Cosa spinge le persone ad andare in vacanza? Ma soprattutto perché sono spinte a scegliere come meta luoghi in cui si parla una lingua diversa dalla propria?
Probabilmente da un lato c’è il desiderio di conoscere e vedere nuove realtà culturali, dall’altro di evadere per un po’ dal tran tran quotidiano.
La necessità dell’uomo di voler scoprire altri luoghi è cosa assai antica. Uno dei tanti esempi è il Grand Tour sei-settecentesco.
Si può perciò dire che il ‘Grand Tour’ era una sorta di vacanza odierna? Non proprio: all’inizio del Seicento, i giovani dell’aristocrazia europea aspiravano ad un’aperta relazione tra i popoli, e per questo il viaggio acquistò un valore formativo. Viaggiare dava la possibilità di immergersi nella cultura e nelle tradizioni altrui, assaporandone perfino i piccoli dettagli che, quasi sempre, il turista non ha il tempo di cogliere. Infatti, in quell’epoca, la “vacanza” non durava qualche giorno o qualche settimana, bensì mesi, se non addirittura anni; si trattava di una vacanza culturale grazie alla quale si potevano conoscere realtà differenti, frequentare scuole per imparare le arti. Tutto ciò era rivolto alla creazione di un uomo, non più limitato dal proprio confine territoriale, bensì un uomo di mondo che conosce le lingue e i luoghi, con la capacità di relazionarsi con diverse persone.
Ma il viaggio seicentesco poteva essere anche inteso come ricerca di se stessi attraverso l’altro, perché non tutto si può comprendere, imparare e apprezzare nella stessa nazione.
Qual era la meta più ambita dai viaggiatori? L’Italia, in tutto il suo splendore: la penisola sembrava il perfetto connubio tra natura e cultura; Goethe la definì come il paese del mirto e del lauro – ovvero della bellezza e della poesia – ma anche dei limoni e delle arance – ossia del sole e della vita.
“Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Brillano tra le foglie cupe le arance d’oro,
Una brezza lieve dal cielo azzurro spira,
Il mirto è immobile, alto è l’alloro!
Lo conosci tu?
Laggiù! Laggiù!
O amato mio, con te vorrei andare!”
Ed è proprio da questa penisola bagnata dal mare che molti dei viaggiatori portavano con sé una nuova cultura, l’arte, gli usi e i costumi.
A quel tempo la fotografia era ancora lontana; e allora, come si potevano immortalare i meravigliosi paesaggi italiani? Un esempio sono i quadri di Canaletto – delle “cartoline” che riproducono fedelmente la realtà, grazie l’uso della scatola ottica – che solitamente venivano acquistati, arrotolati e spediti a casa. Ed è proprio in quel periodo che si è sviluppato il Vedutismo, con una evoluzione nella concezione del paesaggio: i quadri raffiguravano delle “vedute” – paesaggi sia naturali che cittadini.
L’Italia, in quegli anni, aprì le porte ad una cultura transazionale, richiamando personaggi illustri. Alla fine del Settecento questa visione cambiò radicalmente, e il ‘Grand Tour’ cessò di esistere.
Se da una parte c’è il “viaggio culturale”, dall’altra troviamo un altro significativo esempio di viaggio, che vede sempre come meta la nostra terra: stiamo parlando del boom economico italiano degli anni Sessanta, che ha dato vita alle vacanze di massa – non più tanto culturali – dove il protagonista diventa la famiglia.
Il miracolo economico ha migliorato il tenore di vita degli italiani, e se prima le vacanze al mare erano un privilegio di pochi, negli anni Sessanta diventano accessibili a tutti: dal semplice impiegato al notaio. Ed ecco che inizia la smania per la villeggiatura. Tutta la famiglia parte assieme, stretta stretta in un’unica auto stracolma di cose: sopra il tetto, legato con delle corde, c’è di tutto e di più. La Seicento, la Cinquecento e la Millecento della Fiat sono le auto che invadono le strade, creando delle lunghe file. Ma gli italiani sono disposti ad aspettare: dopo tanti mesi trascorsi a lavorare nel grigiore urbano, si accontentano anche di posti non troppo lontani, pur di evadere dalle città, che in poco tempo si svuotano. A volte, capita che il padre debba tornarsene a lavoro, ma il resto della famiglia resta in villeggiatura.
Le spiagge si riempiono di gente, tra un ombrellone e l’altro non c’è quasi spazio: ciò, però, permette di scambiare qualche parola con il proprio vicino, senza badare alla sua classe sociale. Tutti si ritrovavano ad essere “uguali”: stessa spiaggia, stesso mare.
Se di giorno tutti sono al mare, di sera sono pronti a scatenarsi in pista, accompagnati dalle note delle canzoni estive, diventate dei veri e propri tormentoni come “Sapore di sale” di Gino Paoli, “Stessa spiaggia, stesso mare” di Piero Focaccia, “Abbronzatissima” di Edoardo Vianello, “Con te sulla spiaggia” di Nico Fidenco.
Dino Risi non perde l’occasione di girare una commedia italiana dal sapore balneare, che si svolge tra le canzoni estive più in voga del momento, e che al meglio mette in evidenza il benessere portato dal boom economico. Si tratta de “L’ombrellone” del 1965.
L’ingegner Enrico Marletti (Enrico Maria Salerno) lascia Roma, a bordo della sua Fiat 1500 spider, per raggiungere sua moglie Giuliana (Sandra Milo), all’Hotel Baltic a Riccione. Lei è abituata a vivere appieno le giornate in compagnia di alcuni amici, lui, invece, sembra non amare questo tipo di vita mondana, dove si fa fatica a dormire – infatti, Enrico, nella sua breve vacanza di tre giorni, non riuscirà a chiudere occhio.
Nei campi lunghi, presenti nei titoli di testa, si può vedere l’immensa spiaggia di Riccione affollatissima di gente. Ad accompagnare questo scenario balneare è una canzone dal sapore estivo, un tormentone a tutti gli effetti: “Sulla spiaggia c’era lei” di Sonia e le Sorelle.
In questo film c’è tutto: il marito che raggiunge la moglie in vacanza, la spiaggia chilometrica piena di persone, le serate ricche di balli e tanto divertimento e perfino il sospetto da parte di Enrico che sua moglie lo tradisca con il giovane Sergio (Jean Sorel); solo in seguito capirà che Giuliana è invece infatuata del banditore d’aste, il Conte Antonio Bellanca, interpretato da Lelio Luttazzi. Alla fine, prima che l’ingegnere torni a Roma, le cose tra i due coniugi si sistemano. La pellicola si conclude con la canzone “Chi siete” cantata dalla grande Mina e scritta da Luttazzi – che tra l’altro si è occupato del commento musicale del film.
https://www.youtube.com/watch?v=shL9NurD9MQ
Ma, adesso, come sono le vacanze di noi italiani? Un insieme di cultura e divertimento: da una parte resta la tradizione del ‘Grand Tour’ con il desiderio di affacciarsi su diverse realtà culturali, dall’altra la necessità di una vacanza di puro relax e svago che, per certi versi, può ricordare quella degli anni Sessanta. Naturalmente il modo di concepire le vacanze è cambiato e la scelta della meta non è più tanto limitata come una volta. Sicuramente la vita frenetica, che la maggior parte delle persone conduce durante l’anno, negli ultimi tempi, ha spinto a voler una vacanza a contatto con la natura.
Una cosa è certa: in un modo o nell’altro, le vacanze restano uno dei desideri più ambiti da tutti – e forse anche una necessità.
Nadia Pastorcich ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.
Con questo articolo, centoParole Magazine vi augura di trascorrere al meglio questi ultimi giorni di vacanza.