Miela frequenta il Liceo classico e lo conclude nel 1954, dopo decide di andare all’Accademia di Belle Arti di Venezia, stabilendosi in Campo Santo Stefano; i pomeriggi invernali veneziani li trascorre nei caffè con gli amici, mentre le estati le passa in Francia. Uno dei suoi insegnati a Venezia è Bruno Saetti: nelle sue opere artistiche prevale la pittura tonale con colori spenti, in netto contrasto con quella di Miela, che invece è una pittura timbrica dai colori accesi.
Nel 1958 si trasferisce con la mamma e la sorella in via Lazzaretto Vecchio, dove ha il suo primo studio. In questo periodo fa la sua prima mostra personale a Trieste e l’anno successivo inizia ad insegnare educazione artistica all’Istituto Statale d’Arte della sua città. Con gli anni ’60 la sua notorietà cresce, fino ad espandersi anche oltre confine.
Nel 1961 assieme al pittore Enzo Cogno apre la galleria d’arte “La Cavana” (in piazza Cavana a Trieste): la prima galleria d’arte cittadina che promuove le nuove tendenze artistiche: l’Astrattismo e l’Informale. Nel ’63 la galleria viene chiusa, ma l’attività di Miela e dei suoi amici artisti continua in Arte Viva, dove lei ed Enzo Cogno si occupano delle arti visive; tale associazione – fondata dall’amico Carlo de Incontrera – organizza concerti, conferenze, spettacoli di teatro. Inizialmente molte delle manifestazioni di Arte Viva hanno luogo presso la Sala del ridotto del Teatro Verdi e poi dal ’65 al ’68 nei locali della Libreria Feltrinelli – Miela dirige con Enzo Cogno e Carlo de Incontrera il Centro Arte Viva Feltrinelli.
All’inizio degli anni Sessanta, inoltre realizza opere decorative sulle motonavi “Guglielmo Marconi” e “Galileo Galilei”; mentre sulla motonave “Raffaello” dà vita alla storia di Pinocchio che ricopre le pareti della sala dedicata ai bambini, è il 1964. Nello stesso anno nasce il gruppo “Raccordosei”, composto da Miela Reina, Lilian Caraian, Bruno Chersicla, Enzo Cogno, Claudio Palčič e Nino Perizi, che organizza numerose mostre collettive a Trieste, nella Regione, a Venezia e nell’ex Yugoslavia.
Miela non si sofferma soltanto sui quadri, ma va anche oltre: applica il suo talento e la sua personalità davvero unica, persino nella realizzazione di alcune scenografie e costumi per il teatro Stabile.
Nel ’67 costruisce il Monumento al paracadutista per la mostra “L’uomo e lo spazio” a Trieste, in occasione del festival Internazionale di Fantascienza. Invece, nel ’70, con il Centro Operativo Arte Viva, Miela partecipa a vari progetti come InterVENTO e Postscriptum.
Nel maggio del ’71, con alcune classi della Scuola media Brunner di Trieste, Miela realizza un murales che ricopre le pareti del cortile della scuola. Dopo aver dato un suggerimento iniziale agli studenti, il lavoro prosegue in modo indipendente – Miela precorre le teorie pedagogiche.
Purtroppo, il 15 gennaio del 1972 – a soli 36 anni – muore a Udine, lasciando un enorme vuoto nel cuore di molte persone. Numerose sono le mostre alle quali partecipa durante la sua vita e altrettante sono quelle postume dedicatele; inoltre, a Trieste, ci sono un Teatro e una scuola materna con il suo nome.
La pittura di Miela non può essere collocata in nessuna corrente, e non segue nemmeno le mode di quegli anni. Come ricorda il critico d’arte triestino Gillo Dorfles, in un catalogo dedicato a Miela del 1980: “[…] è inutile pretendere di includerla nella corrente surrealista: è troppo giocosa, troppo poco morbosa; inutile volerla ascrivere all’arte naïf: è troppo scaltra, troppo tecnicamente consapevole”. La sua è una visione del mondo molto vivace e piena di stupore, un po’ come chi è capace di conservare l’animo del fanciullo. La sua arte spazia tra teatro, pittura, decorazione, illustrazione, disegno.
Primo periodo 1960-1965
Miela aveva un temperamento vivace e fiabesco, era una sognatrice, una manipolatrice di giochi; il suo stile era unico, fuori dagli schemi. In questa prima fase le influenze sono marginali – ad emergere è qualche influsso proveniente dall’area nordica che può rammentare l’Espressionismo tedesco – e la sua omogeneità stilistica è insolita. Nei primissimi anni ’60 troviamo dei dipinti ad olio, caratterizzati da pennellate – o addirittura spatolate – violente, sgraffiate, dal colore materico; risalenti agli anni successivi sono i disegni colorati e i dipinti con le tempere, dove il colore si fa più acquoso, fluido e iniziano ad emergere le caratteristiche narrative, piuttosto che quelle astratte: il raccontare diventa un’esigenza importante per Miela.
Lei si distingue dagli altri artisti proprio per l’atto del narrare, che non manca mai nei suoi lavori, e per l’organizzazione dello spazio: i personaggi navigano in una distesa cromatica, sono sospesi in uno spazio-colore piatto, informe; le figure di uomini, donne, animali, cose, ondeggiano, si scontrano, si amalgamano, formando un’unità dove il segno non è dato tanto dallo spessore del colore, dalla sua matericità, quanto dal tratto sottile.
Le storie da lei narrate, attraverso il pennello, hanno un sottile velo di ironia e racchiudono elementi molto vicini a lei: si ritrae, ritrae i suoi amici, disegna oggetti ricollegabili alle persone che la circondano, come ad esempio il pianoforte – strumento del suo amico musicista Carlo de Incontrera. E le scenette famigliari diventano parte dei suoi lavori; lavori che rimandano ad un immaginario fantastico. I titoli non sono veri e propri titoli: fanno pensare a sogni, favole, giochi mentali.
Pian piano le forme acquistano maggior rilievo, i colori sono a volte accesi e a volte tenebrosi, mentre si accentuano alcuni elementi, che nascono dal mondo di Miela, un mondo tutto suo, fatto di simulacri, personaggi, emblemi che diventano parte dei suoi lavori: il paracadutista, il manichino, il cuore, le forbici, il cuore-brezel, il fuoco, gli oggetti domestici, i televisori, i volti stupefatti, le griglie e i reticoli si uniscono dando vita ad una nuova dimensione onirico-reale. I suoi personaggi sono singolari, sbilenchi, senza corpo, i paracadutisti sono sospesi nei cieli dai colori accesi, irreali, e compare qualche scritta qua e là.
Secondo periodo 1966-1972
In questi anni iniziano le contestazioni giovanili e si cercano nuove vie da percorrere nell’ambiente artistico. Già qualche anno prima, Miela – grazie anche alla direzione della galleria “La Cavana” – ha incontri frequenti con alcuni artisti italiani, che però non condizionano la sua arte in modo diretto. Dal 1964, con la Biennale di Venezia, anche in Europa arriva il Pop americano, e Miela fonde appunto il Pop, i comics e una traccia del dadaismo – soprattutto nel teatro – per creare uno spazio – che ben descrive la sua mentalità espressiva – nel quale i suoi personaggi possono raccontare le loro storie. Gli elementi dei suoi lavori sono scritte parlanti, esseri ambigui, ironici, fantastici, ma anche seri. Il tema del gioco, l’atto ludico, sta alla base di tutto per Miela, che con le sue abilissime mani dà vita a un suo mondo immaginifico, tra realtà e finzione.
I lavori di questi anni sono in parte costituiti da superfici dipinte, costruzioni in cartone, in legno e in lamiera. Grazie agli spettacoli teatrali, le ultime opere di Miela emergono in un momento in cui il teatro d’Avanguardia è appena agli inizi.
Miela crea per il teatro una serie di sagome in cartone, alcune fisse e altre agibili e mobilizzate dalla stessa pittrice: sono pupazzi, cuori, fuochi, forbici, nuvole che possono attaccarsi alle pareti, alle quinte e anche risalire le scale e spesso con parole, frecce direzionali, didascalie sensate o insensate, in italiano o in un ironico pseudoinglese. I colori da lei utilizzati sono piatti e vivaci, spesso ipercromatici.
Miela è l’inventrice del cuore-brezel, del cuore, delle lettere, del lampo, della freccia, degli occhiali e delle forbici; in questa seconda fase pittorica, a questi elementi semplici si contrappongono altri più complessi: il paracadutista, la fiamma fluorescente, la donna con messaggio, il fiammifero autoportante, le nuvole, le lettere by air mail, i guanti, la testa con occhiali e l’albero vibrante.
A ricordare la cara Miela è l’amico fotografo Mario Sillani Djerrahian:
Com’era Miela Reina?
Miela era una persona straordinaria, per come viveva e per quello che faceva. Emanava un sottile umorismo in ogni suo gesto e una grande inventiva nel suo lavoro. Era un’artista in ogni momento della sua giornata, creando e inventando il suo mondo di segni e di messaggi.
Era una persona con mille idee, che non smetteva mai di disegnare: ogni momento era buono per creare qualcosa, anche durante una cena con gli amici; con una semplice salvietta, Miela, plasmandola, dava vita a qualcosa di artistico.
Lei e Miela facevate parte del gruppo “Arte Viva”; mi può spiegare in cosa consisteva tale gruppo, e cosa faceva?
Il gruppo operativo all’interno di Arte Viva era composto da Miela Reina, Carlo de Incontrera, Enzo Cogno, Lauro Crisman, Piccolo Sillani (come mi facevo chiamare allora). Oltre alle mostre d’arte, principalmente si occupava di Teatro Musicale.
Mi descriva brevemente l’arte di Miela Reina dal suo punto di vista…
L’arte di Miela è assolutamente personale; è caratterizzata da sorprese grafiche, pittoriche e di rappresentazioni figurative mai viste.
I suoi lavori emanano gioia, nella composizione e nel colore. Nel panorama artistico triestino Miela è al primo posto.
Come vi siete conosciuti?
Da giovane facevo la scuola di nudo al Museo Revoltella sotto la direzione di Nino Perizi. Miela ci venne a mostrare come disegnava lei. Fu uno shock per tutti gli allievi vederla macchiare con inchiostri e pennelli grondanti il grande foglio da disegno; e alla fine la figura di nudo appariva miracolosamente, piena di bellezza, creatività e intelligenza. Ancora oggi se devo disegnare uso la sua tecnica. In seguito – nel 1967 – fui chiamato a collaborare come fotografo nel gruppo di Arte Viva dove l’amicizia dei componenti fu alla base di ogni operazione artistica.
Ha un ricordo, legato a Miela, che rammenta con piacere?
Tanti sono i ricordi, d’affetto e di stima reciproca. Su tutti le pazze risate scaturite da infiniti giochi verbali, tra lei e Enzo Cogno, che mi lasciavano sfinito il cervello. Tutto era divertimento e tutto era invenzione. Conservo alle pareti di casa i regali che mi faceva. Miela Reina è sempre presente nella mia vita.
E proprio Miela Reina sarà l’omaggio che il concorso “Questa Volta metti in scena… Te stesso” – giunto alla decima edizione – vuole farle. Il direttore artistico dell’intero progetto è Lorena Matic con l’organizzazione dell’Associazione culturale Opera Viva.
Per informazioni: assoc.operaviva@libero.it
Le foto che ritraggono Miela Reina sono di Mario Sillani Djerrahian che gentilmente ce le ha fornite. Le ultime due, in bianco e nero, sono inedite e ci sono state date in concessione solamente per questo articolo.
CentoParole Magazine ringrazia Sillani per aver ricordato Miela Reina.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Un artista, per essere tale, deve essere solo se stesso, senza subire possibilmente influenze esterne di sorta, che ne possono intaccare la personalità e la spontaneità creativa. Ecco perché essere artista nel pieno senso della parola è veramente difficile e arduo. Solo quando si sentono delle intime affinità con una diversa particolare corrente, l’artista si può concedere ad essa, ma ci deve essere allora un tacito assenso, un’accettazione dell’ “altro” convinta e quasi fisica. L’altro stile deve essere sentito in te, penetrare in te, essere come nato in te. Miela Reina rispondeva a tutto questo e perciò è ritenuta al primo posto tra gli artisti triestini. E’ stata lei a far affermare la sua impronta, il proprio stile, a stupire, nei tratti di lei più significativi.
Direi che questo servizio era quasi dovuto a Miela Reina. E di questo dobbiamo ringraziare ancora una volta Nadia Pastorcich.