Gianfranco Oradini, campione di vela, inventore, e amico della famiglia Asburgo. Che impressione le ha fatto Trieste, quando è venuto in questa città?
Trieste è una città sul mare molto bella e mi ricorda la mia gioventù, quando facevo molte gare a Genova; chiaramente Genova è diversa da Trieste: è una città molto più vecchia di questa, che invece è più “recente”, anche come costruzioni. Fino ai primi del Settecento c’erano solo sei-sette mila abitanti, poi con il Porto Franco – istituito da Maria Teresa d’Austria – che è diventato anche punto principale per gli austriaci, Trieste è cresciuta facendo arrivare gente da tutta l’Europa. Questa città è anche multiculturale: ci sono molte chiese e questa è una cosa che va apprezzata. Ultimamente si sente molto parlare di pace e di armonia tra i popoli, e qui a Trieste c’è: avere sette confessioni diverse non è da poco, per una piccola città. Attualmente le costruzioni che sono sul mare sono quelle più importanti e sono anche molto belle, perché costruite sotto l’Impero. La parte interna di Trieste, invece, rispecchia un po’ altre città. Per quanto riguarda il traffico, secondo me, la città è studiata bene: hanno fatto delle zone apposite per i servizi pubblici, i taxi e ciò permette di girare molto velocemente.
Come vede la situazione triestina e cosa si potrebbe fare per migliorarla?
Ci sono molte persone anziane: sono circa un terzo della popolazione e quindi molti pensionati; c’è poca industria, perciò la gente ha molta difficoltà nel trovare un posto di lavoro, anche per i giovani è difficile, e questo è un peccato. Chiaramente non avendo un entroterra non si possono fare grandi cose, per cui bisognerebbe recuperare la parte sul mare, tutte quelle costruzioni che sono ferme, e far rivivere Trieste, un po’ com’era una volta, con tanto movimento sul mare e quindi rilanciare le attività legate al commercio marittimo, che sicuramente gioverebbero a questa città.
Vorrebbe fare qualcosa per questa città, ha un sogno nel cassetto legato a Trieste?
Sono venuto a Trieste anche perché sto seguendo dei progetti con le energie alternative; sto interloquendo con molte persone, e ultimamente sono spesso in Area di Ricerca, perché sono in cerca di uno spazio per finire una serie di esperimenti legati al mio progetto. Vorrei fare anche un filmato in 3D, in modo da far capire in che cosa consiste questo mio progetto, che sfrutta le tre fonti migliori d’energia: vento, sole e acqua.
Sono venuto a Trieste dal Garda, dove c’è l’Ora, un vento molto conosciuto nel mondo – forse anche più della Bora – che è continuo e chi gareggia ha la certezza di averlo costantemente: ciò permette di portare a termine regate importanti, Campionati del mondo, europei, Trofei internazionali – tutte queste manifestazioni hanno fatto conoscere molto bene il lago di Garda, che è stato la mia palestra.
Come dicevo prima, sono venuto qui a Trieste anche perché c’è la Bora che è un vento non costante, e quando c’è non bisogna neanche pensare di uscire in barca: sarebbe troppo pericoloso, perché, venendo da terra, ti butta a largo, e diventa difficile anche un eventuale soccorso.
Per me, invece, la Bora va bene per fare gli esperimenti per il mio progetto, che utilizza il vento per produrre energia elettrica. Ho creato un generatore eolico e volevo testarlo anche con venti molto forti, perché quasi tutti i generatori funzionano con venti medi. Il mio sistema è fatto con l’utilizzo delle vele, e quindi ho la modulabilità della grandezza delle vele, attraverso le tecnologie veliche.
Voglio fare questi esperimenti per capire fino a quanto posso sfruttare la forza del vento; la Bora, essendo preannunciata, mi permette di fare una serie di test che altrimenti non averi potuto fare in nessun’altra parte del mondo: qui la Bora si può prevedere, non arriva all’improvviso e quindi potrei fare delle prove sull’altipiano del Carso per produrre energia dal vento che è la migliore energia rinnovabile; ciò vuol dire non fare inquinamento, non bruciare niente. Portare a termine questo progetto, per me, in questo momento, è la più grande sfida.
E quando è nato questo progetto?
Questo progetto è nato nel 2006; è stata un’intuizione. Ho creato il prototipo e sono stato seguito anche da molte università di tutta Italia: ho parlato con quella di Torino, di Milano, di Trento, di Padova, di Venezia, e anche di Trieste. Ho chiesto l’aiuto di queste università anche per capire certe dinamiche: io vado in barca a vela, ma non sono un elettricista, non mi intendo di certe cose e così ho voluto avere dei chiarimenti. Adesso vorrei fare delle verifiche, perché prima di portare un prodotto sul mercato, bisogna avere la sicurezza che funzioni. Chiaramente c’è molto interesse dietro al progetto, che servirebbe per illuminare le isole, o i monti, i rifugi, dove non c’è corrente e dove devi avere un generatore. Ovviamente è più facile portare la corrente su un’isola che su un monte, però lo scopo del mio progetto è di vedere dove posso avere gli spazi, in modo tale da fare un sistema della giusta grandezza, che sia in grado di produrre energia in tutti i posti, anche quelli più impensabili, irraggiungibili. Adesso sono riuscito, assieme ad altre persone, ad avere quello che mi mancava: l’accumulo, perché se si produce la corrente, bisogna subito usarla, se no la si perde. Mediamente nel mondo viene persa, tra giorno e notte, la metà dell’energia che si produce.
Con il mio generatore, si vuole dare la possibilità alla gente di andare a vivere anche nei posti più remoti; si vuole far recuperare degli spazi non utilizzabili dal punto di vista umano, perché se non hai la corrente, se non hai l’acqua potabile, non puoi andare a vivere in certi posti. Noi abbiamo completato un sistema, abbinato al mio, che permette la potabilità dell’acqua attraverso l’osmosi inversa, e di avere un sistema satellitare e Wi-Fi; ciò vuol dire essere collegati con il mondo, e questo potrà essere un aiuto per chi vive nelle zone rurali, e con la tecnologia i bambini potrebbero essere in collegamento da casa con la scuola – attraverso un tablet o un computer – senza doverci andare. Anche per chi è malato sarebbe molto più semplice seguire le lezioni scolastiche restando a casa.
A Trieste ci sarà anche un progetto molto importante che riguarda la telemedicina, e anche questo è molto legato al mio progetto. Il sistema può essere pure messo su ruote, per cui diventa trasportabile, e può essere di prima necessità: per esempio, quando c’è un terremoto, la prima cosa che viene a mancare è la corrente, i collegamenti con i cellulari; quindi noi vogliamo creare dei sistemi, anche piccoli, di prima emergenza.
Lei è cresciuto sul Lago di Garda e ora vive a Trieste; che differenza c’è tra la navigazione per lago e quella per mare?
Il lago ti dà più sicurezza, perché hai dei punti di riferimento e quelli non li puoi cambiare: quando bordeggi ad un certo punto arrivi sotto costa, ti tocca virare, quindi, in teoria, ti senti più sicuro. Il mare, invece, è aperto: se ti viene un vento da terra molto forte, tipo la Bora, può essere pericoloso perché ti manda a largo, e questo può succedere sia per chi va in barca a vela che per chi va con il Windsurf. Se quando navighi per mare hai una rottura, non hai una capacità di rientro, a meno che tu non abbia un motore o qualcuno che ti soccorra. Mentre, per quanto riguarda il lago di Garda che è lungo 60 chilometri, sai che se ti va male, dopo qualche ora, o da una parte o dall’altra arrivi a riva. C’è anche un ottimo sistema di soccorso: tante volte la gente che guarda il lago, quando vede che ci sono dei problemi, avvisa i soccorsi, mentre in mare diventa molto difficile capire cosa succede, a causa delle enormi distanze.
Quando ha capito che il mare era il suo elemento?
Il mare mi ha sempre affascinato; ho fatto gare un po’ in tutto il mondo; ho partecipato alle Olimpiadi del ’76 – è stata una bella esperienza. Eravamo sul lago Ontario che è considerato come un mare, perché non vedi neanche dove finisce; poi ho partecipato ad un campionato nel mondo in Brasile e lì ci hanno portato molto a largo, tanto che una sera, che era calato il vento, siamo rientrati col buio e non è stato per niente facile; però sono tutte esperienze che quando sei giovane ti fanno meno paura. Nella barca è molto importante l’esperienza.
Oggi i ragazzini quando escono con gli Optimist, vogliono subito competere: ognuno vuole avere la vela migliore; secondo me, invece, bisognerebbe che tutti avessero lo stesso tipo di imbarcazione e, inizialmente, dovrebbero divertirsi, e non fare subito gare. Fino a quando non sono maturi, dovrebbero essere ospitati, come equipaggio, da persone con più esperienza.
Ho notato che a Trieste ci sono più barche a vela che motoscafi – il contrario di quello che c’è nel resto dei porti italiani. Quello che mi stupisce è vedere tante barche a terra anche quando il tempo è buono. La gente esce poco in barca, e alla fine le imbarcazioni vengono utilizzate quasi come una seconda casa.
Qual è l’attrezzatura che bisogna portare in barca, durante una regata?
Anche se si parte con il sole, bisogna ricordarsi di avere sempre tutto, perché qui a Trieste il tempo cambia velocemente, come al Garda, e come un po’ ovunque. Appena si alza un po’ di vento, se c’è una situazione anche di un piccolo pericolo bisogna avere sempre un salvagente addosso; bisogna essere sicuri, perché si può scivolare, si può cadere, si può prendere un boma in testa, si può rimanere attorcigliati attorno alla scotta. La sicurezza deve essere sempre la prima cosa: penso che la vita valga più che un giretto fatto senza usare la testa.
Lei è un olimpionico e campione d’Europa; cosa mi racconta a proposito?
Ho partecipato alle Olimpiadi e sono stato campione d’Europa sul Laser – oggi la barca più diffusa al mondo. Con la stessa barca ho fatto anche due mondiali: uno a Kiel e uno in Brasile; poi ho partecipato ai mondiali con il Flying Dutchman a Weymouth; ho fatto un mondiale con il windsurf in Thailandia a Pattaya; ho vinto una Giraglia con una seconda classe, ho regatato con i campioni del mondo dei Dragoni; ho fatto i Campionati d’Europa un po’ dappertutto. A me è sempre piaciuto cambiare, perché per me la vela è una sfida. Purtroppo molta gente va per tutta la vita sempre con la stessa barca, e quindi è bravo con quella, ma magari con un’altra non sa cavarsela tanto bene; questo è un po’ un limite per la loro conoscenza. Invece a me è sempre piaciuto cambiare: nel ’75 avevo a casa mia, in riva al lago, quattro barche: il Flying Dutchman, il 470, il Tornado, il Laser. Nel ’75 – l’anno in cui sono diventato campione d’Europa di Laser – mi avevano messo come probabile olimpico sul Flying Dutchman e sul 470; poi invece le Olimpiadi le ho fatte con il Soling,
Lo ripeto, a me piace cambiare imbarcazione: ogni barca ha le sue problematiche, e gareggiando con la stessa imbarcazione si finisce per avere sempre gli stessi avversari, quindi si sa già, a grandi linea, come andrà a finire la gara. Preferisco divertirmi e magari arrivare più indietro che ritrovarmi sempre nella stessa situazione. Adoro la sfida.
Inoltre ho fatto regate assieme a degli olimpionici su vari tipi di barche, e non facevo sempre il timoniere, ho fatto anche il prodiere; c’è sempre da imparare quando sei in barca con qualcun altro: puoi vedere come un campione fa la regata, come sceglie la tattica della partenza, del bordeggio, come porta la barca. Da giovane stavo molto attento e cercavo di imparare il più possibile, quello che dovrebbero fare anche i giovani d’oggi.
Anche suo padre gareggiava?
Sì, mio papà aveva vinto le prime due Intervele di Riva del Garda – ’51 e ’52 – con la Jole olimpionica, poi è passato alla Star, ma per questioni di salute, ha dovuto smettere.
La passione per la barca l’ho sempre avuta. Da piccolo avevo ricevuto una barchetta piccola che sembrava un guscio di noce – quindi senza bordo – e uscendo sul lago di Garda, con il vento molto forte, dovevo stare attento a non farla minimamente piegare: con le onde che c’erano, potevo imbarcare acqua. Questa esperienza mi è servita tantissimo. Ospitavo sempre qualcuno in barca per farmi peso: fratelli, amici, ragazzine dei campeggi confinanti con casa nostra; tante volte partivo la mattina e tornavo alla sera con il tramonto.
Per lei, quant’è importante lo sport?
Intanto tiene impegnati e, teoricamente, lontani da pericoli. Quando giovane io non c’erano problemi legati alla droga, non c’erano i telefonini, i computer e si cercava di passare il tempo libero all’aria aperta. Noi avevamo la canoa, giocavamo a tennis, d’inverno andavamo a sciare, e ci muovevamo solo con la bicicletta. Eravamo cinque fratelli e i genitori lavoravano e quindi non avevano tempo per portarci avanti e indietro, ma in famiglia eravamo molto sportivi e fisicamente preparati. Perciò, quando stavo fuori molte ore con il Laser riuscivo a sopportare bene gli sforzi.
Dato che siamo nel periodo della Barcolana, lei ha mai partecipato a questa regata?
La prima Barcolana, la 40esima, l’ho fatta nel 2008. Nel 1969 nasceva la Barcolana e in quello stesso anno io ho avuto il piacere e l’onore di vincere la Centomiglia del Garda, per questo motivo sono molto legato a questa data. Se la Barcolana è considerata una delle più importanti regate in mare, in Europa, la Centomiglia del Garda è considerata fra le più importanti gare in lago, sia in Europa che nel Mondo. Sono due regate dove è permesso partecipare a tutti i tipi di imbarcazioni: non è una vera competizione, è una grande festa della vela. All’interno di queste regate ci sono le varie classi, quindi c’è il primo assoluto, il primo di categoria. Le barche di una certa dimensione sono sicuramente avvantaggiate, soprattutto se sono portate da gente esperta.
Nel ’69, quando ho partecipato alla Centomiglia, avevo 17 anni e il mio timoniere era Fabio Albarelli – con lui ho poi fatto le Olimpiadi nel ’76. Noi avevamo stabilito un record sia di percorrenza all’ora, che il distacco più alto nella storia della nostra regata – 2 ore e 10 al secondo.
Quella volta, sul lago di Garda, soffiava l’Ora e abbiamo avuto anche momenti di 50 nodi, che hanno creato grossi problemi all’organizzazione.
Nel ’74 ho partecipato ad un’altra edizione della Centomiglia con un campione tedesco. La partenza era davanti a Gargnano a mezzanotte. Noi abbiamo girato per primi la boa di Sirmione, in un’ora e dieci, ma all’improvviso è arrivato un temporale e il vento è cresciuto oltre i 50 nodi e quando eravamo di bolina, con quattro persone a trapezio, abbiamo disalberato e quindi la nostra regata si è conclusa. Quell’anno erano partite duecento barche e ne sono arrivate ventiquattro. Noi abbiamo avuto la fortuna di entrare, con la nostra Brivio, nel porto di Desenzano alle tre e mezza di notte, anche senza l’albero, con la sola forza del vento.
La gara che le è rimasta più impressa?
In senso positivo la Centomiglia; la metto al numero uno, perché ero giovanissimo; e avevo Albarelli, come timoniere – l’anno prima aveva vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Acapulco – quindi avevamo un tifo da stadio su tutto il lago. C’era molto vento e abbiamo avuto tante difficoltà: noi avevamo un catamarano con il telo infilato in corsie lungo gli scafi e quindi il vento non riusciva a defluire – ora hanno messo dei cordini che permettono al vento di passare – ma un telo si è scucito e forse grazie anche a questo evento, abbiamo vinto.
Invece in senso negativo, ricordo un trofeo molto importante con i catamarani a Torbole, dove ero sicuro di vincere, e invece ho perso per 0,6 punti. Mi ha battuto un francese che poi è diventato campione del mondo e anche medaglia d’oro alle Olimpiadi con il catamarano.
Che emozioni prova quando naviga?
Mi sento libero. Andare in barca è sempre molto bello, sia se si va da soli, sia con gli altri. Naturalmente se si è da soli, ogni decisione e responsabilità ricade su noi stessi, mentre se si è in compagnia, si può condividere bei momenti, ma a volte può succedere di dover discutere una scelta tattica e magari perdere il momento giusto per fare un’azione.
Se le dico la parola “mare”, cosa le viene in mente?
Il mare, visto che ora ho di fronte il castello di Miramare, mi viene in mente la parola mirare, guardare il mare: per me è come vedere l’infinito; chiaramente il mare ti dà tutta un’altra sensazione rispetto al lago: dove hai dei confini, dove il panorama è diverso. Sul lago di Garda si affacciano montagne molto alte e quindi il sole quando sorge, prima di superare le vette, ci mette più di due ore, e quindi se uno esce con la barca alla mattina, si trova all’ombra e sente più il freddo; mentre in una città di mare, ciò non accade: non ci sono confini, lo sguardo è aperto e il sole, quando c’è, c’è.
Adesso parliamo degli Asburgo; lei come li ha conosciuti?
Nel ’69, quando avevo diciassette anni, ho trascorso un mese in Baviera, ospite di un’amica di famiglia e lì ho conosciuto Leopoldo di Baviera – il bisnipote di Ludwig III e Otto d’Asburgo – e le sue figlie. La più vecchia aveva un anno meno di me; ci siamo poi frequentati per tutto il periodo della vacanza e poi anche negli anni successivi: questo per me è stato molto bello. Tornavo in Baviera sempre volentieri, perché, oltre alla buona compagnia, imparavo il tedesco. Ero fortunato perché, quando andavo in Germania, ero ospite in uno dei due castelli di Leopoldo. Nel 1810 la sua famiglia, in occasione delle nozze del principe ereditario Ludwig I, aveva organizzato la famosa Octoberfest. Dopo Ludwig I c’è stato Ludwig II, che è molto famoso per i suoi bellissimi castelli. Tornando alla mia amicizia con Leopoldo, anche lui andava in barca e quando ha cominciato a fare le regate sul Garda, io lo ospitavo a casa mia. Siamo diventati molto amici e a casa sua ho avuto la fortuna di conoscere anche i suoi cugini che venivano da tutte le parti del mondo ed appartenevano sia al ramo dei Wittelsbach – quindi di Sissi, che ha sposato Francesco Giuseppe, che invece era un Asburgo – che a quello degli Asburgo. Le due famiglie sono sempre state imparentate, sia nel passato che tutt’oggi. L’ultimo imperatore della famiglia Asburgo, dopo l’abdicazione di Francesco Giuseppe, è stato Carlo I. Suo figlio primogenito, Otto ha dovuto vivere in esilio in Baviera a Pöcking sul Lago di Starnberg – di fronte al paese di Berg, dove poi è morto annegato Ludwig II.
Frequentando la famiglia, ho conosciuto anche Markus d’Asburgo che è il bisnipote di Francesco Giuseppe e Sissi e figlio di Maria Valeria – la figlia prediletta di Sissi. Markus oggi gestisce la Kaiservilla a Bad Ischl, dove Francesco Giuseppe a 84 anni – esattamente un mese dopo l’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo – ha firmato l’Erklärung, ossia la dichiarazione di guerra.
Quando è caduta la corona imperiale, le proprietà degli Asburgo sono passate allo Stato, ad eccezione della Kaiservilla che è rimasta alla famiglia, perché era stata comperata privatamente dall’Arciduchessa Sofia – la madre di Francesco Giuseppe, mentre Sissi era la figlia di una delle sorelle di Sofia.
Dopo la morte di Francesco Giuseppe, è salito al trono il pronipote Carlo I – nipote del fratello minore di Francesco Giuseppe, Carlo Ludovico – perché il principe ereditario, Rodolfo si era suicidato, e le discendenze erano cambiate.
Come nasce il Giardino della Pace?
Io vengo da Arco, dove vent’anni fa – nel ’94 – il nostro sindaco di allora, Ruggero Morandi, ha istituito il Giardino della Pace. C’era stata una conferenza delle grandi religioni del mondo: cristiana, musulmana ed ebraica, e per lasciare un segno di pace, è stato scelto come simbolo un albero, da piantare nel giardino di Arco. Il giardino si trova vicino alla Villa Arciducale di Alberto d’Asburgo – primo cugino di Francesco Giuseppe e Massimiliano — che è stata costruita poco dopo l’inizio della costruzione del castello di Miramare. Questo giardino è stato visitato da altri persone illustri: il Dalai Lama, la nipote del Mahatma Gandhi, il sindaco di Betlemme, il presidente della Comunità Europea. Il giardino è stato dedicato anche a due personaggi di Arco: il pittore Segantini e all’ingegnere Caproni. Nel ’99, nel Giardino della Pace, l’Arciduca Markus d’Asburgo ha piantato una pianta di tiglio.
In occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, abbiamo pensato di creare un Giardino della Pace anche nel parco di Miramare, perciò il 6 luglio di quest’anno, Markus d’Asburgo ha trapiantato una palma – donata dal sindaco di Arco – in un vaso più grande. Ora si trova nelle serre del giardino e ogni tanto vado a vederla crescere; quando sarà pronta, verrà piantata vicino al Laghetto dei Cigni, dove dovrebbe sorgere un cippo con i nomi di chi pianterà le future piante. Tale luogo dovrà essere un punto di raccoglimento, dove le persone potranno meditare.
Il 6 luglio è stata una data fondamentale, anche perché corrispondeva alla nascita di Massimiliano e in più si trovava tra l’eccidio di Sarajevo e la dichiarazione di guerra. Per noi è stata una grande giornata di perdono: al mattino con l’Arciduca, la moglie, la figlia, e il suo futuro marito abbiamo partecipato al Perdon di Barbana e nel pomeriggio, alle 17.30, abbiamo dato inizio a questa cerimonia organizzata nel porticciolo di Miramare. Ad accompagnare questo evento è stata la Banda Arcobaleno di Trieste, diretta dal Maestro Erik Žerjal. (n.d.s.)
Sta organizzando qualcosa con gli Asburgo?
In aprile è stata organizzata la rievocazione storica della partenza di Massimiliano per il Messico, e in quell’occasione, Markus d’Asburgo si è fermato a Trieste per qualche giorno. C’è stata una cena all’Hotel Savoia alla quale ha partecipato una parte della nobiltà europea e si è parlato della possibilità di organizzare qualcosa per il prossimo anno – dato che cade il centenario dell’effettiva entrata in guerra dell’Italia. Finora tutto quello che è stato realizzato, l’ho fatto da solo: non ho avuto aiuti economici dalle istituzioni. Per fortuna, sono stato supportato dalla direttrice di Miramare e dal soprintendente Luca Burlotto, per le manifestazioni nel Castello. Mi piacerebbe fare qualcosa che dia più visibilità a Trieste, qualcosa legato sempre alla Pace, che credo stia a cuore a tutti, soprattutto nel momento in cui stiamo vivendo che è pieno di guerre e di violenza.
Ringrazio Gianfranco Oradini per la disponibilità con la quale mi ha raccontato tante cose legate al mare e a Trieste.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Ci sono persone che sono come dei libri aperti, pieni di esperienze, nozioni, storie, avventure interessanti. Trovo che Gianfranco Orandini sia una di queste. Personaggio cui non mancano inconri e iniziative importanti. Il suo progetto di energie alternative trovo sia quanto mai utile ed attuale, in un momento in cui si parla molto e ci si preoccupa pure, in pari misura, di inquinamento terrestre. Mi auguro che i suoi studi possano procedere ed avere quel successo che non potrebbe se non rappresentare un beneficio per il mondo intero.
Orandini, poi, uomo di mare, ma prima ancora vissuto sul lago di Garda, inteso come palestra, da come ce ne parla, per poi saper ancor meglio affrontare le acque marine. Il Lago di Garda lo ha visto gareggiare e gli ha offerto sicurezza di navigazione che il mare non gli poteva da subito offrire. Il vento di Ora del lago è simile a quello di Bora di Trieste, anche se più continuo e costante, quindi privo di quella imprevidibilità dovuta ai refoli che contraddistingue il vento triestino.
Il mare ha avuto su Orandini un fascino particolare, accresciuto in lui dalla passione delle barche, non una, ma numerose, tali da arricchire le sue esperienze di navigazione. Credo che per lui la navigazione migliore sia quella in solitaria, in cui l’uomo viaggia nel silenzio, immerso nella solitudine di un mare che non è poi tanto tale, ma che esalta la singola compagnia di chi percorre una rotta, ponendolo a stretto contatto con la Natura, che non l’abbandona, ma gli fa conoscere ancor meglio se stesso.
E poi interessantissimi il quadro ed i riferimenti storici relativi agli Asburgo che Orandini ci offre!
Potrei dilungarmi ancora, ma rimando il lettore a rileggere ancor meglio l’intervista effettuata da Nadia Pastorcich a questo personaggio affascinante, Nadia, che ci sorprende sempre nei suoi incontri con le persone più varie.
Posso solo dire che, personalmente, pur non conoscendolo, sento particolarmente vicino Orandini, in quanto essendo io vissuto diversi anni a Trieste, ed ora vivendo a Trento, ha unito in me, attraverso le sue parole, il mare di Trieste con le acque dell’attualmente a me vicino Lago di Garda. E’ per me come rivivere un po’ il mio passato e il mio attuale presente, su cui domina, è inutile che lo dica, il periodo trascorso a Trieste.