VOLEVO SCAPPARE COL VENDITORE DI ABETI di Gabriella Pison
Macigno, aspro
mi lascia incerta
quest’uomo
che mi dice Danke signora
un sorriso che sa d’erba e di fieno
di vino rosso un po’ stinto
liquida luce negli occhi
che mi seguono nel gesto.
Bizzarro buffo tentativo di farmi la corte.
Mi chiedo se si sia mai specchiato
tra i sassi di un torrente
o forse soltanto nelle lacrime di una donna antica
o nei vapori di un bagno essenziale.
Wie sagt in italienisch Tannenbaum?
Albero di Natale.
Tra questi monti già fasciati di neve
brilla una luce nel suo volto
che io credo innocente
-specie comune d’uomo
innocente al massimo può esserlo stato
tra le braccia di sua madre-
e io che fantastico di saziarmi il cuore
in un modo o nell’altro,
sogno un serto di nontiscordardidime
tra i miei capelli mori
e una carezza ruvida che profuma di caccia
di alari
di fuoco e vento.
Prendo questo abete da 22 euro.
Gli chiedo lo sconto.
Danke signora.
Ho imparato che la gioia sta nelle piccole cose.
Un euro tra le mie mani
concessomi dalle sue resinose e nere.
Vivo d’istanti, d’armonia momentanea e rubata.
Per due euro lo avrei abbracciato…
foto: Serena Bobbo (2014)
Natale a volte è proprio nei più semplici personaggi, come un venditore di abeti. Ci sono dei risvolti umani dietro un Albero di Natale che hanno odore di resine e di boschi, di aria aperta e di purezza. Le mani “resinose e nere” dell’uomo sanno di foreste, di spazi silenti, incontaminati. Alberi che entrano nelle nostre case, che non hanno un prezzo, perché i significati non lo hanno. Sono simboli di Natale, che ci riportano a quando eravamo bambini, avvolti nella nostra innocenza di allora, fatta di attesa e di mistero.
E l’uomo degli Alberi di Natale può anche commuoverci.