a Londra, con il sole che degna l’uomo della sua presenza raramente e cambia in un istante, mi trovavo ad avere l’immagine perfetta ma con la luce sbagliata. E io volevo avere, invece, un’uniformità perfetta sia del contenuto che del tipo di inquadratura, utilizzando sempre la stessa focale – e un’uniformità di luce. Il lavoro è durato abbastanza, proprio a causa di questa mia ricerca quasi maniacale della similitudine. Però ero convinto che questo lavoro, per poter risultare efficace, dovesse avere proprio nella serialità questo suo aspetto determinante. Se fossero state simili ma non uguali – simili ma con luce diversa – a mio avviso avrebbero perso molto. Questo portfolio è stato esposto l’anno scorso al festival di Colorno, in Emilia Romagna, e poi l’ho presentato al concorso Urban di dotART.
Come sei venuto in contatto con dotART e con Stefano Ambroset?
Guardavo questo concorso con particolare ammirazione già da un po’ di anni. Avevo partecipato alle ultime edizioni, sempre con foto singole. Quando ho visto che, da quest’anno, c’era la possibilità di partecipare con un portfolio, e avendo visto che il concorso era particolarmente attento alla fotografia di strada e alla fotografia d’architettura, mi sono detto: ‘Il mio lavoro potrebbe prendere tutti e due gli aspetti e risultare interessante’.
Hai iniziato con il digitale oppure hai avuto anche qualche esperienza con l’analogico?
Io ho trent’anni, e ho iniziato con il digitale.
Un ‘nativo digitale’.
Assolutamente si. Nel mio percorso ho provato anche l’analogico, ma, vuoi perché sono veramente nato con il digitale, vuoi perché non lo sento tanto affine a me, mi sono sempre trovato più a mio agio con il digitale stesso e sono sempre rimasto con esso.
La tua scelta d’attrezzatura fotografica?
Nell’ultimo periodo ho avuto la fortuna di utilizzare spesso una Leica; quest’anno, con un altro lavoro, ho vinto il Leica Talent Italia, e quindi ho potuto sfruttare questi strumenti. Come mia attrezzatura, ed è quella con cui ho realizzato il portfolio che ha partecipato a ‘Urban’, ho scelto una Canon 5D Mk II.
E la tua ottica preferita? Il 35mm ‘Street’, oppure qualcosa d’altro?
Da un po’ di tempo a questa parte fotografo solo con il 35mm, ma il mio lavoro sul portfolio è stato fatto interamente con il 50mm. Ed è stato anche questo un elemento di difficoltà, mi trovavo spesso in strade non molto ampie e a molte foto ho dovuto rinunciare perché non c’era lo spazio fisico per inquadrare. La scelta dell’ottica ha influito molto su quello che ho potuto realizzare.
Avendo visto il tuo lavoro mi sembra quasi … superfluo chiederti se ti piaccia il bianco e nero o no.
Fino a oggi ho sempre avuto un approccio in bianco e nero alla ‘Street’, ma sto iniziando nuovi lavori a colori. Mi sono reso conto che spesso la mia scelta del bianco e nero rispetto al colore era una sorta di escamotage, il cercare una strada più conveniente verso il risultato, come in una scorciatoia. Gli ultimi lavori li sto facendo a colori.
La fotografia è arte?
Nella fotografia di strada credo che più che all’arte ci si avvicini alla documentazione. Magari, molte volte, l’arte e la documentazione possono finire per intrecciarsi, o una cosa può prevaricare sull’altra, però fondamentalmente la ‘Street’ è un documentare.
L’importanza, in fotografia, della conoscenza della tecnica? Quanto influisce la tecnica sul tuo modo di fotografare?
Sicuramente, in fotografia, all’inizio del proprio percorso formativo, è necessario avvicinarsi anche alla tecnica. Se dicessi che la tecnica non serve, sarei ipocrita. Però nella fotografia di strada, come in altri generi, farsi condurre dall’emotività e dall’istinto spesso può essere molto più importante che fermarsi alla tecnica.
La tua è la passione di un bambino che poi si è sviluppata nell’età adulta, o è qualcosa che è venuto dopo?
Io e la fotografia ci siamo piaciuti e conosciuti in fase adolescenziale, quasi come un amore che può nascere in vacanza, o durante l’estate sotto l’ombrellone. Nelle prime vacanze con i miei genitori m’impossessavo della macchina fotografica del mio babbo e provavo a fotografare quello che avevo attorno. Poi però ci siamo lasciati, per un buon periodo, e ci siamo ritrovati intorno ai diciotto, vent’anni. In un modo un po’ più consapevole.
Come scegli i tuoi soggetti? Solo istinto, oppure, come nel caso del portfolio presentato, anche studio?
Dipende. Se voglio realizzare un portfolio credo sia fondamentale l’idea, e quindi nel momento in cui l’idea nasce vado avanti su quel filone e mi concentro su quella scelta, studiandola. Un errore che faccio spesso una volta iniziato un progetto è quello di concentrarmi solo su quello, e uscire a fotografare senza guardare il resto – e questo, nella fotografia di strada, è limitante: attorno a te, magari, si stanno verificando altre situazioni, ma tu non riesci a vederle, e le perdi perché sei concentrato su una cosa sola. Se invece sono in giro per realizzare semplici istantanee, estrapolate dal contesto urbano, cerco di farmi influenzare dal momento e dal soggetto particolare, strano.
L’ultimo portfolio che ho realizzato, non ancora pubblicato, è stato realizzato a una corsa equestre ad Ascott, vicino a Londra. Il mio obiettivo in quel caso era quello di fotografare soggetti prettamente pittoreschi e prettamente ‘trash’.
Qual è il tuo fotografo preferito?
Te ne dico due: uno è Matt Stuart , un fotografo di ‘Street’ che io considero inarrivabile, ha un modo di vedere, e di notare con accuratezza storie potenzialmente strane all’interno della strada, che a mio avviso io non riuscirò mai ad avere. L’altro, per il suo essere irriverente e per aver dato il via a questo tipo di disciplina, è Bruce Gilden, un fotografo americano che ha fatto fortuna utilizzando il flash. Uno dei pochi fotografi di strada che si avvicinava molto ai suoi soggetti. Due modi di fotografare completamente differenti ma comunque interessanti.
Dimmi qualcosa che proprio non ti piace.
Non mi piace l’autocelebrazione, non mi piace quel certo modo di sentirsi superiore che i Social e il mondo di Internet, il mondo comunicativo attuale, stanno cercando di imporre a tutti i fotografi. Quella tendenza a far arrivare prima l’autocelebrazione dell’immagine stessa, il divulgare costantemente qualunque cosa succeda, quasi prima di averlo realizzato. Diventa quasi obbligatorio inchinarsi a questa regola della pubblicazione a tutti i costi, diventa quasi obbligatorio mettersi in vetrina e far vedere che stai scattando prima ancora di aver realizzato uno scatto. No, non mi piace.
Imitare è lecito?
A uno degli ultimi corsi fatti assieme alla Leica Academy il docente ha detto: ‘C’è sempre un confine sottile tra l’imitare e il fare ricerca’. Se fai una cosa esattamente uguale stai imitando, ma se la prendi, la fai uguale e ci aggiungi qualcosa di tuo ecco che stai già sfociando nella ricerca. Spesso il confine è molto sottile ed è inevitabile che le nostre foto siano lo specchio di quello che abbiamo visto, e inevitabilmente tutti finiamo per copiare. Se siamo bravi, riusciamo a fare ricerca.
Sottile confine che è presente anche nella post produzione? Fino a che livello la ritieni ammissibile, lecita?
Soprattutto per quanto riguarda la fotografia di strada, ma anche la foto di reportage, tutto è lecito finché non si toglie qualcosa e finché non si aggiunge niente. Tutti i tipi di foto ritocco, ritaglio, contrasto, saturazione eccetera sono leciti e io sono assolutamente favorevole.
Ti vedremo a Trieste?
Spero di si. Facendo anche fotografo di cerimonia e matrimoni non posso mai dare una certezza, ma spero di si.
Com’è il mondo della fotografia matrimoniale?
Interessante. A mio avviso, la fotografia di matrimonio, nonostante molti la snobbino, credo sia una palestra molto utile, soprattutto per un appassionato di ‘Street’. Ci si allena nella ricerca del momento unico, decisivo. Ovviamente chiunque mi potrebbe dire che si, è una scena che nella sua ripetitività è in buona parte prevedibile, ed è vero; ma qualcosa di atipico può sempre succedere, e le situazioni per quanto simili non sono mai uguali. E non è per niente facile.
Che consiglio daresti a un ragazzo che vuole avvicinarsi alla fotografia?
Essere curioso. Se non sei curioso, diventi un bravo tecnico, e magari ti avvicini ai grandi autori, ma non riesci mai a fare quel gradino che ti manca. E poi guardare la fotografia di altri, e qualunque cosa sia attorno con l’occhio fotografico.
Il progetto Leica è stato incentrato sull’assistenza sessuale alle persone disabili. Sono stato due mesi all’interno di questa storia, mi ha provato molto ma è stato molto interessante e formativo. Avvicinarsi a un progetto che richiede impegno nel sociale è qualcosa che consiglio assolutamente; in futuro vorrei dedicare più spazio a questo tipo di racconti piuttosto che alla strada. La strada rimarrà per sempre una passione che mi accompagna nel quotidiano, ma è necessario avvicinarsi a storie con uno spessore maggiore. E non per forza di cose devono essere dall’altra parte del mondo: spesso sono molto vicine a noi.
Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata
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The work of Alex Liverani began in the first months of 2014 as a visual research into the City, London’s financial and economic core. Walking through the streets of one of Europe’s most intricate metropolis with camera in hand, Alex intrudes into small moments of private solitude and relax away from the endless hours of work: a cigarette, a breath of fresh air, a break from the hustle and bustle of the office, a tale of pensive, sleepy, or mostly absent stares, far from the photographers lens. This is a visual investigation into fragments of daily life (work breaks) constantly repeating in an urban setting such as the City, but they are only captured when they become the measure of an almost surreal urban space. These snapshots whose pattern is deliberately repeated, without too many changes, are dominated by rationalist architecture, the geometry of space is drawn by the light, where the lines, the rectangles of walls and windows, shadows, profiles and frames strike more than the volumes. There is no sky in these images, but textures, materials, and shades of grey ñ that would be such, perhaps, even without the black and white ñ that give the measure of the weight and dimensions of these places that seem depicted. The imperfect balance of lines and shapes that dominates the shots makes the people who inhabit them absolutely oblivious of this spatial quality the element that anchors the image to reality, thus, authenticating the most genuine street photography which was at the same time deliberately and consciously sought out for its aesthetic quality.