Quando mi viene proposto di intervistare la brava autrice di una mostra fotografica dal titolo “I cambi d’abito del Vesuvio”, prima ancora di iniziare mi coglie la spiacevole sensazione che provo talvolta di fronte ad una mostra fotografica di paesaggi che non aggiungono nulla al concetto di cartolina.
Sbaglio.
Parecchio.
Mi basta aprire il link con la galleria delle foto esposte e mi rendo conto che sono tutt’altro che le solite cartoline. Gli sguardi di Roberta De Maddi sul Vesuvio sono straordinariamente personali, e da subito comunicano un rapporto peculiare con quello che è, se non uno dei, il simbolo più riconoscibile di Napoli. E la cosa non è facile, proprio perché ci sono sia un immaginario vastissimo sul guardare a quello che forse è il vulcano più famoso al mondo, che, e di conseguenza, una marea di fotografie.
Contatto Roberta via Facebook, e lei si dimostra subito disponibile a parlare di fotografia e non solamente delle sue (belle) foto.
Decidiamo insieme, non potendo (peccato) incontrarci fisicamente di fronte a un caffè affacciato sul mare di Napoli e fare due chiacchiere, di farcelo comunque il caffè insieme, ma ognuno tenendolo davanti il proprio computer, mentre domande, risposte e suggestioni vengono trascritte sulla chat. Diventa così una specie di intervista espansa e diffusa… in cui scriviamo qualcosa quando possiamo, lasciandoci anche il tempo di pensare, salvo quando le cose vengono fuori di getto.
Di Roberta De Maddi non trovo molte informazioni. Non pare avere assolutamente l’ansia di sventolare il suo percorso di fotografa. Mi ritrovo a doverglielo chiedere io e vedo che, a ventisette anni, ha un percorso già denso e ricco. Fotoreporter, in precedenza per il ‘Quotidiano di Roma’ (il più antico della Campania) e poi per ‘Il Mattino’, attualmente lavora per l’ ‘Huffington Post’. Una formazione con la Federazione Nazionale della Stampa e soprattutto con Eolo Perfido (Field Assistant, fra gli altri, di Steve McCurry). Ha già esposto, sia in personali che in collettive, proprie foto, fra l’altro in una sull’incendio della Città della Scienza a Napoli. Dal passato, quindi, fino ad oggi, a questa sua personale chiamata ‘I cambi d’abito del Vesuvio’, per cui il Comune di Napoli le ha offerto come spazio espositivo una zona nel complesso monumentale della Cappella di San Severo al Pendino – uno spazio veramente splendido, in cui le foto di Roberta De Maddi possono davvero risaltare.
Così la nostra conversazione si dipana, aiutata dalla possibilità di impugnare il telefono e comunicare immediatamente un pensiero, uno spunto od una curiosità, magari mentre sto prendendo un caffè al bar o, come scherzosamente concordato, preparandomene uno e tenendolo accanto al Pc; facendolo, a volte, raffreddare.
La prima domanda che mi viene in mente è, come spesso mi accade ritrovandomi impantanato nell’eterno dubbio: “Come comincio?”, non d’elevata incisività.
“Mi domando quale sia il tuo rapporto personale col Vesuvio” (saltando oltre la solita domanda: ‘Perché il Vesuvio’, alla quale già da me stesso risponderei ‘perché è bello altro non serve sapere’). “Me lo domando perché a volte le tue foto paiono parlare di un tuo luogo preferito, fisico o emotivo, da cui osservarlo.”
Qui Roberta mi risponde in modo quasi immediato.
“In effetti il luogo da cui ho ripreso la maggior parte delle foto è un luogo dove io mi rintano e trovo conforto; è il mio posto preferito a Napoli, ed è un luogo lontano … non troppo lontano dal caos da poter essere fuori città ma non troppo vicino da impedirti di riflettere in silenzio.”
Continua e accetta anche la mia banalità, dandomi l’impressione di chi si anima particolarmente quando parla di ciò che gli è caro, sia esso ispirazione iniziale che esito di un progetto.
“Perché proprio il Vesuvio? Perché il Vesuvio mi ha sempre dato quel senso di libertà, di grandezza, sai … quando lo sguardo ha bisogno di spaziare, di allontanarsi. Io sono una che detesta le regole, le imposizioni, ho bisogno dei miei spazi ed il Vesuvio mi dà l’idea di libertà. Non so come spiegarti, è un po’ come stare in un tunnel e vedere l’uscita prima da lontano e poi sempre più vicino. lo sguardo si allarga piano piano e hai quella sensazione di respirare dopo il buio. Ecco, man mano che mi avvicino al Vesuvio e allargo lo sguardo verso l’orizzonte, respiro l’odore della mia città.”
Capisco quel che mi comunica e per farglielo comprendere le giro una foto di una visuale che è cara a me e a molti, dalle nostre parti: l’orizzonte del Golfo di Trieste, scorniciato da un lato dal Molo Audace e dall’altro dal molo della Stazione Marittima. Dopodiché mi lancio in una domanda su due foto tra quelle che esporrà Roberta, che mi hanno colpito… una che guarda il Vesuvio attraverso una grata integra, e dopo un po’ una invece con la grata sfondata, come fosse stata la sua necessità di respirare quell’orizzonte a spalancarla. La sua risposta non tarda nella casellina della chat.
“Esatto… poi pensa che a Napoli è tutto un brulicare di fitti incroci di vicoli, alcuni molto molto piccoli, altri più grandi palazzi, negozi, un agglomerato urbano fittissimo…. e hai la sensazione che stiano uno sull’altro.”
Quando sono al Pc tengo una finestra con la galleria delle foto aperta… e le scorro sotto gli occhi… e noto anche una presenza forte in queste immagini, quella del mare. Decido di chiederle qualcosa su questa presenza. “Secondo te può più la visione del Vesuvio o quella del mare trasmettere quella sensazione di improvviso respiro che s’allarga… come dici tu, di ‘respirare dopo il buio’ “?
Lei risponde.
“Mettiamola così, il Vesuvio suggella quello che il mare amplifica…. Se ci fosse solo mare avresti l’idea di spazio infinito e indefinito, avere invece il Vesuvio che è così maestoso nella sua interezza, ti fa effettivamente rendere conto dello spazio circostante.”
Che non siano foto sparse, raggruppate per una occasione specifica era palese già prima che iniziassimo a chiacchierare… dopo un po’ che scriviamo diventa ovvio, decido di chiederle di questa organicità.
“Non sapevo sarebbe diventato un progetto. Una mattina, all’alba, non riuscivo a dormire e mi sono vestita e sono scesa. Lui era li’, avvolto tra nuvole rosa con delle luci che andavano nell’arancione per il sole che stava sorgendo. Ho preso la macchina fotografica che è sempre con me e ho scattato le prime foto. Poi ho pensato che proprio in orari insoliti, quando non tutti stanno a guardarlo, lui invece regalava il meglio di sé. Cosi’ mi sono alzata all’alba tutte le mattine, e poi in piena notte, per vedere cosa succedeva. E così è iniziato un vero e proprio studio, e anche durante il giorno cercavo di buttare sempre l’occhio lì, per non perdermi nulla. Sembra banale ma se si cercano foto del golfo di Napoli o del Vesuvio, la maggior parte se non quasi tutte sono prese da Posillipo con il classico pino a lato e un cielo azzurro terso. Tutte molto uguali fra loro. Io ho sempre pensato che non rispecchiassero Napoli e neanche il Vesuvio, che non e’ mai uguale, cambia continuamente colori … nessuna mattina è uguale alla precedente né alla successiva e così per i tramonti. Napoli e’ in continua evoluzione e di sicuro chi la vive non respira un cielo azzurro terso sempre uguale ma si confonde e si stravolge nei suoi continui cambi di umore. Quindi perché vedere il Vesuvio, che è il simbolo di Napoli, sempre uguale, come se non potesse offrire più di un cielo azzurro?”
Scorrendo le sue foto non posso non notare la presenza delle nuvole, che mi è cara più del mare; e non posso fare a meno di domandarle qualcosa a riguardo. “Nelle tue foto, anche in quelle non della mostra, appaiono spesso le nuvole oltre al Vesuvio… scelta emotiva anche questa?”
Ora, non posso fare a meno di immaginare Roberta che ci pensa un attimo su, e risponde con calma.
“Direi di si. Le nuvole è come se rappresentassero le piccole e grandi difficoltà che ogni giorno capitano, eppure sono proprio quelle che rendono molto più affascinante il paesaggio, danno volume e senso di profondità….. E credo funzioni così anche nella vita.”
Potremmo andare avanti parecchio. A parlare di fotografia – soprattutto quando è un tramite per trasmettere una nostra percezione, un’emozione – si potrebbe non finire mai, ma mi ricordo che alla fine, per quanto un po’ inusuale e molto amichevole come clima (seppur un ‘clima 2.0′) è pur sempre un’intervista, e deve avere un inizio ed una fine. Allargo un po’ lo spettro, e mi sbilancio su domande che da non napoletano, e che oltretutto Napoli non l’ha vista mai, sono da tenere in conto. “Secondo te, quello che trovi ed esprimi nelle immagini della tua mostra, è una sensazione condivisa a Napoli? Te lo chiedo perché sono convinto che i luoghi e i paesaggi di una città creino identità… (non uniformità).”
Roberta, contrariamente ad altre domande a cui ha risposto senza dar troppo freno alle parole, risponde secca e concisa. Come chi ha amaramente realizzato una visione delle cose, e degli stati d’animo collettivi.
“Assolutamente no. Napoli è divisa. C’è chi la vede come me, ne capisce le contraddizioni e la ama nella sua straordinaria bellezza per quella che è, e poi c’è chi invece proprio non riesce a capirla, la critica e vorrebbe fuggir via.”
La incalzo, mettendoci forse del mio e dell’idea di una mia sensazione forse un po’ ancestrale sulla terra, sulle sue manifestazioni di forza. “Ma centra anche forse il fatto che il Vesuvio sia un vulcano? Una energia compressa e incontrollabile che veglia/incombe sulla città?”
“Il vulcano rispecchia Napoli. Io penso così. È bellissimo, maestoso, ma sappiamo anche che è una fonte di pericolo che va tenuta in costante controllo. È un po’ come Napoli, stupenda ma con mille contraddizioni, non tutte positive.”
˜
La mostra di Roberta De Maddi, aperta dal 6 al 28 agosto nel complesso monumentale di San Severo al Pendino, potrebbe essere una buona opportunità per chi si trova da quelle parti in quel periodo. Potrebbe essere un’ottima occasione per confrontarsi con uno sguardo personale posato su una realtà apparentemente ovvia, un’opportunità per uscire dallo stereotipo ‘paesaggio-cartolina’, e magari vedere in quel profilo di vulcano adagiato sull’orizzonte, il non-cappello raccontato nel “Piccolo principe” , come è successo a me. E magari, un’occasione per aprire un po’ l’immaginazione quando si guarda un paesaggio.
Arrivederci, Napoli.
Vincenzo Russo © centoParole Magazine – riproduzione riservata