Mia è una ragazza come tante. Mora come tante, con gli occhi castani come ce ne sono tanti altri; è un po’ più alta della media e con le gambe un po’ più lunghe. Che poi, a dire la verità, quegli occhi non sono proprio come gli altri: sempre sbarrati, sembre pronti a catturare la luce, con ciglia lunghe, lunghissime. Solo due uomini in tutta la sua vita le avevano notate: uno è suo padre.
Mia è giovane ed ha una voglia matta di partire, di vedere il mondo. Ha sempre nella mente un nuovo viaggio, un nuovo cielo e nuove stelle. E’ un turbine di pensieri che non si fermano mai.
Londra, Istambul, casa, Parigi, Tokio, casa… perché alla fine è sempre li che torna, con la mente e con il cuore, non solo con le scarpe. Perché è vero che “casa è sempre casa”, c’è poco da fare. Per quanto essa ami vivere sulla propria pelle il mondo, non può fare a meno di tornare, anche solo per poco, fra quelle quattro mura che sa.
Dicevamo che Mia, all’apparenza, può sembrare una ragazza come tante: tutta sogni, jeans, e musica nei timpani, ma lei si sente un poco diversa. Diversa quando torna a casa con la voglia di leggere Montale o Wisława Szymborska. Si sente diversa quando, nel mezzo della notte, si alza e scrive “un qualcosa, su un non importa dove…”. Mia è una che si sente differente non tanto per quello che fa, ma per come lo fa, per come lo pensa.
Mia è una che, nelle notti d’inverno, esce in terrazzo col pigiama rosa a pois, o si affaccia alla finestra. Il freddo si incolla gelido alla faccia, il respiro diventa tangibile: nuvole di fiato; e gli occhi cercano la luna. Scruta il cielo, Mia, attraverso le sbarre delle lunghe ciglia: stelle, nubi e soprattutto la luna. Si sente piccola (ed un po’ romantica come Friedrich). Si sente quasi impotente e sicuramente sola. E poi, di colpo, è la malinconia, l’amica di sempre: mai fuggita e sempre accolta. Le piace questa malinconia: è un sentire che le si addice, le si addice parecchio e non appena l’avverte corre a scrivere. A volte piangendo, a volte con le labbra increspate da mille preoccupazioni. La penna viaggia e racconta di tutto: del nonno (oh quanto le manca il nonno), della paura, forte, fortissima, di dimenticare, ma ancora di più di essere dimenticata. Scrive del passato per non lasciarlo andare, ma anche del futuro perché non vede l’ora che la travolga.
Lascia solchi pesanti sulla carta, li senti chiaramente passando un dito leggero sulle sue parole. Parole concesse a pochi, a nessuno in realtà.
E così Mia continua a scrivere. Scrive di tutto e di tutti, cara Malinconia, ma scrive sopprattutto di sé.
Francesca Forno © centoParole Magazine – riproduzione riservata