“Per me, la macchina fotografica è un libro da disegno, uno strumento d’intuizione e spontaneità; la padrona dell’istante in cui, in termini visivi, mette in dubbio e decide simultaneamente. Per poter dare un significato al mondo, devi sentirti coinvolto, devi sentirti dentro ciò che hai incorniciato nel mirino. Quest’attitudine richiede concentrazione, disciplina mentale, sensibilità, e senso della geometria. È con il grande risparmio di mezzi che si arriva alla semplicità d’espressione. Quando scatti fotografie devi sempre farlo con assoluto rispetto nei confronti del soggetto e nei confronti di te stesso”. (Henri Cartier-Bresson)
Nell’arte, per la sua duplice natura – che è sia di rappresentazione di un individuo con ricerca di somiglianza, che di prodotto artistico e quindi non reale – il ritratto ha avuto una storia molto particolare. Le qualità e l’aderenza al vero di un ritratto sono state spesso esaltate, fin dall’antichità e poi nel Rinascimento, ma anche sminuite, in quanto ritenute ostacolo alla libera espressione dell’artista che l’eseguiva.
Nel Cinquecento, la distanza fra chi parteggiava per l’importanza della similitudine a oltranza e chi invece affermava la superiorità dei ritratti in grado di riflettere il concetto e l’idea dell’artefice iniziò a farsi grande: il valore del ritratto verrà via via svalutato, si affermerà l’idea che il ritratto migliore (quello fatto dal grande maestro) sia quello meno somigliante e il ritratto stesso, come opera, e a dispetto dell’enorme e sempre crescente successo di pubblico, avrà meno importanza nelle gerarchie d’arte – fino al Romanticismo. [a lato: Arcimboldi]
L’invenzione della fotografia, nella prima metà dell’Ottocento, e il suo rapido sviluppo, hanno determinato nella storia del ritratto una grandissima svolta, eppure il percorso intellettuale è stato incredibilmente (per natura stessa della fotografia) analogo a quello del ritratto fatto con mezzi più antichi, e ciò ci fa capire ancora una volta, e al di là dei dubbi, come la fotografia non sia essa stessa altro che un mezzo d’espressione artistica, un ‘ferro del mestiere’ per niente fine a se stesso, e come la componente tecnica non sia – o non debba essere considerata – preponderante.
Oggi parliamo di ritratto fotografico, quindi; non della sua storia, lunga e articolata, ma della pratica – parliamo del come fare e del cosa tenere in considerazione nel momento in cui ci apprestiamo a ritrarre una persona attraverso l’uso della nostra macchina fotografica.
Un ritratto ambientato utilizza ciò che sta attorno al soggetto per raccontare qualcosa di più sul soggetto stesso. Talvolta l’ambiente è direttamente correlato con il soggetto, quindi con chi la persona fotografata è, o con quale siano la posizione sociale e il suo ruolo (ad esempio la sua casa, il suo luogo di lavoro, o una comunità all’interno della quale presta la sua opera). Altre volte il luogo nel quale la fotografia viene scattata ha poco o nulla a che fare con la realtà di vita del soggetto, ma contribuisce a creare un’atmosfera che permette di capire meglio quella specifica persona e il suo carattere.
Nel ritratto ambientato l’ambiente non dovrebbe soverchiare l’importanza del soggetto. Il vostro scopo è ritrarre ed esaltare la persona, non quello di avere una persona come accessorio a un ambiente. Nel ritratto di moda, le regole cambiano, e la modella e il modello possono diventare (ricordando l’importanza dell’etica nella fotografia) qualcosa più simile a un oggetto che porta (o non porta) addosso un abito piuttosto che a una persona (la maestria del fotografo sta poi nel saper far emergere sia la personalità che l’abito o l’accessorio nella piena soddisfazione dei suoi clienti).
Per quanto riguarda il luogo, qualsiasi ambiente può diventare, per voi, uno studio fotografico – permanente o temporaneo: un garage, un salotto, una stanza vuota, i muri che delimitano un cortile. In fin dei conti, il vostro studio è semplicemente il luogo in cui studierete e controllerete le luci. Come fare in modo che lo sfondo, il contesto, non risultino caotici nella composizione – come evitare che siano fonte di distrazione?
Una foto composta solo da elementi che hanno – nel vostro progetto – un significato molto probabilmente non sembrerà caotica, perché ci avrete già ragionato sopra. Idealmente, ciascuno degli elementi che avete nella foto dovrebbe contribuire ad aggiungere qualcosa al ritratto, ed emerge ancora l’importanza della preparazione prima dello scatto. Ciò non significa che dovrete per forza avere molte cose nel ritratto – e non significa neppure che dovrete per forza ridurre il numero delle cose e degli elementi che avevate in mente o che trovate sul luogo – ma solo che dovrete pensare.
Il tempo necessario per scattare una buona foto – per fare un bel ritratto – è molto variabile. A volte, abbiamo a disposizione cinque minuti e un solo tentativo (come nel caso di molte foto da cerimonia); in altre situazioni abbiamo a disposizione diverse ore, o la giornata intera. Se c’è bisogno di tempo per preparare tutto, è meglio aver messo subito in chiaro, aver ben chiaro in mente – in particolare se si tratta di un ritratto commissionato – quanto di quel tempo sarà speso in preparazione e quanto sarà impiegato per la foto vera e propria. Tipicamente, se il tempo che ho a disposizione per un ritratto è poco e la mia finestra di lavoro inizia alle sei di sera, cercherò di arrivare sul posto alle cinque, per controllare ancora una volta tutto e cercare di comprendere pienamente l’ambientazione e la luce.
“Le mie fotografie non vanno sotto la superficie. Non vanno sotto a niente. Sono letture di ciò che sta alla superficie. Ho molta fede nelle superfici. Preferisco sempre lavorare in studio. Isola la gente dal suo ambiente. In un certo senso … diventato simboli di loro stessi”. (Richard Avedon)
Nel caso di un lavoro su commissione uno scatto buono è uno scatto che produce immagini che un editore possa utilizzare, ad esempio per una storia, una copertina – o che possano essere aggiunte, da un cliente, a un foto libro o a un album che conserverà per il resto della sua vita. Ed ecco di nuovo la differenza fra foto amatore e professionista: un professionista non produce immagini destinate alla sua gioia e soddisfazione personali (anche se il saper gioire comunque per le immagini prodotte e destinate ad altri può essere comunque ritenuto un buon obiettivo da raggiungere). Il professionista si concentra su ciò che il suo cliente desidera, e in questo percorso ci sono delle buche, e si può cadere e farsi male: l’aver perduto delle opportunità per un bello scatto è qualcosa che brucia per un certo tempo – così come il sapere di aver perso un’opportunità di lavoro – ma s’impara a fare via via meglio e a pensare e a predisporre le cose nel modo giusto. Così facendo, si perde la spontaneità? Certo. Ma stiamo parlando di ritratto ambientato, non di Street Pothography, e la spontaneità è solo in piccola parte (in fotografia, così come in pittura) una delle componenti fondamentali di questo tipo di lavoro.
Prima del ritratto. Per lavorare bene, ci vuole l’atmosfera giusta – e un’atmosfera rilassata è sempre d’aiuto. Il più delle volte un buon modo per rilassare il soggetto è iniziare con lui una conversazione; altre volte, però, possiamo avere a che fare con chi alla conversazione non è per nulla interessato (di solito ce ne rendiamo presto, se non istantaneamente, conto), e allora possiamo cercare di prendere subito il controllo della situazione dando al soggetto istruzioni da seguire, e spiegando che cosa stiamo facendo, in maniera da mostrare che siamo professionali e che sappiamo ciò che stiamo facendo.
Il silenzio è assolutamente da evitare; l’estrema rapidità e prontezza di spirito, in alcuni casi anch’essi estremi (come il celeberrimo ritratto di Winston Churchill senza sigaro, di Yousuf Karsh) possono essere l’unica via.
Cerchiamo di elencare alcuni punti fondamentali che vi aiutino, mentalmente, nella preparazione della sessione di ritratto:
- che cosa volete fare? Se avete quindici minuti a disposizione, volete spenderne dieci a preparare le luci e cinque nel ritratto, o viceversa?
- potete farcela anche senza luce? Ovvero, l’ambiente in cui vi trovate (o vi troverete) ad operare vi consentirà di fare almeno qualche buono scatto anche senza flash e senza troppi compromessi? Se vi sembra di no, considerate la possibilità di cambiare posto, o chiedete il permesso di utilizzare almeno un flash regolato molto basso
- c’è qualcosa che vi aiuta (un oggetto, una luce) nell’ambiente nel quale eseguirete il ritratto, ad esaltarlo? Oppure dovrete farvi attenzione perché questo qualcosa non c’è proprio, disturba o porta via spazio?
- quante foto vi servono? State lavorando su commissione o per piacere personale? Potete scattare quel minimo di foto che vi servono rapidamente, e poi dedicarvi a qualche scatto più rilassato, oppure non ne avrete il tempo o non vi sarà permesso?
Cercate in ogni caso di essere flessibili (non potrete sapere comunque tutto del luogo – e certe cose le scoprirete solo all’ultimo momento), di portare con voi (e utilizzare) un kit d’attrezzatura che conoscete molto bene e che sia il più possibile ridotto all’essenziale, e di non perdere mai la calma. Tutto ciò di cui avete bisogno per eseguire un ritratto molto buono sono la concentrazione, un obiettivo, un flash.
La collaborazione del soggetto è, anch’essa (i casi estremi sopra citati non fanno che confermarlo), una componente fondamentale. Un soggetto che abbia già posato molte volte per un ritratto avrà controllo completo della propria immagine e comprenderà anche le difficoltà che state avendo voi: in cinque minuti, è probabile che vi permetta di ottenere dieci buone foto. Viceversa, un soggetto nervoso, in ritardo, o non collaborativo, risulterà fondamentale nel … farvi perdere l’intera giornata senza che vi sia consentito ottenere un solo scatto buono. In questo caso, se si tratta di una situazione riproducibile e considerato che l’atmosfera è qualcosa che si percepisce immediatamente, è meglio interrompere, scusarsi e rimandare a una prossima occasione. Se non lo si può fare, come a una cerimonia perché essa stessa è irripetibile, il risultato non sarà buono – ed è quindi meglio investire con i soggetti un po’ di tempo in più prima dell’evento, per prepararli e spiegare loro che la loro collaborazione è fondamentale. A patto che non si tratti di Churchill, naturalmente.
Un diaframma chiuso a metà. Nel ritratto, è comune utilizzare la modalità manuale (‘M’), attraverso la quale controlliamo tutte le funzioni della fotocamera, o la priorità di diaframma (‘A’), che permette di selezionare la profondità di campo e l’apertura di diaframma più adatta alla foto, lasciando all’elettronica il compito di calcolare il tempo che consente la corretta esposizione. Se non avete ben presente che cosa il diaframma sia in una macchina fotografica, potrete trovare con facilità molte informazioni in proposito sui manuali o su Internet; ci basti ora ricordare che più aperto il diaframma è, più basso sarà il numero/f corrispondente riportato sul menu e sull’ottica, e più ridotta sarà la profondità di campo. L’opposto per diaframma molto chiuso: numero/f alto e profondità di campo molto grande.
È fra i 2 e i 4 ‘stop‘ (uno ‘stop’ rappresenta l’aumento o diminuzione della luce che raggiunge il sensore, o la pellicola, di un fattore due) che precedono la minor apertura di diaframma possibile sul vostro obiettivo (ad esempio, f/16) che la lente dello stesso darà la massima precisione, il miglior risultato in qualità dell’immagine, ed è per questo che quella più usata nel ritratto è la gamma che va da f/8 ad f/11. Un obiettivo con il diaframma aperto almeno a f/8 da’ come risultato un’immagine molto incisa, con profondità di campo adeguata a mantenere nitido e a fuoco l’intero viso del soggetto – e allo stesso tempo non così grande da eliminare qualsiasi sfumato dallo sfondo. Un po’ di sfumato (‘bokeh‘) è gradito, e ci permette di separare leggermente il soggetto dallo sfondo.
C’è una nuova tendenza, fra i fotografi (anche fra i professionisti di cerimonia e matrimonialisti), a scattare ritratti molto spinti nei toni, quasi HDR (in ampia gamma dinamica) o HDR, con luce dura su entrambi i lati e con le componenti dinamiche successivamente ancora esaltate in fase di elaborazione (in Photoshop o Lightroom). È di moda. Non si può definire sbagliato, e talvolta è piacevole, ma non è la nostra percezione di ritratto – che è più classica e prevede toni più equilibrati e meno elaborazione software.
La direzione degli occhi. Se le vie di mezzo possono essere indubbiamente artisticamente creative, è buona prassi avvicinarsi al ritratto utilizzando almeno qualche regola di base. La direzione in cui il soggetto guarda è molto importante, e il suggerimento è quello di utilizzare uno di questi due modi di posare:
- occhi rivolti direttamente verso la fotocamera (al centro dell’obiettivo), oppure:
- occhi che guardano nella direzione del naso
Quando un soggetto guarda in qualche altra direzione, in modo ambiguo, proprio quell’ambiguità è ciò che viene trasferito alla foto – quasi come se il soggetto stesse guardando verso qualcosa che non c’è, dove dobbiamo guardare anche noi, ma che non esiste. Certo, potrebbe essere voluto – ma, nel ritratto classico, quest’ambiguità non è qualcosa che cerchiamo.
La focale lunga. Utilizzare una lunghezza focale maggiore di quella dei 50mm di riferimento (spostandosi quindi verso il teleobiettivo) ci costringe ad allontanarci dal soggetto, e il risultato di questo movimento, e dell’ottica, sarà un’immagine leggermente schiacciata – che si vedrà anche sulle caratteristiche del viso del soggetto, e lo farà sembrare leggermente più magro. Cosa che, seguendo i canoni di bellezza contemporanei, non risulterà sgradita. Attenzione naturalmente alla qualità – e quindi, a non allontanarsi troppo, e a non utilizzare lo Zoom troppo spesso in modo da non perdere dinamicità. Una lunghezza focale adatta per un ritratto è quella fra i 70mm e i 135mm, tenendo a mente la differenza di risultato che abbiamo fra una fotocamera Full Frame e una con sensore di dimensioni più ridotte.
Illuminare di lato. Il controllo della luce è fondamentale nel ritratto: illuminare il soggetto nel modo migliore vuol dire aver portato a compimento già metà dell’opera. L’utilizzo di una sorgente luminosa (come, ad esempio, il flash montato sopra o a fianco del mirino della fotocamera) che si rivolga verso il soggetto con lo stesso angolo della fotocamera è assolutamente sconsigliato, in quanto schiarisce troppo le parti direttamente esposte, elimina le ombre e appiattisce completamente l’immagine. Basta muovere di un poco il flash o la lampada che illumina il soggetto rispetto all’angolo dal quale lo stiamo guardando, ed ecco le ombre ritornare, e immediatamente si ha di nuovo profondità. Se abbiamo a disposizione un flash solo, e siamo in condizioni d’emergenza (come ad esempio in una cerimonia), far rimbalzare la luce su una superficie (un muro; il soffitto) anziché rivolgerla direttamente verso il soggetto è fondamentale.
Se abbiamo a disposizione due flash, preferibilmente con dei diffusori (softbox) o con un Beauty Dish, siamo nelle condizioni ideali per ottenere ritratti di grande qualità. In caso contrario, non scoraggiamoci: spesso la luce della finestra può fare essa stessa da sorgente luminosa, e il trucco sta a quel punto nel muovere e posizionare il soggetto anziché nel manipolare la luce: la luce di una finestra e un flash solo (quello della fotocamera, regolato alla potenza minima per schiarire e fatto rimbalzare) possono dare ottimi risultati. Un colpo di flash anche in piena luce del giorno (preferibilmente, col sole basso), per illuminare le piccole zone d’ombra e schiarire il viso e gli occhi, fa sempre la differenza.
In tutti i casi, è sconsigliato avere una sola sorgente luminosa sul soggetto; per contro, se avete molte sorgenti luminose che controllate perfettamente (come un sistema di flash sincronizzati, ad esempio), ricordate che il minimo movimento del soggetto nell’ambiente di luce che avete creato vi costringerà a calcolare e verificare tutto di nuovo.
Di tre quarti. Il secondo fattore fondamentale nella buona riuscita di un ritratto è la capacità del fotografo di dirigere il proprio soggetto e interagire con chi sta di fronte alla macchina fotografica e sta per essere fotografato. Un soggetto che stia esattamente di davanti all’obiettivo della macchina fotografica, presentandosi frontalmente, ‘riempie’ letteralmente l’immagine con se stesso producendo qualcosa di simile a un cubo che domina su tutto il resto. L’effetto migliore in un ritratto, a meno di non avere uno scopo ben definito e un motivo particolare per fare altrimenti, si ottiene con il soggetto leggermente di tre quarti, che si volta verso la fotocamera e ha il mento leggermente sollevato e proteso verso di noi, come guardandoci dall’altro in basso (nessuno vuol vedere doppi menti nelle foto) e la spalla rivolta verso il fotografo a un’altezza leggermente diversa da quella dell’altra. Appare più slanciato, le sue linee risultano più interessanti, e lo sguardo cerca il nostro o va poco oltre. Ancora una volta, la pittura ci insegna. E, ricordate: leggermente. Non in modo ostentato. Tutta una questione di (vostro) esercizio (nel dirigere e consigliare il soggetto).
E, nel dirvi questo, ancora un piccolo particolare: fate attenzione alla linea del naso. Abbiamo detto: leggermente ruotato, di tre quarti – bene, se il soggetto ruota il viso, il suo naso lo deve accompagnare – e rientrare in modo armonioso nella figura generale del visto. Scartate subito l’inquadratura nella quale il naso risulti completamente o quasi al di fuori dal visto, perché l’esalterebbe troppo e rovinerebbe quella stessa armonia di linee che, con il movimento del busto, delle spalle e del mento, avete faticosamente costruito.
Via i vestiti! Ovvero: suggerite al vostro soggetto di non indossare abiti dai colori sgargianti, o accessori molto importanti. Costituirebbero una distrazione per chi guarda la foto, e la sua attenzione sarebbe automaticamente attratta verso l’accessorio o l’abito, trascurando la presenza del soggetto. Il ritratto è il ritratto di una persona, non di un oggetto. A meno che non stiate scattando moda, e se così fosse – come detto per il rapporto fra modello o modella e fotografo – la persona ritratta nella foto diverrebbe quasi irrilevante. Con i dovuti distinguo.
Per lo stesso motivo, togliete dallo sfondo qualsiasi cosa che possa distrarre dal soggetto l’attenzione di chi guarda. Anche se potreste essere tentati da ritrarre una persona con sullo sfondo un arcobaleno o un tramonto, non è la strada migliore: il soggetto, in quel caso, diverrebbe un’estensione del paesaggio e non è ciò che vogliamo fare. Questo è, peraltro, il motivo per cui la maggior parte dei ritratti vengono fatti utilizzando un noioso sfondo bianco o grigio, o una texture semplice. La semplicità è la parola chiave: solo l’uomo o la donna, solo il soggetto conta.
L’etica del ritratto. Siamo qui, intenti ad usare la luce per cercare di catturare nella nostra fotografia qualcosa che sia di più che la faccia di una persona. Stiamo cercando di catturare la sua personalità. È giusto farlo? E, soprattutto, come possiamo farlo? Forse, le persone che vediamo nelle foto che abbiamo scattato non sono così carismatiche come avevamo immaginato guardandole (o – immaginandole prima di incontrarle). È, forse, il ritratto, l’affermazione (la realizzazione) non di quello che abbiamo avuto di fronte agli occhi, ma di qualcosa che avevamo creato dentro di noi?
Forse – siamo noi, a essere, semplicemente, troppo banali per suscitare emozione in chi guarda un ritratto fotografico, e abbiamo bisogno di trasformare e di trasformarci? Naturalmente, siccome proviene dal pensiero di Andy Warhol, la frase ha doppio significato (com’era solito fare lui), e possiamo capirla meglio leggendo ciò che scriveva:
“Penso che l’ ‘aura’ sia qualcosa che solo qualcun altro può vedere, e, di quest’aura, gli altri vedono solo fin dove vogliono vedere. È tutto negli occhi dell’altro. Puoi vedere un’aura solo nelle persone che non conosci molto bene o che non conosci affatto. Ero a cena, l’altra sera, assieme a tutti i colleghi del mio ufficio. I ragazzi dell’ufficio mi trattano come se fossi immondizia, perché mi conoscono e mi vedono ogni giorno. Però, c’era anche quest’amico carino che qualcuno si era portato dietro, che non mi aveva mai incontrato, e questo ragazzo stentava a credere di star cenando con me! Tutti gli altri vedevano me, ma lui vedeva la mia ‘aura’ ” (‘The Philosophy of Andy Warhol‘).
Molte domande, quindi, con una possibile risposta: ciò che mettiamo nel ritratto non deve per forza essere la verità. Ciò che rappresentiamo – e come lo rappresentiamo, con quali colori, in quale contesto e atmosfera – è una nostra scelta. Se il risultato susciterà emozione, avremo fatto qualcosa di buono, avremo realizzato un ritratto fotografico che continuerà a piacere e a rinnovare quell’emozione. Se sarà stato così, spesso quel ritratto resterà indimenticabile.
Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata
(foto dell’autore – a eccezione di ‘Angry Guy’ in HDR, tratto da DeviantArt)