A quasi un decennio dalla scomparsa di Tom Wesselmann è opportuno ricordare uno dei cicli più famosi dell’artista, che sicuramente lo condusse ad essere annoverato come il più europeo degli artisti Pop. In qualsiasi discussione sul lavoro di Tom Wesselmann è improbabile che il soggetto sia semplicemente pittura; Wesselmann e i nudi sono legati indissolubilmente grazie alla famosa serie Great American Nudes.
Anche se negò più volte l’appartenenza all’etichetta artistica della Pop Art, le sue innovazioni furono un ponte tra il grande passato modernista europeo e l’immaginario contemporaneo della cultura di massa, associando le odalische di Matisse con oggetti del mondo quotidiano, creando così molteplici linguaggi visivi sia amati che disprezzati.
Nei primi anni ’60, durante l’esplosione del fenomeno Pop, egli fu in prima linea nella reazione alla potente eredità della scuola di New York, specialmente William de Kooning, leder negli anni ’40 e ’50 del culto del automatismo e della spontaneità nato dall’Action Painting.
Egli grazie alla sua capacità di associare innovazione, avanguardia a tradizione, riuscì ad avvalorare l’ambizione di costruirsi una solida reputazione.
Anche se il prestigio professionale fu ampiamente riconosciuto – le comunità artistiche europee ed asiatiche non ebbero esitazione ad accogliere l’intero lavoro di Wesselmann – l’ambiente americano non fu così apertamente recettivo riguardo le sue opere dopo gli anni ’60. Infatti l’indiscusso successo dei primi collage fu dovuto in parte all’associazione di elementi patriottici – come i ritratti di Washington, Lincon o Kennedy e gli sfondi con stelle e strisce – che portavano a leggere queste papier collé come una glorificazione americana che eclissò la genialità delle opere successive.
Il risvolto nazionalista era solo un aspetto del suo lavoro, come lo stesso corpo femminile, impiegato per realizzare i suoi più ampi piani: ridefinire la pittura basando il suo lavoro sui classici generi pittorici del nudo, della natura morta e del paesaggio.
Oltre ad essere un artista di fama internazionale Wesselmann si ritagliò un piccolo spazio anche nell’ambiente musicale. La musica non fu solo un passatempo, ma un’ulteriore valvola di sfogo oltre la pittura nella quale si gettò con tutte le sue energie. Ignoto ai più, l’artista americano ebbe un discreto successo come cantautore di musica country, dimostrando con ciò le sue qualità fondamentali: l’intuizione e l’entusiasmo sarebbero state presenti in tutta la sua vita, per quanto esse vennero applicate all’arte relativamente tardi. Nato il 23 febbraio del 1931 a Cincinnati, in Ohio, Wesselmann crebbe in un sobborgo della sua città natale; come egli stesso affermò prima dell’età di 24 anni egli sapeva pressoché “nothing of art and artist”.
Nel 1952 egli fu chiamato alle armi e proprio nell’esperienza militare, durata un biennio, troviamo la prima incursione di Wesselmann nel campo del disegno che egli continuò ininterrottamente ad affinare durante il tempo libero negli anni successivi. La svolta avvenne nel 1956 quando Wesselmann venne accettato alla Cooper Union School, cambiamento fondamentale nella vita del pittore comportando il trasferimento verso il centro artistico americano dell’epoca: New York. Infatti la seconda metà degli anni 50 era il momento ideale per un novello artista, come un fumettista dalle possibilità economiche piuttosto limitate. In questa fase di studio egli fu attratto dall’Action Painting, specialmente di William de Kooning ma nel giro di tre anni egli comprese di aver bisogno di elaborare una sua personalissima poetica superando la sua gestualità. Il 1959 fu l’anno decisivo per il futuro dell’artista: egli passò per una crisi esistenziale sia personale che artistica. Se da un lato egli vide finire il suo primo matrimonio, dall’altro andò sfumando l’interesse per la professione da fumettista per concentrare le sue capacità all’insegna della realizzazione artistica. Nel biennio successivo egli elaborò il suo interesse per il nudo che lo condusse a metà del 1961 alla creazione dei primi esemplari del ciclo “Great American Nudes”. Queste opere nascono come conseguenza non solo della rinascita sessuale che l’artista sperimentò tramite la fresca relazione con Claire Selley – sua seconda moglie dal 1963 – ma vengono alla luce anche grazie alla rivoluzione sessuale che a partire dagli anni ’50 condusse il mondo americano verso una sessualità più libera e più sfrontata. Nell’agosto 1953 venne reso pubblico il rapporto Kinsey sul comportamento sessuale delle donne americane e Hugh Hefner all’epoca iniziò un azzardato ma efficace commercio, che aprì le porte della conoscenza dei generi e della stessa sessualità al grande pubblico per i due decenni successivi. Avvertendo la crescente liberazione delle attitudini personali, Hefner definì il corpo femminile come sommo oggetto del desiderio maschile, ma lo collocò all’interno di ciò che voleva fungere da guida ideale dell’uomo moderno. La rivista Playboy infatti non trattava solo le immagini di pin-up ma associò ad esse articoli d’interesse culturale che spaziavano dagli sport, alla politica, alla letteratura e all’arte. Associando tale tono intellettuale, Hefner si discostò dalle riviste preesistenti, che allora affrontavano solo temi leggeri da uomini quali la pesca e la caccia. Le Playmate sulla rivista possedevano uno spirito leggermente differente dalle pin-up precedenti: la promessa di un possibile approccio sessuale era contornato da un’innocenza appena sufficiente per suggerire l’immagine di ragazza della porta accanto. Dato tale contesto stravolto dalla crescente libertà d’azione, i nudi di Wesselmann possono essere concepiti come opere dall’estrema attualità. Questo risveglio sociale può essere testimoniato anche attraverso la liberazione dalla censura di un romanzo come “Lolita“, avvenuta nel 1957. Il romanzo realizzato da Vladimir Nabokov, nel 1955, racconta la storia delle prime esperienze amorose della protagonista tredicenne con un uomo molto più maturo. I Nudi possiedono moltissime similitudini con i temi del romanzo: l’impertinente sessualità giovanile gettata contro i posati nudi di Matisse, è simile alla volgare sessualità di Lolita; gli interni di nudi suggeriscono gli interni per i fugaci incontri descritti nel libro, e i paesaggi nei poster dei collage richiamano la vita da strada vissuta dai protagonisti.
I Great American Nudes basavano la loro realizzazione sull’uso del collage, muovendosi verso nuovi materiali oltre le pagine dei magazines, Wesselmann adoperò poster pubblicitari scartati dai muri cittadini e da quelli della metropolitana; ma in essi coesistevano anche la pittura – sia ad olio che acrilico – gli smalti e il disegno.
Le finestre e le riproduzioni pittoriche iniziarono ad essere motivi costanti in tali lavori; dal punto di vista della composizione posizionò gli interni e gli esterni entrambi a livello della superficie pittorica sullo sfondo, mentre gli oggetti e i corpi furono imprigionati in un unico primo piano. In questi primi esemplari di Nudes, Wesselmann iniziò a rappresentare le figure con un rosa scuro, delimitando le caratteristiche corporee con sinuosi movimenti, richiamando così il suo passato tirocinio.
Fino al 1973 Wesselmann elaborò la serie ininterrottamente producendo più di cento esemplari, sperimentando un elevato numero di forme e dimensioni fino a formare composizioni a murales negli ultimi esempi.
Nel corso di diciassette anni concepì infinite possibilità di posizioni, dove la costante era rappresentata solamente dal sinuoso dinamismo dei corpi contrastato da elementi rettilinei sullo sfondo.
Il titolo scelto per il filone non è provocatorio ma umoristico, un gioco di parole sul filone Great American Novel e il Great American Dream, indicando anche una ironia intrinseca nella serie proveniente dal suo passato da fumettista, poiché con l’aggettivo great, senza ulteriori infiorettature, si definisce la forza economica della società consumistica statunitense; Wesselmann sottolineò più volte il fatto che se il titolo era intriso di ilarità il suo interesse nel nudo invece era del tutto serio.
Partendo dalla tradizione classica del nudo femminile in uno spazio intimo, cercò di aggiornarlo e trasformarlo. La rappresentazione del nudo femminile risale al Rinascimento italiano, basti pensare alla Venere di Urbino di Tiziano, il nostro artista americano si avvicinò allo studio dell’arte durante la Cooper Union e nei suoi studi sicuramente incontrò la grande tradizione artistica europea.
Ciò fu associato all’introduzione di elementi realistici nella composizione astratta di superfici, che condusse ad una radicale mancanza di gerarchizzazione del quadro. Gli elementi incollati, in quanto estrapolati dal proprio contesto commerciale, mostrano a maggior ragione il loro mero carattere simbolico, il quale può essere unicamente decifrato, ma non rivissuto o percepito.
Ma i due grandi punti di riferimento per Wesselmann rimasero sempre de Kooning e Matisse:
“de Kooning mi diede il contenuto e la motivazione. Il mio lavoro si sviluppò da ciò.”
L’impatto della serie “Women” – concepita dall’ espressionista astratto durante il decennio precedente alla creazione dei Nudes – è visibile in molte opere di Wesselmann: innanzitutto i nudi non sono individui ma rappresentano un tipo generico, come nei primi, qui viene ripresa l’aggressività nella loro disposizione, lo spazio nei Nudes è piatto e pieno di caos e lo stesso colore rosa, altamente stridente, pacchiano viene impiegato per sottolineare la giovane carne dei loro corpi. Nonostante l’importanza di de Kooning, come di tutta la pittura gestuale, essa fu superata da Wesselmann in due modi.
Da una parte egli contrastò attraverso la scelta di dimensioni minori e attraverso uno stile controllato e teso contrastando così la gestualità vaga del maestro. Un secondo modo per eludere tale esempio si ritrova nel suo uso del collage: associando materiali presi dalla vita quotidiana, da giornali e elementi pubblicitari, con la riproduzione delle grandi opere moderne egli creò un forte contrasto tra arte elevata e popolare. Egli pur mantenendo la tematica del nudo femminile nel contesto moderno, slegò la sua arte dell’espressionismo astratto soprattutto utilizzando un immaginario esotico divulgato da Matisse,.
Dove de Kooning sembra approssimativo, caldo e aggressivo nel trattamento della pittura, Matisse si dimostra fresco, controllato e
levigato. Anche Matisse negli anni ’60 godette di una grande considerazione non solo da parte dei critici, ma degli stessi pittori fungendo da punto di svolta nella tensione tra astratto e figurativo. Ma tutto ciò per Wesselmann non significò dipendenza. Lo statunitense infatti mantenne un esibizione attuale del mondo femminile, più aggressivo nella sua disponibilità sessuale che nelle odalische di Matisse. Anche l’ambiente in cui sono immersi i Nudes è un elemento dissociante dall’opera del pittore francese, le donne di Wesselmann sono adornate da oggetti moderni i quali indicano anche come questa figura dev’esser letta: come un oggetto da consumare velocemente e altrettanto velocemente da gettare.
La distanza da Matisse è ulteriormente ribadita dalle incursioni dell’opera “Roumanian Blouse“utilizzata come sfondo nelle opere dell’americano: la garbata donna vestiva alle spalle del nudo contrasta con quest’ultimo che si tramuta in una massa colorata dalle forme umanoide, dalle braccia e gambe dischiuse, dalla disarmante disponibilità sessuale.
Nella sua lunghissima carriera durata fino alla morte – 17 dicembre del 2004 – le sperimentazioni di Wesselmann non si esauriscono con i nudi; egli sperimentò varie tecniche, vari temi e vari materiali raggiungendo l’astrattismo così tanto desiderato nei primi anni, per poi tornare sempre alla rappresentazione della figura femminile.
Se la classificazione nella Pop Art lambisce solo parzialmente l’artista, ad egli dev’essere riconosciuta la sua importanza nella crescita della cultura artistica americana nella seconda metà del ‘900. I suoi Great American Nudes vanno al di là della diretta rappresentazione sessuale, in essi troviamo un connubio tra armonia formale, ironica critica del mondo contemporanea ed anche il riflesso della sua ritrovata serenità che continuò ad essere il fulcro della sua ricerca per più di trenta anni di carriera in continua evoluzione.
Barbara Leone © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Barbara Leone nasce a Trieste, laureata in Scienze dei Beni Culturali, iscritta al corso magistrale di Storia dell’arte all’Università di Udine; oltre la lettura i suoi interessi lambiscono gli ambiti della storia dell’arte contemporanea, della fotografia e del mondo culturale nipponico sia passato che presente.