Alan Stefanato presenta la sua mostra “Brainstorming”, curata da Paolo Ferluga.
Alan, quando è nata la tua passione per la pittura?
Quando ero piccolo; sognavo di diventare un artista. Crescendo ho continuato ad avere questo interesse e ho sempre disegnato. Alle scuole elementari e medie facevo le locandine e le scenografie per gli spettacoli teatrali scolastici; i professori approfittavano di questa mia dote. Poi ho scelto di andare all’Istituto d’Arte, ma non tutti erano d’accordo con questa mia idea; ho avuto un momento di indecisione, ho pensato di iscrivermi ad altri istituti. Per fortuna il mio insegnate di arte mi ha fatto capire che la mia strada era quella artistica, e così è stato.
Qualcuno, nella tua famiglia, dipinge?
No, mia mamma è una bidella e mio papà è un vigile del fuoco. Però mia mamma, fin da piccolo, mi ha sempre fatto disegnare, disegnavamo insieme.
All’Istituto d’Arte, secondo te, hai imparato qualcosa di utile? È stata una scuola interessante?
L’istituto d’arte “Nordio” mi ha fatto crescere tantissimo, anche perché ho scoperto delle realtà nuove. Io vengo da Muggia – un piccolo centro – e non credevo che si potesse vivere d’arte, fare quadri. All’Istituto d’Arte ho conosciuto persone che dipingevano e che riuscivano a far qualcosa di bello con l’arte stessa, e anch’io ho cominciato a dipingere, anche se la scuola non ti dà la libertà di fare ciò che vuoi: ti insegna solo a eseguire delle cose.
Ti ispiri a qualcosa, a qualcuno, per fare i tuoi dipinti? Come nascono questi quadri?
Con il tempo, il mio stile è cambiato abbastanza, ma credo sia normale. All’inizio ero molto impulsivo, adesso per realizzare un lavoro ci metto più tempo. Non parto mai da un disegno; anche se a volte ci provo, finisco sempre per stravolgere tutto: mi vengono in mente nuove idee e alla fine il risultato è completamente diverso dal progetto iniziale.
Ho notato che hai cambiato la tua tavolozza cromatica. All’inizio usavi colori caldi: marroni, rossi; mentre adesso vedo colori più freddi: violetti, blu. Come mai?
Periodi, periodi. Adesso ho iniziato a dipingere con i colori a olio, che mi piacciono di più. Diciamo che nei miei primi quadri non usavo molto la tavolozza, non mescolavo tanto i colori, li prendevo dal secchio e li stendevo sulla superficie; ora ho iniziato a curare di più le ombreggiature e a mescolarli.
È difficile dipingere con i colori ad olio?
No, no. Inizialmente, tutti mi dicevano che era molto più difficile dipingere con i colori ad olio che con quelli acrilici, perché bisogna avere una migliore conoscenza della tecnica, e questo mi aveva un po’ bloccato. Avevo già fatto molti lavori con gli acrilici e mi erano riusciti bene; a un certo punto ho pensato che sicuramente non avrei avuto nessun problema a usare anche i colori ad olio. Ormai è da un anno che dipingo ad olio e devo ammettere che mi è molto più facile e le cose mi riescono anche meglio: i colori rendono molto di più, sono più brillanti, puoi lavorarci di sopra tantissimo perché si asciugano lentamente; tutto è più semplice. Con l’acrilico quello che facevo si asciugava subito e quindi non potevo modificare nulla, o farlo era comunque più complicato.
Hai una corrente artistica preferita o un pittore preferito?
Corrente? Anche qui vado a periodi; sono abbastanza aperto. In questo momento, mi piacciono il neosurrealismo e i pittori contemporanei; fanno dei lavori molto belli.
Rubi con l’occhio o ti fai un’idea tua?
No, alla fine tutto si ruba con l’occhio, inconsciamente. Non riesco a capire come certe persone dipingano tutta la vita sempre le stesse cose, magari mutando di poco. Per me è inconcepibile, perché il proprio pensiero non sta mai fermo, si evolve sempre. È molto importante osservare i nuovi talenti, quelli che sperimentano, che possono essere fonte di ispirazione, che possono farti crescere, cambiare, pensare in maniera diversa.
Hai fatto delle mostre anche al di fuori di Trieste?
Collaboro con alcune gallerie che mi hanno dato la possibilità di partecipare a più fiere artistiche, anche in ambito europeo.
Dove ti piacerebbe fare una mostra?
Il massimo, per me, sarebbe oltreoceano: a New York.
Qui in Italia, per gli artisti giovani, è difficile, secondo te, arrivare in alto?
Sì, è difficilissimo. Ci sono molte persone brave nel dipingere, ma non sono tenaci. Bisogna impegnarsi molto; lavorare molto per inserirsi nell’ambiente giusto, per avere nuovi contatti e per sapere a quali concorsi partecipare. Nulla cade dal cielo, bisogna lavorare tanto. Però devo dire che sono contento, perché in questi ultimi anni ho avuto delle belle soddisfazioni.
Si trovano acquirenti in questo periodo di crisi?
No, niente, è veramente difficile. Qualche anno fa era molto più semplice.
Preferisci le cose astratte o quelle figurative?
Dipende. L’importante è che siano belle e che mi trasmettano qualcosa, non serve altro.
Dipingi all’aperto o al chiuso?
Al chiuso, perché all’aperto è un po’ difficile.
Ascolti musica mentre dipingi?
A volte sì, a volte no.
Che tipo di musica ascolti?
Un po’ di tutto: musica Rap, Reggae, Jazz, la musica elettronica… qualsiasi cosa!
Secondo te la musica può influenzare ciò che dipingi?
Secondo me, assolutamente no. Quando dipingo sono concentrato; magari qualche musica può darmi fastidio, ma non credo che possa influire sul mio modo di dipingere.
Preferisci i formati piccoli o quelli grandi?
Sono partito con i formati grandi ed avevo difficoltà a dipingere sui formati piccoli, mentre adesso ho iniziato a dipingere sui formati piccoli e quindi ho perso un po’ la mano sui formati grandi; la cosa migliore è alternare. Il problema dei quadri grandi è che sono difficili da collocare quando finisce la mostra e, se si utilizzano i colori a olio, difficili da gestire.
Secondo te, per poter esprimere tutto quello che si ha in mente, sono meglio i formati grandi o si riesce a farlo anche con quelli piccoli?
No, si riesce ugualmente. Forse quelli piccoli li gestisco meglio, ma il messaggio non cambia. Nel formato grande lavoro in un certa maniera, mentre in quello piccolo in un’altra, però quello che devo esprimere è uguale; c’è solo la difficoltà tecnica, l’impatto: in quelli più piccoli devo essere più preciso.
Cosa mi dici della nuova galleria “Check Point Paint”, quella dove verrà inaugurata la tua nuova mostra?
Ha aperto da poco e credo che sia il posto più bello per poter esporre a Trieste. È uno spazio molto luminoso e grande. La via dove si trova questa nuova galleria d’arte si sta veramente animando: ci sono tanti artisti e sta aprendo un laboratorio di scenografie.
Come mai hai scelto il titolo “Brainstorming” per la tua nuova mostra?
Per me è sempre molto difficile scegliere un titolo, anche perché i miei quadri sono il frutto di un lavoro impulsivo, in continuo sviluppo, senza un tema iniziale specifico. Sono dell’idea che non sempre serva dare un nome ad una propria opera; essa dovrebbe parlare da sé, senza il bisogno di un titolo. Spesso però il titolo è richiesto e allora cerco di trovarne uno appropriato. Il titolo di questa mia nuova mostra, “Brainstorming”, è nato perché io e alcuni miei amici, per scegliere il nome da dare alla mia esposizione, abbiamo deciso di fare appunto un’attività di “brain-storming” e alla fine ho capito che era proprio quella parola che al meglio poteva rappresentare la mia mostra, la mia pittura, le mie idee.
Hai qualche sogno nel cassetto?
Vivere d’arte, vivere bene, poter dipingere avanti, e fare mostre in tutto il mondo. Questo è il sogno più grande, nulla più.
Inaugurazione venerdì 9 maggio, alle ore 18.30, presso la Galleria “Check Point Paint” in via Castaldi n°3 a Trieste. La mostra sarà visitabile fino al 30 maggio al giovedì e al venerdì dalle 16.00 alle 19.00, o su appuntamento.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
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