Giulio Stagni architetto, scrittore, insegnante, istruttore di vela e velista. Mi racconta com’è nata l’idea di realizzare dei manuali scritti ed illustrati da lei, che spiegano alcune cose sul mondo del mare?
L’idea di scrivere dei manuali nasce perché sono un insegnante: mi è venuto spontaneo trovare un modo per spiegare ai ragazzi, in maniera molto semplice e chiara, gli argomenti legati al mondo del mare. Ho considerato i miei amici velisti come miei alunni e così ho cominciato a realizzare dei manuali sulla vela.
E come mai questa idea di illustrarli?
Perché in Italia mancano libri illustrati che raccontino il mare: noi abbiamo una cultura di testi scritti; il disegno è soprattutto un sistema di rappresentazione anglosassone, anche i francesi lo utilizzano molto. Penso che un testo disegnato è molto più diretto, di conseguenza immediato e colpisce subito il segno.
Come realizza le sue illustrazioni?
Faccio i disegni a matita, poi li ripasso con la penna stilografica o con la penna Bic, li acquisisco con lo scanner e poi uso il programma Adobe Photoshop per colorarli e per impaginare il mio lavoro: il risultato finale è un prodotto completo da proporre all’editore. Ovviamente non si ha mai la certezza che il proprio testo venga accettato, però presentare un lavoro finito, dà qualche possibilità in più: è un buon sistema per tentare di vederlo pubblicato.
Quindi, scrivere un manuale è un lavoro lungo?
Sì, per i testi ci vogliono un paio d’anni: la ricerca degli argomenti, che si vogliono trattare, è lunga. Nel caso del mio ultimo libro, “Schooner”, ho dovuto cercare informazioni su testi in lingua inglese e tradurli: non c’erano pubblicazioni italiane a riguardo.
Come è nata l’idea di scrivere “Schooner. Pesca e competizione, viaggio alle origini della vela sportiva americana”?
È nata in modo molto casuale ed è legato alla mio interesse per la cucina: ero alla ricerca di informazioni sulla conservazione dei cibi sotto sale, e in particolare della conservazione del merluzzo: ho cercato dei testi legati alla pesca e alla conservazione di questo pesce. Normalmente la pesca del merluzzo viene collegata all’area settentrionale dei mari del nord; io, invece, ho trovato delle notizie inerenti la pesca di questo pesce, anche sui banchi di Terranova. Essendo interessato di vela, ho scoperto che esiste pure una storia di vela e di pesca, che va dalla fine del Settecento fino ai primi decenni del Novecento. In quel periodo esistevano dei grandi velieri, gli Schooner, che venivano costruiti ed utilizzati per pescare il merluzzo.
Attraverso i suoi libri, e specialmente in quest’ultimo, lei offre una sorta di viaggio virtuale al lettore. Capita anche a lei di viaggiare con la mente, durante la realizzazione dei suoi lavori?
Sì. Ci sono tantissimi tipi di viaggi: quelli che fai fisicamente, quelli che fai con la mente, quelli che desideri fare e non li farai mai. Nel caso dello “Schooner” è un viaggio che ti piacerebbe fare e non farai mai, anche perché si perde nel tempo: non c’è più; ma anche questo è un modo di viaggiare. Per esempio, il fatto di fermarsi e immaginare di viaggiare su una nave veneziana, nella battaglia di Lepanto; oppure su una nave romana, nel periodo della Roma antica: sono viaggi nel passato che si fanno rimanendo seduti.
Un viaggio che le piacerebbe fare?
Il nuovo viaggio che mi piacerebbe fare lo sto già facendo, è quello di una storia interessantissima che si svolge tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, a Pola. In quel periodo era nata una sorta di squadra di Yachtsmen, che in caso di guerra, era pronta ad entrare al servizio della Marina di Guerra Austro-Ungarica. La gente, che frequentava questo circolo, era estremamente facoltosa ed aveva degli agganci con il Kaiser tedesco e con il Re d’Inghilterra; le persone di questo gruppo acquistavano ed usavano barche, che hanno fatto la storia della vela nel Mediterraneo. Ora sto cercando di approfondire tale argomento.
Qual è il suo rapporto con il mare?
Un rapporto di fascino e anche di timore: il mare è un mondo per gente irrequieta. La caratteristica è sempre uguale e sfida il tempo: si può portare in mare quanta tecnologia si vuole, ma il rapporto è sempre con una dimensione ostile. Il fascino sta nel riuscire a far combinare le variabili del divertimento e del veleggiare, ma tenendo conto che, da un momento all’altro, il tempo può cambiare e ci possono essere dei grossi problemi nella navigazione.
Le viene in mente un pittore che ha realizzato delle marine, che le piace?
Non c’è un pittore in particolare, direi che la pittura americana della fine dell’altro secolo e anche i pittori americani recenti sono, secondo me, il riferimento per questo tipo di argomento. Gli americani non hanno una loro lunga storia, dei soggetti importanti “da ritrarre”: hanno la natura, hanno la storia di quei pescatori che utilizzavano gli Schooner, delle splendide barche che poi hanno rappresentato lo spunto per la realizzazione di imbarcazioni da regata come la Coppa America.
Comunque,a mio parere, i pittori americani sono, in assoluto, i migliori per questo tipo di rappresentazione.
Lei, nel suo ultimo libro, parla di uomini di mare che sanno affrontare mille difficoltà e che sono disposti a tutto pur di portare a termine il loro lavoro. Secondo lei, esistono ancora queste figure?
Esistono sempre dei marinai così. Cino Ricci, nel suo ultimo libro, accenna la sua diffidenza per i velisti come sono oggi; lui, invece, ha una grande considerazione per i marinai.
La tecnologia, ormai, appartiene anche all’ambiente navale, che però, di base, resta lo stesso; quindi in una navigazione difficile, in caso di imprevisti, si distingue subito il velista dal marinaio: il marinaio sa sempre trovare una soluzione, trova sempre una via di fuga ed è in sintonia con l’elemento che lo circonda.
Quindi bisogna essere molto pratici…
Molto pratici e non solo, diciamo far proprie una quantità enorme di variabili. Oggi come oggi, troviamo alcuni “marinai”, anche nell’ambito sportivo: ci sono uomini che, pur facendo dello sport, hanno le caratteristiche dei vecchi pescatori dei banchi di Terranova.
Quando è nata la sua passione per il disegno?
La mia passione per il disegno ce l’ho da sempre, mentre se intendiamo quella per un disegno finalizzato ad un qualcosa di costruttivo, da una decina d’anni. Ho cominciato a realizzare le illustrazioni quando mi interessavo di catamarani e insegnavo ai ragazzi come usarli: ho pensato di creare un piccolo manuale per loro e da quest’idea sono nati altri manuali sulla storia della vela.
E quando, invece, è nata quella per il mare?
Fin da piccolo: probabilmente me l’ha trasmessa mio padre; anche mio nonno adorava il mare ed era un marinaio. A rafforzare questa mia passione è anche il fatto di provenire da isole circondate dal mare; dove uno nasce in una dimensione particolare, con la necessità di dover affrontare il mare, di attraversarlo, per raggiungere la costa.
Il posto di mare che l’ha colpita di più?
La Bretagna, il nord della Francia: si tocca con mano la dimensione rude, difficile, del mare. Si vedono barche diverse dalle nostre – con strutture leggerissime – fatte per gente raffinata: lì ci sono imbarcazioni costruite per affrontare condizioni estreme.
C’è qualche racconto sul mare che le ha raccontato suo papà o che ha letto e che le è rimasto impresso?
Sono abituato a ragionare per immagini, quindi più che un racconto, mi ha colpito molto il film, che ho visto qualche hanno fa, “Master & Commander”: narra la storia di un comandante di una nave da guerra della Marina Militare Inglese. Successivamente ho letto anche i libri legati a questo personaggio, scritti da Patrick O’Brian, che sono una sorta di sintesi tra romanzo, storia della vela e tecniche di navigazione, che sembravano completamente scomparse e che invece questo autore ha saputo far rinascere, creando un piccolo capolavoro.
Il libro perfetto da portare con sé, durante un viaggio per mare?
Quando si viaggia per mare, forse il libro perfetto da portare con sé è un libro che parla di terra: quando ti stacchi dal molo ti sale immediatamente la nostalgia per la terra, per l’elemento da cui provieni. Noi non siamo animali marini, quindi siamo attirati dal mare, però quando siamo nel mare vogliamo ritornare a terra. C’è sempre questo problema dell’elemento insicuro, perciò io direi un libro di terra, un qualcosa magari legato a racconti di montagna, di roccia.
Le piacerebbe, come architetto e appassionato di imbarcazioni, progettare una marina?
Sì, potrebbe essere molto interessante. Oggi come oggi, una vela pura come una volta, quando uno saliva in barca e la utilizzava come casa galleggiante, è quasi scomparsa; ci sono altre esigenze: c’è una tendenza a coprire il territorio di servizi: l’imbarcazione perciò, dev’essere concepita in un sistema integrato, dove si va a vela, ma ci sono le marine con tutti i confort. Mi piacerebbe molto.
Trieste, città di mare e un tempo anche fiorente porto; pensa che questa realtà abbia rafforzato la sua passione per il mare?
Sì, Trieste sicuramente è un grandissimo punto di partenza: sappiamo benissimo che, quando ci allontaniamo, abbiamo una grandissima nostalgia per la città, per il suo vento e per questo affaccio meraviglioso che ha verso l’infinito, verso l’orizzonte. Io ricordo mio padre che, nonostante i tanti anni di mare, nel periodo della sua pensione, ogni giorno partiva da casa e faceva una passeggiata fino al Molo Audace e poi ritornava indietro.
Non si può non essere attratti da una città come Trieste, dove c’è una netta separazione tra la parte mobile e la parte fissa. In una città di pianura, questo non lo troviamo: la dimensione è sempre uguale.
Se dovesse paragonare la sua passione per il mare ad un cibo, quale sceglierebbe?
Io per anni ho cucinato per gli amici in barca, perché, provenendo dai catamarani, mi annoiava la lentezza delle imbarcazioni a vela normali, quindi mi chiudevo sotto e cucinavo molto. Associo al mare l’alimentazione che ha come riferimento i prodotti della Dalmazia: le erbe e il pesce. Secondo me, quando si vive in un territorio si cerca di coglierne tutti gli spetti: sportivi, ludici, culinari, storici. La finalità è quella di riuscire, in qualche modo, a conoscere sempre di più i nostri luoghi e siccome, nel mio caso, provengo dalle isole, sono molto affezionato a questo ambiente.
Ha partecipato a qualche regata?
Sì. Ho molti amici che sono formidabili regatanti, dai quali ho sempre cercato di rubare con l’occhio la grande abilità; ma, non provenendo da una scuola di vela sportiva agonistica, i risultati delle mie regate non sono stati dei grandi successi.
Diciamo che esistono due mondi: il mondo della vela da diporto, cioè la vela non agonistica, e il mondo della vela agonistica. L’agonistico si riduce a dei percorsi tecnici, mente l’altro è una navigazione libera: sono due mondi completamente diversi; anche se, un buon regatante può riversare parte della sua esperienza nell’ambito del diporto. In genere, comunque, sono mondi separati e lo si vede anche dalle imbarcazioni: una cosa è l’imbarcazione in legno come “Nababbo”, e un’atra cosa è invece un’imbarcazione “Zero” dove, effettivamente, uno si accorge che tutto è destinato a far correre il più possibile la barca, mentre l’altra è fatta per stare comodi.
Qual è il suo motto quando naviga?
“Affrettati lentamente”, che è il motto latino: “festina lente”. Affrettati lentamente, nel senso fai le cose ragionando, non farti prendere dal panico, dalla voglia di correre, di fare: è un buon motto per chi va per mare. Quando si naviga bisogna avere sempre i piedi “per terra” e cercare di fare le cose giuste, nel momento giusto, questo è fondamentale; ciò insegna il mare.
Ha qualche sogno nel cassetto?
Il sogno nel cassetto l’ho realizzato, perché, da poco tempo, ho acquistato un’imbarcazione di grande prestigio: uno perché è completamente in legno, secondo perché è stata progettata dal grande progettista triestino Carlo Sciarrelli, terzo perché è un’imbarcazione legata al territorio di Lussino. La barca in questione è la “Passera”, una barca da pesca che l’architetto Sciarrelli ha saputo trasformare e far diventare un’imbarcazione da diporto, quelle che vengono chiamate day-sailers; cioè imbarcazioni usate solo nei week-end. Per me è affascinante perché, provenendo io dalla progettazione e dall’architettura, questa barca, con la sua composizione in legno, mi ricorda un po’ una casa.
Qualche aggettivo che descriva al meglio il mare?
Sicuramente fascinoso: l’attrazione per questo elemento è fortissima; e quindi fascinoso è l’aggettivo più adatto.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Ringrazio Giulio Stagni per il piacevole viaggio mentale.
Leggere questa intervista è come navigare nel mare, avvertirne i suoi spruzzi e la sua salsedine. Il mare, questo elemento che tanto ci affascina, zeppo di leggende, ma anche di storie vere, liete, ma le più tante drammatiche.
Opera di ricerca quella di Giulio Stagni, che ci conduce al largo dalla costa come in un viaggio, attraverso le sue parole, ma ancor più dei suoi disegni, delle storie di pesca, che animano le acque e ce le fanno sentire più presenti e più vive. E poi i viaggi cui Stagni si riferisce, certamente fra i più stimolanti ed interessanti, quelli attraverso la mente, che stimolano la nostra immaginazione e le nostre fantasie. Poi c’è quella citata “dimensione ostile” del mare, che ce lo fa amare di più, perché ci richiede impegno nell’avvicinarlo e nel conoscerlo. I marinai, quelli veri, quelli più solitari, uomini affascinanti per avventura e superamento di ostacoli, uomini che non si arrendono mai!
Per Stagni, per chi naviga, un libro interessante sarebbe un libro di terra, perché l’uomo è attaccato ad essa e vi si riconosce di più essendo il proprio elemento naturale. Per me sarebbe invece “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, di classica memoria.
Il sogno nel cassetto poi, realizzato da Giulio Stagni, quello descritto della sua barca, penso sia uno dei più affascinanti si possa fare.