“Il giovane favoloso”: è questo il nome del film biografico su Giacomo Leopardi, diretto da Mario Martone che quest’anno è stato presentato alla 71esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Ed è proprio “Il giovane favoloso” ad assere il film italiano più visto della stagione autunnale, con oltre tre milioni di incassi e mezzo milione di spettatori.
Un film che non narra morbosamente e ovviamente la vita di uno dei più grandi poeti italiani, ma che è capace di far emergere il Leopardi uomo, distruggendo così un po’ il personaggio che è stato tracciato nei libri scolastici, o meglio ancora fra i banchi di scuola. Perché è proprio questa umanità che trapela – grazie anche ad un’indovinata scelta di movimenti di macchina – a rendere partecipe l’osservatore, a creare un legame tra ciò che è davanti allo schermo e ciò che vi è dentro. Sicuramente dopo aver visto questo film, dall’impronta un po’ pittoresca, non si potrà non rimanerne affascinati.
Fondamentali e caratterizzanti in questo film sono i codici visivi: il continuo muoversi della macchina da presa, e quindi il variare del punto di vista, fa sì che tutto sembri più vivo, più vero; ed è grazie a tali scelte che lo sguardo dello spettatore può avvicinarsi sempre di più ai volti, in particolare a quello di Leopardi, e di conseguenza entrare a contatto con il suo stato d’animo, la sua malinconia che, in parte, si riversa anche su chi guarda; inoltre i bellissimi campi lunghi sembrano essere dei dipinti, qualcosa di impalpabile; per non parlare delle luci che valorizzano le scene, conferendo al film quella chiave pittorica che affascina, ma che a volte un po’ spaventa, come la natura matrigna leopardiana.
Per quanto riguarda il suono extradiegetico, le musiche che accompagnano il film, può risultare poco azzeccato e coerente con il periodo storico in cui si svolge la vita di Leopardi.
Gli elementi che sono spesso presenti nelle inquadrature di questo film sono le finestre e le porte; basti pensare alle meravigliose vedute fiorentine e napoletane.
E poi è proprio la finestra a consentire a Leopardi di evadere un po’ dagli studi; finestra che si affaccia sulla casa della giovane che tesse la tela, e finestra che permette alla luna di entrare nella stanza piena di libri di Giacomo, il quale si lascia trasportare e inizia a comporre…“Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai / Silenziosa luna? / Sorgi la sera, e vai, / Contemplando i deserti; indi ti posi. / Ancor non sei tu paga / Di riandare i sempiterni calli? ”. E sono proprio le finestre che portano il film al di là di se stesso, attirando l’attenzione dello spettatore, incuriosendolo. Per quanto riguarda le porte – che compaiono di meno rispetto alle finestre – anch’esse rappresentano un punto cruciale e conferiscono al film e a ciò che si vuole narrare un maggior significato: il portone della casa di Leopardi – che è costretto agli studi e a una vita un po’ segregata – rappresenta una via di fuga, o come la stessa parola può far intendere, una porta su un altro mondo, un confine che divide due realtà tanto vicine, quanto lontane.
Anche la giusta scelta degli attori non manca; e ciò lo si può evincere semplicemente guardando il film, che acquisisce maggior enfasi ogni qual volta Leopardi inizia a declamare i suoi componimenti poetici. Un Leopardi interpretato magnificamente da Elio Germano che gli dà vita attraverso le espressioni del volto, l’incurvamento – sempre più evidente – del corpo, e il tono della voce, che come già detto, che sottolinea in modo meraviglioso alcune delle più belle opere leopardiane.
Leopardi (Elio Germano), dopo la rigida formazione e l’infanzia trascorsa a Recanati, sotto il controllo quasi pressante del padre (Massimo Popolizio), grazie agli stimoli e alle parole dell’amico Pietro Giordani (Valerio Binasco) lascia la città natale: la scena si sposta a Firenze, dove Leopardi conosce Antonio Ranieri (Michele Riondino) – nobile patriota – il quale gli starà molto vicino, fino al giorno della sua morte. Ed è proprio in questo scenario che Leopardi si invaghisce di Fanny Targioni Tozzetti (Anna Mouglalis) che però non contraccambia l’amore di Giacomo, bensì si dimostra molto disponibile con l’amico Ranieri. Dopo l’avventura fiorentina, i due amici si trasferiscono a Napoli – terra di Ranieri – dove Leopardi trascorrerà gli ultimi anni della sua vita.
Il film si conclude con un Leopardi, ormai troppo sofferente, che contempla ciò che lo circonda e guardando il cielo, le stelle, dalla sua bocca esce….
“Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de’ mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d’afflitte fortune ognor compagna.”
Un film magnifico, suggestivo, intenso.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Le finestre appunto, che appaiono nel film, sono quelle che aprono a Leopardi la vista non solo degli occhi, ma soprattutto della sua anima, chiusa dalle porte che sono anche, metaforicamente se vogliamo, i suoi stessi adorabili limiti. Poeta, il Leopardi che affascina, nella storia della letteratura italiana, per quella sua marcata malinconia, per il rincorrere l’amore in lui limitato, ma vivo e più sofferto che mai, a causa di quel suo carattere chiuso, molto condizionato dalla sua infelice condizione fisica tanto patita. E gli elementi preferiti della sua poesia sono appunto la luna, che interroga, quasi a volersi far dire cosa faccia lassù nel cielo, pallida e trasparente, proprio come la stessa pelle diafana del poeta sofferente, la malinconia che pervade il suo animo desolato, in cui molti hanno voluto vedere una forzatura di quasi un masochistico compiacimento. Ma chi potrà dire una definitiva verità sul poeta? La tristezza di Leopardi ha colpito un po’ tutti noi che lo abbiamo studiato, con incessanti, ricorrenti e ancora non del tutto risolti interrogativi sulla sua origine, sicuramente questa condizionata da uno stato fisico esteriore che non ha certo arriso al poeta, ma che ne ha sollecitato, pur sempre, se non addirittura determinato, il mirabile contenuto dei suoi versi.
Il film è di per se stesso poesia, grazie ad una scenografia e ad un’ ambientazione che sposano perfettamente il personaggio, ritraendolo in situazioni che meglio non si poteva. Un grande film per coloro che amano il poeta, ma anche per quelli che non gli sono più di tanto vicini nella condivisione dei suoi aspetti più martoriati ed intimistici.
E’ vero! “un po’ tutti i Poeti hanno un Leopardi nell’Anima ♥”.
Grazie Teresa! 🙂
Cesare