Stupiti dall’ippopotamo: sulla fotografia

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… ovvero: dentro una gabbia o fuori una gabbia? Una recensione di Vincenzo Russo.

David BateUltimamente la mia piccola biblioteca dedicata alla fotografia è cresciuta, vuoi attraverso i regali di amici consci di questa mia fissazione, vuoi attraverso alcune mie spedizioni in librerie fidate. In uno di queste spedizioni mi capita sotto gli occhi un libro che, limitandosi alla lettura del titolo, non mi avrebbe attratto. Ma osservando il contesto, ovvero la pagina di copertina, noto che è un titolo della Einaudi, che in genere pubblica saggi interessanti, e soprattutto noto la foto che campeggia sopra i caratteri del titolo: “L’ippopotamo nel giardino zoologico”, fotografia del 1858 del Conte di Montizón.

Questo piccolo libro della collana “mappe” di Einaudi è “Il primo libro di fotografia”, di David Bate (qui lamento , come spesso accade, una traduzione del titolo esageratamente sportiva; in inglese nasce come “Photography. The key concepts”, e a parer mio poteva non essere reinterpretato). Lo apro e inizio a sfogliarlo, partendo come al mio solito dal fondo. Trovo la bibliografia e resto colpito… otto pagine di autori su più di duecentotrenta pagine di testo effettivo è una discreta cifra, a cui si aggiunge una “guida annotata per ulteriori letture”, che va da Roland Barthes a Susan Sontag, da Catherine Belsey a Charlotte Cotton.

Scopro che David Bate è saggista e fotografo, forse più fotografo e saggista mi vien da dire dopo avere rintracciato online un suo bel portfolio. Insegna, fotografia, alla University of Westminster di Londra.
È un testo molto organizzato (e forse un po’ quadrato). Traccia un percorso che, partendo dal circoscrivere e osservare concetti chiave della fotografia come “teoria” e ” storia”, analizza criticamente i principali generi fotografici, come reportage e ritratto ad esempio, mettendoli in parallelo spesso con i paradigmi del “genere” nel cinema, e soprattutto, nella pittura.

Susan SontagCredo che a molti lettori (fotografi e no) abbia dato fastidio, leggendo questo libro, l’intrecciare fotografia e pittura e soprattutto la percezione di veder compartimentata una espressione artistica. Se all’inizio ho avuto anch’io questa impressione, proseguendo nella lettura di queste pagine dense di citazioni e riferimenti tutt’altro che scontati, mi sono dovuto ricredere. Leggiamo nell’introduzione:

“È sorprendente rilevare quanto il genere non sia stato preso in considerazione nello studio della fotografia nella stessa misura in cui ciò è avvenuto nella teoria dei film o negli studi di letteratura.”

Camera Lucida - Roland BarthesEd è in effetti vero. La parziale definizione del genere ci evita di incorrere nella tentazione della soggettività di una visione eccessivamente sistematica delle fotografie. Scorrendo le pagine attraversiamo una sezione dedicata alla teoria (circa l’analisi della struttura della fotografia), che ci riconsegna la semiotica come strumento fondamentale. Roland Barthes, che ha la paternità dell’idea di trattare gli elementi di una immagine come segni (e quindi come elementi costitutivi di un linguaggio) appare più volte nel testo. E come per molti che hanno affrontato, attraverso la scrittura di un libro, l’analisi della struttura di una fotografia, “Camera chiara” appare una lettura fondamentale.

Cronologicamente (o quasi) vengono affrontati i “generi” esistenti partendo da documentario e narrazione; ‘cronologicamente’ perché in effetti l’immagine è uno dei, se non il primo strumento utilizzato per raccontare una storia. Più avanti incrociamo pagine stese a tracciare l’importanza del percorso di Henri Cartier-Bresson, nella sua idea di “istante decisivo”, così intrecciato (e a ulteriore sviluppo) dell’idea di “istante pregnante” di Lessing.

Square Frame - Roberto SrelzIl capitolo sul ritratto ci immerge in un parallelo strettissimo con la pittura, partendo dal presupposto che la fotografia è piombata in questo genere mettendo a disposizione di tutti uno strumento molto più economico ed altrettanto efficace per avere un proprio ritratto da esporre in casa. Uno strumento quindi molto più economico. Il discorso viene ampliato quando si parla di “realismo”come genere pittorico. È con la diffusione massiva della fotografia (liberazione dal brevetto del Dagherrotipo) che la pittura può sottrarsi alla necessità di rappresentare fedelmente la realtà, e inizia ad esplorare altri strumenti espressivi. Ad un certo punto possiamo leggere.

“Lo spettatore viene lasciato in uno spazio dove ogni gesto e segno all’interno della fotografia è una minaccia o una promessa di significato.”

Al di là di un discorso che sfocia nell’invito a investigarci sul nostro investimento nelle foto che guardiamo (non solo ritratti), trovo uno spunto importante per cercare di dare un senso preciso alle foto che faccio. E questo succede molto spesso, navigando tra affermazioni e citazioni. Facendo attenzione al testo dell’autore, gli spunti per costruire e arricchire il proprio sguardo fotografico sono tantissimi. Così come per il ritratto, anche per gli altri capitoli che esplorano, ed esplodono, i generi. Viene tracciata una precisa analisi degli elementi strutturali chiave della fotografia, spesso sottolineando quanto essi nascano assai prima della fotografia stessa (torniamo alla pittura) soffermandosi sul come i percorsi di questi due media si sovrappongono pur definendosi a vicenda in differenti e precise identità.

David Bate - Photography and SurrealismÈ un libro che, mano a mano, fornisce spunti per altrettante letture, che si dipanano in tutte le direzioni. Oltre a Barthes, emergono spesso i nomi di Gombrich, Freud, Lacan, Burgin, che ruotano attorno alla esplorazione del “genere”, passando attraverso il paesaggio, la natura morta, la fotografia d’arte, infine dedicando spazio alla “fotografia globale” in cui l’impatto della diffusione massiva delle fotografie viene analizzato per la possibilità di spostare nell’osservatore l’interpretazione del “Punctum” (cit. Barthes), in relazione a differenti contesti regionali e culturali.

Non è semplice resistere alla tentazione di vedere con fastidio queste pagine molto strutturate ed ordinate, quasi come lo scaffale di libreria della prima fotografia che appare nel testo come immagine di supporto. Ma superato questo momento ci si apre di fronte pagina dopo pagina, il tentativo di difendere la fotografia dallo sguardo soggettivo della critica, dandole la protezione di una definizione, o recinto oggettivo, che protegga senza ingabbiare.

IppopotamoE l’ippopotamo? Appare in alcune pagine in cui partendo dalla definizione di “realismo” pittorico-fotografico si arriva a parlare della definizione di “realtà”. “Il mondo è così perché così mi appare …”: lo dice Bates parlando dello stupore di un pubblico che osserva per la prima volta in vita sua un ippopotamo, stupore comune al fotografo che pare osservare il pubblico dalla stessa prospettiva dell’ippopotamo (ma, forse, anche no). Poi però l’autore aggiunge alcune parole alla sua apparentemente tautologica affermazione sulla realtà: “… ma può apparire diverso, e ciò dipende da come viene fotografato.”

Vincenzo Russo © centoParole Magazine – riproduzione riservata

 

David Bate - Il primo libro di fotografiaIL PRIMO LIBRO DI FOTOGRAFIA di David Bate
tit. originale ‘Photography. The key concepts.’
c. David Bate 2009
c. Einaudi 2011
piccola biblioteca Einaudi-mappe

 

 

 

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