A concludere la stagione teatrale di quest’anno, del Teatro Bobbio di Trieste, è stata la divertentissima commedia “Boeing Boeing” – regia di Mark Schneider – ambientata negli anni ’60, che ha visto come protagonista un cast eccezionale.
Bernardo (Gianluca Guidi), uomo di mondo, divide la sua vita con tre hostess di tre compagnie aeree diverse: Gloria, l’americana (Barbara Snellenburg), lavora per la TWA, Gabriela, la spagnola (Marjo Berasategui) per la l’Iberia e Greta, la tedesca (Sonja Bader), per la Lufthansa.
Ognuna di loro è convinta di essere l’unica fidanzata di Bernardo; ma con l’arrivo di un Boeing molto più veloce, i piani di Bernardo cambiano completamente, e si creano situazioni esilaranti. Ad aiutarlo a gestire il via vai delle tre hostess sono la sua fedele governante Berta (Ariella Reggio) e Roberto (Gianluca Ramazzotti), un vecchio compagno di studi.
Una commedia frizzante, spontanea, dai toni ironici, piena di brio, resa ancora più piacevole dalla bravura degli attori e dalla graziosa scenografia di Rob Howell.
Gianluca Guidi è un cantante, attore e regista italiano, figlio di due grandi artisti: il cantante e attore Johnny Dorelli e l’attrice Lauretta Masiero.
Suo padre Johnny Dorelli, sua madre Lauretta Masiero: due personaggi famosi. Dal punto di vista artistico, cosa le hanno insegnato?
Sono stati insegnamenti a volte anche involontari, perché vivendo in una famiglia di artisti ho avuto costantemente dei “maestri” a disposizione. Fino ad una certa età mi hanno insegnato un po’ tutto, poi fisiologicamente la vita ti porta ad avere altri maestri che per me sono stati Nino Manfredi e poi, per moltissimi anni, Gigi Proietti; a lui devo la mia carriera teatrale.
Com’è Gigi Proietti come regista?
Lui è il più bravo in assoluto tra tutti quelli con cui ho lavorato fino ad oggi. È un uomo che conosce tutti i segni teatrali; è un grande attore. Ama insegnare, ama mettere a disposizione degli altri la propria esperienza, anche Manfredi era così, ma l’ho frequentato un po’ di meno; con lui ho fatto una tournée e quattro serie televisive. Con Gigi invece siamo legati quasi da una parentela figliare. Entrambi questi uomini, a loro modo, hanno avuto la voglia di insegnare a me, ma anche ad altri, quali erano le cose che dovevano essere fatte in palcoscenico.
Com’era Nino Manfredi?
Nino Manfredi era un uomo molto simpatico, un grandissimo attore, molto disponibile, molto educato, molto signore, molto divertente. È stata veramente una conoscenza di una piacevolezza enorme. Lavorare con lui è stato molto bello, anche perché era una persona per bene.
Qual è il personaggio che ha interpretato a teatro che le è piaciuto di più?
Mah… un po’ tutti diciamo, perché se scegli di fare una cosa, vuol dire che ti piace. Ci sono alcuni personaggi che ho frequentato un po’ di meno, tipo Bernardo, della commedia “Boeing Boeing” (tratta dall’omonimo film con Tony Curtis e Jerry Lewis 1965 nds), di cui ho fatto soltanto 120-130 repliche, mentre in “Taxi a due piazze”, il taxista l’ho fatto per oltre 440 volte. Forse il personaggio più completo di tutti, sotto il profilo dell’umanità, era C.C. Baxter in “Promesse, Promesse”, che è stato tratto dal film di Billy Wilder, “L’appartamento” (con Jack Lemmon e Shirley MacLaine 1960 nds). Da questo film Neil Simon ne ha tratto un musical a Broadway, con le musiche di Burt Bacharach, che andò in scena nel ’68 o giù di lì; fu un grandissimo successo e io l’ho rifatto nel 2002. C.C. Baxter era un personaggio con molte sfaccettature. Bacharach era un compositore molto colto, ma non troppo compreso dal pubblico italiano; forse perché appartenente ad un’altra cultura.
Che ruolo drammatico e/o comico le piacerebbe fare?
Francamente non ne ho idea. Ciò che volevo fare l’ho fatto ed era il personaggio di Don Silvestro, nella commedia musicale “Aggiungi un posto a tavola” (di Garinei e Giovannini nds). Questo personaggio mi ha dato moltissimo: lo aveva fatto anche mio padre e quando io l’ho visto recitare, ho deciso di diventare un attore; quindi interpretare lo stesso ruolo che aveva fatto mio papà, è stato un po’ come chiudere un cerchio della mia vita famigliare.
Qual è il suo autore teatrale preferito?
Beh, Shakespeare senz’altro! È un patrimonio dell’umanità. Di lui ho fatto soltanto “I due gentiluomini di Verona”; un altro bel personaggio. Shakespeare è l’autore che mi affascina di più, anche perché, attraverso i suoi personaggi, egli studia l’essere umano, i suoi lati più nascosti; riesce a spaziare così tanto che pensare che tutte quelle opere le abbia scritte soltanto lui è veramente incredibile. Ci sono però delle teorie che dicono che fossero in tanti a scrivere i testi di Shakespeare, oppure che non fosse lui, ma un’altra persona. Nonostante siano passati moltissimi anni, le sue opere rimangono di un’attualità totale.
C’è un libro bellissimo di un sociologo e filosofo tedesco che si chiama Ekkehart Krippendorff, e il libro s’intitola“Shakespeare politico”; dove vengono analizzate tutte le tragedie politiche di Shakespeare, paragonandole all’attuale situazione in cui viviamo. Quello che ne esce è che l’uomo non cambia mai, anzi semmai col tempo peggiora.
A lei piace cantare. Qual è il suo cantante preferito?
Amo molto la musica americana, in particolare la musica jazz. I cantanti che mi piacciono sono i famosi ‘crooner’, quindi Frank Sinatra, Tony Bennett e via dicendo. Il più bravo di tutti era senz’altro Sinatra, però quello a cui sono più legato, anche come capacità di showman ed entertainer, è Dean Martin; era un vero genio. Se si guarda il “The Dean Martin Show”, che ha fatto per dieci anni, si può capire che era un artista straordinario; un po’ meno bravo di Sinatra nel cantare, però era un artista a tutto tondo: ha fatto televisione, cinema – i western con John Wayne, il club con Jerry Lewis – canto, di tutto! Come uomo di spettacolo Dean Martin è inarrivabile!
Le piacciono di più i film di adesso o quelli di una volta?
Di una volta!!!
Qual è il suo film preferito?
Hahaha … ce ne sono tanti; ci sono attori meravigliosi! La maggior parte dei film attuali si assomiglia, però ce ne sono alcuni che vanno salvati, come “Il discorso del re”, “The Prestige” e qualche altro. Sicuramente una volta c’era una quantità maggiore di qualità, che oggi manca. In Italia, a parte alcune eccezioni, c’è una nuova forma di recitazione di tipo “neo neorealistica” che personalmente non apprezzo molto; forse non sono abbastanza moderno.
Per esempio l’attore Pierfrancesco Favino è molto bravo e anche Massimo Popolizio lo è, però non sono degli attori giovanissimi. Tra le nuove leve non mi viene in mente nessuno.
Negli Stati Uniti anche nelle serie televisive si possono trovare grandi attori: Kevin Spacey – molto bravo nella serie “House of Cards” – che fa film, ma pure Riccardo Terzo; John Turturro è un altro attore straordinario e Vincent D’Onofrio, un attore pazzesco.
Secondo lei in che condizioni è il teatro dei giorni nostri?
Pessime, anche perché, fino ad oggi, non è stata fatta una legge quadro adeguata per la nostra professione. Il teatro non è considerato, dalla nostra classe politica, come un mezzo di comunicazione importane; è un po’ tralasciato. Si privilegia magari qualche trasmissione televisiva di minor importanza, ma con più ascolti, che un buon spettacolo teatrale.
Sicuramente anche la televisione ha perso in qualità…
Si sono perse le identità di quelli che lavorano nell’ambito televisivo e soprattutto si è abbassato il valore qualitativo; ciò è terrificante! Pensare che il programma della Rai con maggior successo è “Techetechetè”, ci fa capire che alla gente fa piacere rivedere i beniamini di un tempo. I giovani che guardano questo tipo di programma possono conoscere personaggi straordinari, come: Walter Chiari, Lelio Luttazzi, Raimondo Vianello, mio padre Johnny Dorelli, Mina, Raffaella Carrà, Nino Manfredi e anche Corrado che era un presentatore puro. Tutti quelli che lavoravano in tv facevano un mestiere che si evinceva. A volte, non riesco proprio a capire perché vengano prodotte delle trasmissioni che non sono un granché, anche perché hanno un costo notevole; bisognerebbe tenere conto della quantità della qualità.
Perché non fare del teatro in televisione?
Dicono che il teatro in televisione non funzioni, ma secondo me è perché non hanno voluto farlo funzionare. Bisogna semplicemente avere più coraggio e abituare il pubblico a guardare cose diverse. Nessuno conosce più niente; gli autori non esistono più. Una volta c’erano grandi nomi come: Enrico Vaime, Garinei e Giovannini, Italo Terzoli, Dino Verde, Antonio Amurri, Marcello Marchesi; gente che aveva una cultura, ma che purtroppo quasi tutti i giovani d’oggi non conoscono.
Secondo lei i Social Network che ruolo hanno nel panorama artistico?
Diciamo che c’è un grande desiderio di apparire e con i Social Network la cosa diventa molto facile: basta fare un video e postarlo su Facebook ed è subito alla portata di tutti; si creano così dei personaggi virtuali, che in realtà non sono nessuno. L’importante è che ognuno conosca il proprio valore: io non sono Marlon Brando, ma so bene chi non sono, però so anche bene chi sono.
Oggi non c’è più la leggerezza, la voglia di imparare, di apprendere. Credo che questa società abbia creato delle generazioni che hanno una grande necessità di essere qualcosa, però l’essere va coltivato. L’etica non è una parola vuota, l’etica prevede la conoscenza che, grazie ai mezzi tecnologici che ci sono oggi, non è difficile da raggiungere.
Che legame ha con Trieste?
Io amo molto Trieste, perché c’è una grande cosa che mi lega a questa città: l’amicizia con un attore triestino, più grande di me, con il quale ho lavorato per moltissimi anni, che purtroppo è mancato; si chiamava Gianni Fenzi. Abbiamo convissuto per sette anni gomito a gomito: recitavamo insieme. Io venivo sempre a trovarlo a Trieste e quindi ho vissuto, attraverso i racconti di Gianni, ma anche personalmente, ciò che succedeva oltre frontiera. Mi ha colpito molto quando, durante la guerra nei Balcani, hanno buttato giù il ponte di Mostar. Quel ponte era stato costruito da un architetto musulmano nel 1400-1500 e dopo esser stato bombardato un gruppo di esperti ha cercato di ricostruire la formula matematica per rifare lo stesso tipo di arco che c’era precedentemente.
Che cosa pensa di Trieste?
Penso che Trieste potrebbe essere una delle capitali del mondo, ma purtroppo c’è un’immobilità incomprensibile. Porto Vecchio potrebbe essere una delle meraviglie del mondo e invece è lì, fermo. Evidentemente non ci si rende conto di ciò che si ha. Risistemando quella zona si potrebbe dare ai turisti la possibilità di vedere una cosa pazzesca che non esiste in altre parti del mondo; come d’altronde non esiste un’altra Venezia – io amo molto Venezia, perché è la città di mia madre. Sono due cose diverse, ma ugualmente interessanti.
Ho visto che hanno ristrutturato l’ex pescheria comunale (Salone degli Incanti), a fianco all’acquario; devo dire che hanno fatto un bel lavoro, è uno spazio meraviglioso! La stessa cosa dovrebbe esser fatta nel Porto Vecchio, creando spazi museali, per spettacoli, librerie, biblioteche; bisogna far capire ai giovani che Trieste non è soltanto una città di vecchi, ma potrebbe diventare un centro importante.
Lei si occupa dei bambini meno fortunati, attraverso il CIAI (Centro Italiano Aiuti Infanzia). Cosa mi dice della povertà dei giorni nostri?
Io sono testimonial di una ONG internazionale per l’infanzia: il CIAI. Con loro sono stato in Costa d’Avorio e recentemente in Burkina Faso; ma quando racconto delle tragedie che ho visto, vedo che la cosa non interessa moltissimo. Bertolt Brecht – grande autore tedesco – ha ripreso la commedia “L’opera del mendicante” di John Gay, per realizzare “L’opera da tre soldi”. In questo lavoro il capo del racket dei mendicanti, Peachum dice: “La povertà reale non interessa a nessuno. Interessa più la mistificazione della povertà”. Lo dice ad uno che voleva entrare a far parte dei mendicanti e che non voleva indossare il costume da povero, perché lo era già. Peachum, indicando l’abito di “scena”, sostiene: “Questo è il costume che interessa. La tua povertà reale non interessa a nessuno. Interessa solo quella finta”.
Una conclusione veramente triste ed attuale.
Cosa ne pensa del potere delle masse?
Goethe diceva: “Nella massa non vi è mai intelligenza”, ed è plausibile che sia vero. Allo stesso modo però la massa ha un potere enorme di coesione sociale; proprio per questo non vi è alcun interesse a farla progredire. In questo periodo vedo un momento di stallo.
Su cosa bisognerebbe puntare per migliorare un po’ le cose?
Innanzitutto bisognerebbe valorizzare ciò che appartiene alla nostra cultura, alla nostra terra; dovremmo imparare ad apprezzare e a riscoprire le nostre radici, le nostre ricchezze. Ciò non significa non accettare le altre culture, anzi bisogna rispettarle, con tutti i loro pregi e i loro difetti. Inseguire altre culture dimenticando la nostra, è un errore, è come mangiare la Jota a Pechino; non è la stessa cosa: non ci sono gli stessi ingredienti.
Ha qualche sogno nel cassetto nel campo lavorativo?
Sì, mi piacerebbe molto fare una regia lirica; credo che sia l’unica forma di teatro che è ancora rimasta uguale dalla sua nascita ad oggi. Mi piacerebbe dirigere “Le nozze di Figaro” di Mozart; non come direttore d’orchestra, come regista ovviamente. Se proprio potessi scegliere anche il direttore d’orchestra vorrei Daniel Harding. Questo sarebbe il sogno della mia vita, poi potrei pure partire in barca a vela.
A cosa sta lavorando in questo momento?
Adesso sono in procinto di fare un One-man Show su Oscar Wilde, con il regista Massimo Popolizio, che oltre ad essere un bravissimo regista è anche un bravissimo attore. Lui mi dirigerà in questo grande spettacolo su Oscar Wilde, in cui sarò in scena da solo con delle proiezioni, delle immagini…questa è un’altra bella avventura! Io ho sempre amato molto Wilde, la sua cultura, il suo essere spiritoso, la sua leggerezza, il suo modo di vedere le cose.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Ringrazio l’attore Gianluca Guidi per l’interessantissima “chiacchierata” e per le tantissime cose che mi ha raccontato.
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