Roberto, parlami di te. Esperienze, storie, passioni…
Ho sempre amato scrivere, fin da bambino. Scrivevo storie fantastiche; fantascienza, Fantasy. Le scrivo ancora, anche se non più con la frequenza di una volta – per adesso, almeno. Purtroppo non ho mai pubblicato i miei racconti, sono tutti là, in un cassetto, proprio un cassetto vero; ho ancora voglia di pubblicarli quindi, prima o poi … ho scritto e pubblicato, però, un breve romanzo biografico, ‘Per due volte‘; è una storia vera; lo trovi su IBS. La storia è quella di Alessandro e Roberta, che sono citati come coautori, e dei loro bambini; il lavoro sul romanzo è mio.
Quando nasce il tuo amore per la fotografia?
Parecchio tempo fa, attraverso un regalo, una Kodak Instamatic – quelle macchinette con la pellicola in caricatore. Diciamo quarant’anni fa. Non ho mai smesso, ma era sempre un passatempo, mai niente di serio. Cinque anni fa invece la cosa è cambiata: la fotografia è diventata tanto per me. Veramente tanto.
Prediligi uno stile fotografico preciso?
Il ritratto ambientato – in strada, in autobus, dove capita. È un ritratto artistico perché le mie foto le sviluppo (mi piace dire ancora così, anche se è sviluppo digitale) aggiungendoci spesso colori e ombre irreali. Amo anche la fotografia in studio e la ‘Street’.
È la tua prima mostra per “Le vie delle Foto“?
Si, la prima volta da fotografo.
Come mai hai deciso di partecipare?
Linda Simeone, l’organizzatrice, me lo chiede ogni volta – però arrivo sempre lungo sui tempi di preparazione e di stampa. Poi mi viene voglia di cambiare tutto … organizzare una mostra vuol dire scattare, scegliere, pensare, sviluppare, far stampare, preparare i supporti … quest’anno ce l’ho fatta. Nel mio archivio ho moltissime foto, non sapevo quali scegliere – così, ho cambiato stile e ho realizzato un portfolio nuovo, tutto in ‘Pop Art’.
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A cosa si deve la tua passione per la Pop Art?
Qualche anno fa avevo visto la mostra di Warhol a Trieste, così l’anno scorso mi ha incuriosito l’esposizione fatta su Steve Kaufman a Palazzo Costanzi. Kaufman disegnava per ‘Marvel Comics’, e siccome da bambino amavo le storie fantastiche ho voluto vedere le altre opere, quelle che non fossero disegni. Ero interessato ai quadri di un artista ‘Pop’ di seconda generazione che non fosse Warhol – di Warhol senti parlare continuamente, degli altri artisti ‘Pop’ molto meno. I dipinti di Kaufman mi sono piaciuti molto, così mi sono documentato, ho visto altre mostre a Modena e a Salisburgo, e chiesto il permesso di fotografare le loro opere – ed è nata la mia collaborazione artistica con ‘Steve Kaufman Art Licensing’. Sono persone straordinarie.
È stato difficile porre in fotografia questo particolare stile artistico?
Non particolarmente, proprio perché il tipo di fotografia che faccio io – il ritratto in studio, quello in strada – sono ‘Pop’. I miei scatti sono molto legati alla pubblicità, agli oggetti e alla cultura di ogni giorno. Le foto che espongo a ‘Le vie delle Foto’ sono molto semplici e molto colorate proprio per questo motivo – sono foto ‘di ogni giorno’, perfettamente riproducibili eppure uniche perché toccate in qualche modo una a una. Per l’elaborazione grafica al computer devo ringraziare Chiara Scrigner che è una studentessa bravissima, una mia collaboratrice molto versata nell’arte digitale. Nell’arte digitale sembra tutto facile ma non lo è: non fa tutto il computer.
Racconti una storia nelle tue foto? C’è un messaggio?
Nelle mie foto ‘Street’ c’è sempre una storia. Spesso è molto semplice; altre volte si tratta di qualcosa di più profondo, di un reportage realizzato in un tempo più lungo. Non sono mai foto costruite, niente attori di strada.
Nelle foto ‘Pop’ l’approccio è diverso, perché più che raccontare una storia la volontà è quella di rappresentare il quotidiano – di trasformare il quotidiano in icona. L’icona ‘Pop’ la guardi e non ti racconta niente di diverso da quello che è, non è una storia di strada. Anche se il messaggio c’è: nella foto che ho scelto come ‘testimonial’ per la mostra vedi una giovanissima donna, il simbolo, universale, della ‘Coca Cola’ e in alto sulla destra Superman, che, forse, è quasi un autoritratto dell’autore dei dipinto. Il desiderio di essere, forse, più forti di quello che siamo e di poter cambiare le cose di ogni giorno. Di essere diversi da ciò che siamo diventati.
La mostra di Roberto Srelz in poche parole?
Nella mostra ci sono sette foto che contengono altrettante icone americane (in realtà, icone anche nostre), interpretate e rese uniche da ritocchi manuali di Kaufman, e sempre la stessa modella, la bellissima Maria Musil – resa unica e irripetibile sia dallo scatto che dal lavoro grafico fatto assieme a Chiara. Kaufman utilizzava la tecnica del ritocco manuale per rendere uniche le sue opere, e così abbiamo fatto noi in modo digitale. I tratti della modella non vengono mai alterati e c’è pochissima post produzione.
L’antico Tergesteo è totalmente in contrasto con la modernità della Pop Art nelle tue foto, cosa pensi di questo particolare connubio?
Penso che sia interessante, soprattutto perché si tratta del Tergesteo ristrutturato – qualcosa di architettonicamente molto moderno all’interno di una struttura classica, molto bella e molto importante per Trieste. Io penso che nella Galleria Tergesteo di oggi non ci siano poi così tanti colori – io amo i colori, ci portiamo Kaufman, speriamo che piaccia!
Noto che il soggetto principale delle tue immagini sono le persone, come mai?
Se parliamo di fotografia, d’immagine, il critico che amo di più è Roland Barthes. Alla fine del suo ‘Camera Chiara’, scrive, commentando una foto di André Kertész – il ritratto di un ragazzino che tiene in braccio un cagnolino, un cucciolo. Barthes scrisse: ‘… Non guarda nulla; trattiene dentro di sé il suo amore e la sua paura: ecco, lo Sguardo è questo’.
Quella foto e quella frase mi hanno emozionato la prima volta e mi emozionano ogni volta; nelle mie foto, cerco lo Sguardo. Una foto senza un soggetto umano non m’interessa; le rispetto, spesso le ammiro – è impossibile trovare parole adeguate di fronte a una foto di Ansel Adams – ma non mi emozionano.
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A chi consiglieresti la professione del fotografo?
Con sincerità, oggi, ti rispondo: la professione di fotografo non la consiglierei a nessuno. Io non vivo con la fotografia: non potrei, la crisi del settore è estrema. Ammiro chi ha il coraggio di iniziare oggi perché è molto, molto difficile; ammiro chi ha iniziato qualche anno fa e continua ad avere buoni risultati, anche a Trieste. A Trieste ci sono molti bravi professionisti. La fotografia, invece, la consiglio a tutti. Io credo che sia la forma d’espressione che più si avvicina al nostro moderno modo di essere, quella che è alla portata di tutti e che ormai tutti si possono economicamente permettere. Ed è straordinaria.
Roberto Srelz partecipa a ‘Le vie delle Foto 2014’ con la mostra ‘American Pop Art: Icone’, aperta al pubblico dal 1 ottobre al 1 novembre 2014 al Tergesteo, Trieste (presso l’omonimo locale pubblico). Gli scatti, realizzati in studio nel corso dell’estate 2014, uniscono la Pop Art dell’artista americano Steve Kaufman (1960-2010) al ritratto fotografico moderno attraverso la tecnologia digitale (le foto esposte sono, in alcune parti, elaborate graficamente con l’aggiunta di componenti ma senza alterazione dei tratti della modella).
Giulia Livia per ‘Trieste All News’ e ‘centoParole Magazine’ – riproduzione riservata
Giulia Livia, dottoressa in Scienze della Comunicazione a Trieste e laureanda alla Laurea magistrale della medesima facoltà, giornalista in praticantato e socia fondatrice del progetto “Impatto Visivo Trieste“, è specializzata nella cura e organizzazione di eventi. Le sue passioni sono arte in tutte le sue forme, cultura e cinema.
La foto è comunicazione, immagine che si fa viva, che prende parola per inviare un messaggio. L’occhio vede e la foto parla. Srelz ha molti scritti e racconti nel cassetto, ma le foto no: le foto le fa vedere in questa mostra al Tergesteo. Vuol forse dire, a mio parere, che in lui la fotografia è più viva di uno scritto, non si può non mostrare. La quotidianità viene fissata e trasmessa, più quella di ogni giorno, colta per strada e rapita da un obiettivo, Che Srelz preferisce a quella costruita e creata in uno Studio.
Auguri a Srelz, dunque!