Frida Kahlo nasce il 6 luglio 1907 a Cayoacan, in Messico. Se l’ Europa si stava ancora crogiolando negli strascichi della Belle Epoque, godendosi la sua ultima fioritura artistica e culturale in procinto del massacro della Prima Guerra Mondiale, il Messico era sfondo di violente lotte in nome del progresso sociale e del cambiamento. Frida puo’ godere di alcuni dei positivi cambiamenti portati dalla Rivoluzione Messicana: è una delle trentacinque donne che si iscrivono al corso di Medicina della Scuola Nazionale Preparatoria in un momento storico in cui, Rivoluzione o meno, le dottoresse a Città del Messico sono solo tre.
Il 17 settembre 1925 resta coinvolta in un incidente gravido di conseguenze per la sua vita: l’autobus su cui viaggia si scontra con il tram e finisce schiacciato contro un edificio. Frida riporta numerosissime fratture e deve così sottoporsi ad estenuanti operazioni chirurgiche, al termine delle quali le verrà ingessato il busto con un rigido corpetto. Costretta a letto, trova nell’arte una valvola di sfogo per la sua solitudine; con gli acquerelli del padre inizia a dipingere prima sopra le bende che le fasciano il busto e poi su supporti di piccole dimensioni. Poco dopo le verrà regalata una speciale tavolozza che le permette di lavorare rimanendo distesa. A questo periodo risale uno dei primi autoritratti, per facilitarla viene appeso uno specchio al soffitto, un oggetto a lei caro poiché, come ella stessa affermò: “passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio”.
Sullo sviluppo del suo stile il padre fotografo Guillermo avrà un’influenza notevole. La fotografia permette di fissare un attimo che altrimenti andrebbe perduto per sempre e così facendo inevitabilmente si registrano anche le proprie intime sensazioni e pensieri: fotografiamo qualcosa perché ne siamo rimasti impressionati, nel bene o nel male. Frida avrà lo stesso approccio con la tela, che diventa così il suo mezzo per fotografare, conservare o esternare non solo ciò che la circonda ma soprattutto ciò che prova dentro di sé. Due anni dopo l’incidente il suo corpo è quasi totalmente guarito, decide così di recarsi al Ministero dell’Educazione Pubblica per mostrare al celebre muralista messicano Diego Rivera i suoi quadri. L’uomo, riconoscendo il suo talento ed il suo stile sorprendentemente moderno, la sprona a fare dell’arte la sua professione. I due iniziano a frequentarsi, accomunati anche dai loro ideali politici; come Rivera, Frida abbraccia le tesi del Partito Comunista Messicano, al quale si iscrive attirata dal gran numero di donne che ne facevano parte fra cui la fotografa ed attrice Tina Modotti con la quale probabilmente intrecciò un rapporto profondo.
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La loro vita assieme sarà estremamente movimentata, entrambi infatti avranno delle brevi storie extraconiugali tuttavia erano reciprocamente tollerate, fino a quando Diego ebbe una relazione con la sorella minore di Frida; a questa infatti seguì una violenta ed estremamente sofferta separazione, fino ad un riavvicinamento nel 1940 che culminerà in un secondo matrimonio. All’epoca Rivera era il più conosciuto della coppia, ma osservando l’Autoritratto e l’Autoritratto con scimmia del 1930 già si intravedono alcuni degli elementi che diventeranno parte dello stile di Frida e che, anni dopo, la renderanno più celebre del marito: lo sguardo dell’artista è estremamente lucido, senza alcuna volontà di idealizzazione. Ciò che per certi canoni di bellezza puo’ risultare fastidioso, come le folte sopracciglia ed i baffi scuri, non viene assolutamente minimizzato o nascosto. Questa è già una conquista: il corpo di una donna viene rappresentato da una donna così com’è, senza il filtro dello sguardo maschile.
A ciò di aggiunge la scelta di attingere dall’iconografia e dai simboli della cultura indigena messicana e precolombiana, cosa che sarà una costante in molte sue opere, a volte abbinandosi a soggetti cristiani come il crocefisso. La scimmia, considerata un simbolo di lussuria, diviene però una presenza affettuosa ed amichevole, non perturbante. Tuttavia già nel ritratto del botanico Luther Burbank la simbologia si colora di un tono leggermente inquietante. Durante il viaggio con Diego Rivera negli Stati Uniti, dove egli deve realizzare un murales per il Rockfeller Center di New York, il suo lavoro e la sua brillante personalità attirano l’attenzione del largo pubblico, al punto da far esclamare ad Andrè Breton che lei è una “surrealista creatasi con le proprie mani”. Tale etichetta tuttavia non soddisfa affatto Frida che si distaccherà dal movimento surrealista affermando “pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni“; tuttavia Breton la ammira al punto che assieme a Julian Levy allestisce una sua mostra a Parigi: Frida Kahlo è la prima pittrice messicana a vedere le sue opere esposte al Louvre. Durante il soggiorno a San Francisco la sua pittura si caricherà di ulteriori significati, diventando ancora di più un mezzo di catarsi: dopo un aborto spontaneo e l’ennesima operazione non le resta altro rifugio se non l’arte, producendo tele in cui al suo corpo martoriato si accompagnano elementi
anatomici e strumenti chirurgici. Il ritorno in Messico sembra darle un po’ di sollievo nonostante l’imminente divorzio con Rivera: nei quadri del periodo ricompaiono i simboli legati alla cultura messicana ed al rapporto dell’uomo con la Madre Terra, come dimostrati tele quali “Il fiore della vita”. Ciononostante questo è stato definitivo da Frida stessa come il periodo più duro di tutta la sua vita.
E’ proprio in questo periodo di crisi che viene dipinto “Ciò che ho visto nell’acqua e ciò che l’acqua mi ha dato”, il quadro che agli occhi della critica europea la rendeva accostabile al movimento surrealista, soprattutto alla luce della dovizia di particolari con cui viene dipinto, simile allo stile di Dalì. La prospettiva rende visibile solo i piedi e le ginocchia che affiorano dalla superficie dell’acqua della vasca da bagno, mentre attorno galleggiano corpi, elementi anatomici e vegetali, vulcani ed edifici. Simboli apparentemente casuali ma ricollegabili, oltre che ad eventi autobiografici, alla sfera sessuale e corporea, sebbene non in un’ottima totalmente gioiosa e priva di ombre. Gli anni Quaranta sono scanditi da un’intesa attività politica ed artistica.
In Messico si rifugia il russo Lev Trotskij per scampare alle persecuzioni staliniane ed intreccia una breve relazione con la pittrice, che gli dedicherà alcuni ritratti ed autoritratti. Dopo il secondo matrimonio con Rivera ritornano i quadri gioiosi dedicati alla politica o alla vita del popolo messicano ed alle sue tradizioni, come il “Dias de los muertos”, il giorno dei morti, festività che pur commemorando i defunti lo fa con un tono allegro, gioioso ed ironico. L’arte di Frida Kahlo non è poi così diversa, alternando tematiche cariche di passione e vitalità ad altre più introspettive, intime e personali, pur senza perdere mai quello sguardo ironico e sagace sulla realtà che la porta a ridere della vita e di se stessa.
Donna forte e passionale ma anche caparbia ed incapace di accettare compromessi, dimostra con un’incredibile ironia di saper affrontare con il sorriso sulle labbra anche la morte: quando nel 1954 una polmonite la stroncò aveva alle spalle svariati aborti e trentadue operazioni, l’ultima della quali aveva comportato l’amputazione della gamba destra. Malgrado ciò una delle ultime opere rappresenta dei meloni sui quali è leggibile la scritta “Viva la vida”. Le ultime parole che annotò nel suo diario furono: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più.”
Greta Valente © centoParole Magazine – riproduzione riservata
fotografie: Serena Bobbo
modella: Elisa Gandolfo
Molte volte l’arte, può essere pure assurdo, è frutto anche di uno stato di disagio, morale o fisico. L’arte è allora simbolo e viatico di conforto, di salvezza, di realizzazione di se stessi in una dimensione lontana dalla realtà, per assurgere a livelli superiori e purificatori. E’ il caso di Frida Kahlo, artista che seppe reagire a molte prove che la segnarono nel fisico, che la sottoposero a molte operazioni chirurgiche, ma che le servirono per trovare grande forza e motivazione in se stessa. Ne giovò la sua arte, che forse non sarebbe stata tale e così grande senza tutte quelle sue dolorose esperienze. Donna forte, reattiva, dipinse con vivaci e marcati colori, quasi per contrapposizione al suo stato fisico non felice, traendo spunti dalla sua stessa esistenza, Seppe dimostrare, alla fine, e malgrado tutto, di amare la vita, pur desiderando di poterla vivere una sola volta e non più ritornare. Da sottolinere, in questo, proprio le sue parole: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”.
Serena Bobbo ci ha dato un’interessante descrizione, attenta e precisa della Kahlo, sia come donna che come artista, pur nella giocoforza contenuta dimensione del testo.