La sveglia suona, so che è la mia sveglia, riconosco la suoneria pre-impostata del mio cellulare. Strano ma vero in una frazione di secondo mi avvento sul telefonino e, altrettanto velocemente, mi fiondo fuori dal letto. Nemmeno un sonno di cinque ore e mezza può impedire all’adrenalina di farmi carburare in pochi minuti. Finalmente è arrivato il giorno tanto atteso, una manciata di ore e sarò in una delle capitali più gettonate d’Europa, se non del mondo intero: Parigi. Inutile dire che lo stomaco sotto sopra mi impedisce di fare colazione, non importa, mangerò in treno o in aeroporto. Dopo due mesi di attesa mi sto finalmente preparando per uscire di casa e partire per il suolo francese. Un rapido controllo del mio stracarico bagaglio a mano ed esco di casa, direzione stazione dei treni di Trieste. L’autobus, nonostante non siano ancora le sette di mattina, sembra andare alla stessa velocità di quando rimane imbottigliato nel traffico e la strada che porta in stazione mi sembra durare il doppio rispetto al solito.
Scendo dal bus e Andrea, il mio ragazzo, è già che mi aspetta con i nostri biglietti del treno in mano, non vedo l’ora di fare questo viaggio con lui. Lo spirito d’avventura non ci manca e, anche se sono già stata a Parigi in passato, so che con lui al mio fianco la vedrò con occhi diversi. Non si dice che la capitale francese sia una delle città più romantiche al mondo?
Il treno è già al binario, una capatina veloce al supermercato per reperire beni di prima necessità, e poi in viaggio verso la prossima tappa: l’aeroporto Marco Polo di Venezia. Il viaggio sembra durare meno del solito, almeno per la prima ora e mezza… gli ultimi venti minuti sembrano non volerne sapere di passare. Guardo fuori dal finestrino, il paesaggio scorre inesorabile ma il cartello che indica che siamo arrivati a Mestre sembra non arrivare mai. Ho ancora lo stomaco sottosopra, chiuso in una leggera morsa. È da quando abbiamo acquistato i biglietti dell’aereo che non vedo l’ora di partire, sono sempre stata affascinata da Parigi, ho anche già avuto occasione di andarci ma sempre all’interno di progetti scolastici. Questa sarà la mia prima volta da vera e propria turista! Guardo Andrea e noto che anche lui sta guardando fuori dal finestrino, sembriamo due bambini il giorno prima di Natale, intenti a scrutare l’orologio in attesa della mezzanotte, ben attenti a qualsiasi rumore che possa suggerire l’arrivo di Babbo Natale.
Finalmente arriviamo a Mestre. Scendiamo dal treno come due saette e altrettanto velocemente ci dirigiamo verso la stazione degli autobus e, una volta fatti i biglietti, riusciamo a salire appena in tempo sul bus che porta dritto dritto all’aeroporto. Il viaggio in bus si rivela più ostico del previsto, ad una delle fermate salgono a bordo una sessantina di persone, e io e Andrea ci inerpichiamo sopra la nostra valigia per non essere travolti dal fiume umano. Sono abbastanza abituata a viaggiare in autobus affollati ma non ricordavo che a Mestre potesse essere possibile una situazione del genere. Ho vissuto a Mestre per ben 12 anni, di autobus ne ho presi parecchi, ma non mi sono mai trovata a dovermi fare piccola piccola per evitare di essere calpestata da una fiumana di turisti, nemmeno si trattasse di un bus romano all’ora di punta! L’atmosfera a bordo rimane comunque piacevole, da dove sono seduta riesco a sentire almeno un paio di lingue diverse dall’italiano. Accanto a noi ci sono tre ragazzi che parlano spagnolo accerchiati da un nutrito gruppo di tedeschi.
Scendere dal bus quando arriviamo in aeroporto si rivela un’operazione più difficile del previsto in quanto la gente, una volta scesa dal mezzo, rimane una buona manciata di secondi davanti alla porta senza muovere un passo, il tutto condito da espressioni spaesate. Dribblati i turisti imbambolati per chissà quale motivo, Andrea ed io ci dirigiamo verso i check-in EasyJet e, come poteva essere prevedibile, devono ancora aprire. In effetti siamo arrivati decisamente in anticipo: il nostro volo parte alle tredici e mezza e ora sono malapena le dieci. Sono una persona che preferisce arrivare con netto anticipo ad un appuntamento piuttosto che in ritardo ma devo ammettere che questa volta abbiamo proprio esagerato. L’unica cosa che possiamo fare è aspettare pazientemente il nostro turno. Andrea è in fibrillazione, adora gli aerei e cerca in tutti i modi di aguzzare la vista dalla grande vetrata all’interno della sala d’attesa dei check-in nel tentativo di avvistare una qualsiasi deriva. Restiamo in attesa che l’addetta allo smistamento dei clienti easy jet dia l’annuncio dell’apertura del check in del volo diretto a Parigi. La donna non fa in tempo ad aprire bocca per pronunciare il nome della capitale francese che io e Andrea siamo già scattati in piedi per dirigerci come due schegge verso il bancone dell’easy jet. Ci complimentiamo con noi stessi per non aver sforato il limite di peso del bagaglio destinato in stiva e, una volta finite tutte le dovute procedure, ci dirigiamo verso la parte più temuta dell’aeroporto: i controlli di sicurezza. Io e Andrea eravamo fermamente convinti che avremmo trovato orde di persone, una fila immensa e che avremmo perso una buona oretta solo per superare i controlli e invece ci avremmo impiegato meno di dieci minuti. Tralasciamo il fatto che mi stavo dimenticando di buttare la bottiglietta d’acqua che avevo dentro lo zainetto, si sa, l’agitazione fa brutti scherzi. L’efficiente rapidità dei controlli di sicurezza vuol dire solo una cosa: ora dovremo aspettare più di due ore per salire sul nostro volo.
Andrea non sta più nella pelle, se un’oretta prima si affannava nel tentativo di avvistare un aereo ora è più che contento di sedersi davanti alle grandi vetrate che danno direttamente sulle piste del Marco Polo ed insieme ci mettiamo ad osservare gli aerei che decollano e atterrano uno dopo l’altro. L’agitazione aumenta ad ogni secondo che passa, so che l’attesa è ancora lunga ma sono anche consapevole che ogni minuto che passa è un minuto in meno al nostro imbarco, un minuto in meno all’inizio del nostro viaggio, un minuto in meno a Parigi. Cerchiamo di ingannare il tempo come meglio possiamo: una passeggiata per il terminal, un po’ di musica, il gioco dei loghi sul cellulare senza mai dimenticarci di prestare attenzione agli annunci, quasi incomprensibili, che di tanto in tanto vengono dati dagli altoparlanti dell’aeroporto. Mi sono sempre chiesta se qualcuno sia mai stato in grado di capirli subito al primo colpo…
Finalmente arriva l’annuncio che tanto aspettavamo: le operazioni di imbarco del nostro volo stanno per avere inizio. Io e Andrea siamo due saette, ci alziamo dalle poltroncine e ci dirigiamo al gate d’imbarco, mi sorprendo nel vedere che non siamo i primi. Venti minuti e saliamo a bordo del nostro aereo proprio mentre inizia a piovere, nonostante il sole che batte sulla pista. Andrea non sta più nella pelle, si impossessa del suo posto accanto al finestrino e attende l’inizio del decollo con il sorriso. È bellissimo vederlo così emozionato. Io cerco di mantenere la calma, di sorridere e di fare la disinvolta come lui e l’uomo che si è seduto accanto a me ma non posso trattenere le mie emozioni…ho le meni scosse da un leggero tremito e lo stomaco è andato quasi in tilt. Non vorrei darlo a vedere ma ho un po’ di paura, è da anni che non faccio un volo e l’idea di allontanarmi così tanto dal suolo mi intimorisce. Il mio ragazzo si accorge della mia faccia poco convinta e cerca di tranquillizzarmi quando sento una serie di rumori a dir poco molesti e poco rassicuranti provenire dal nostro mezzo di trasporto. Mi rilasso, per quanto possa risultarmi possibile in questo momento, convinco Andrea a farci un’ultima foto su suolo italiano e subito dopo l’aereo inizia il suo viaggio verso la pista di decollo. Una volta arrivato sulla pista l’aereo accelera, sento i motori rombare e, con il cellulare in mano, riprendo le fasi del decollo. L’aereo si alza da terra.
Il viaggio non è male: l’aereo non balla come avevo immaginato. A rallegrare il viaggio ci si mette il signore che si è seduto nel sedile accanto al mio: non appena siamo decollati è caduto in un sonno profondo e ogni tanto emette suoni a dir poco imbarazzanti, russa come un trombone e non sembra essere infastidito nemmeno dai continui passaggi con il carrello delle vivande. Rido ogni volta che emette strani rumori e con me ride anche Andrea. Il mio buonumore viene presto messo a dura prova: siamo costretti ad attraversare una forte foschia e l’aereo traballa un po’. Non sono un’assidua frequentatrice di aeroplani ma quelle poche volte che mi ci sono trovata a bordo non mi era mai capitato di dover affrontare una turbolenza tanto forte. Mi aggrappo con una mano sul bracciolo del sedile mentre con l’altra stritolo quella di Andrea. Credo di aver trattenuto il fiato per un bel po’. Non faccio in tempo a riprendermi dagli scossoni della turbolenza che è già arrivato il momento di atterrare: un atterraggio da dimenticare. Per carità, non è successo nulla di grave ma è stato molto più tremendo di quando potessi ricordare. L’aereo ha ondeggiato e sobbalzato parecchio, in pratica avevo già messo gli occhi sul sacchetto di carta nel vano portaoggetti attaccato al sedile davanti al mio. Sto talmente male che ho dato ad Andrea il mio cellulare per poter riprendere l’atterraggio, io sono troppo impegnata a combattere con il mio stomaco. Non so come riesco a non dare di stomaco e sono la persona più felice del mondo quando finalmente metto piede fuori dall’aereo. Sono leggermente accaldata quando varchiamo la soglia dell’aeroporto parigino. Andrea ed io seguiamo la massa di persone con cui abbiamo condiviso il volo verso il nastro dal quale spunteranno i nostri bagagli. Mentre Andrea non perde di vista nemmeno per un attimo il nastro trasportatore io ho già lo sguardo fuori dalle vetrate dell’aeroporto Charles de Gaulle: siamo a Parigi.
La nostra avventura può avere inizio!
Alessia Liberti © centoParole Magazine – riproduzione riservata