“Questo ragazzo è una benedizione per la mia musica, e il suo ‘Scarlatti’ è semplicemente mozzafiato”. È così che Angelo Gilardino, grande chitarrista, musicologo e compositore italiano, ritrae la delicatezza e la grazia di Alberto Mesirca.
Chitarrista classico, si è diplomato al Biennio Esecutivo Specialistico presso il Conservatorio di Castelfranco Veneto con 110, lode e menzione speciale d’onore, sotto la guida del M° Volpato. La sua musica è un concerto di spiritualità, in cui convivono aspetti misteriosi e seducenti. Si dedica a un repertorio musicale globalmente affascinante, dalle trascrizioni, in chiave contemporanea, di antichi manoscritti liutistici del ‘500, fino alle sperimentazioni più moderne.
Venerdì 28 marzo ho assistito al suo concerto, presso il Museo Casa Giorgione di Castelfranco Veneto, intitolato “Fantasie e Ricercari di Francesco da Milano dal Manoscritto liutistico di Castelfranco Veneto e recital di autori italiani”. Ascoltare la sua musica è un’emozione “sola”, un viaggio sensoriale dove ogni immaginazione diventa realtà.
Tanta è stata la meraviglia che ho provato di fronte al talento di questo giovane ragazzo, che ho istantaneamente sentito il bisogno di trascriverla a parole.
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Quando hai iniziato a suonare? Cosa, o chi, ti ha avvicinato al mondo della Musica?
Ho iniziato a suonare a otto anni, volevo fortemente suonare uno strumento, e la chitarra, sebbene vista in televisione e sempre sotto una veste più popolare, mi ha affascinato da subito. Mia zia materna possedeva una chitarra in casa, così chiesi di usarla per provarla. La mia famiglia, pur non essendo famiglia di musicisti, ha sempre coltivato un grande interesse per la cultura. Il mio nonno paterno, Giuseppe Mesirca, è stato un grande letterato nell’ambiente padovano del ‘900 (ha vinto il premio Campiello), e l’arte era di casa, tra critici e artisti; possedeva una bellissima collezione di vinili, che ho ereditato, e il cui ascolto mi ha davvero molto influenzato, dal Debussy di Michelangeli ai Quartetti di Bartok. Naturalmente la passione strumentale deve essere incanalata attraverso un’educazione e, come sai, non sapendo precisamente a chi rivolgersi, il primo maestro fu un ‘salto nel buio’, ma devo dire di essere stato molto fortunato fin da subito con i maestri che mi hanno seguito.
In un periodo in cui la musica classica ‘colta’ è sempre più di nicchia, cosa provi a essere uno dei più grandi interpreti e protagonisti di quest’Arte?
Per me suonare è una necessità di vita, ormai costituisce gran parte delle mie giornate, e moltissimo del mio tempo ruota attorno alla musica; per questo, indipendentemente dai successi o dagli insuccessi, essa è la mia vita. Non mi sento assolutamente tra i grandi interpreti, ma il diventarlo costituisce il mio principale obiettivo, giorno per giorno. E’ una prospettiva di vita, secondo me, che ti fa dimenticare molto facilmente i complimenti e focalizza l’attenzione sull’ autocritica; quello che cerco di fare è di non guardare indietro, errore che molto spesso, principalmente tra i giovani vincitori di concorsi internazionali, si vede, e naturalmente il sentirsi arrivati o il bearsi dei successi blocca l’evoluzione artistica. Che la musica classica sia sempre più di nicchia è vero, tuttavia credo che sia principalmente un problema di educazione all’ascolto, più che reticenza da parte della gente: se i ragazzi vanno a un concerto, si emozionano anche oggi, il problema è il primo passo, la prima spinta ad andare ai concerti, e naturalmente il cercare di eliminare la falsa nomea della musica classica come musica “da vecchi” o “da intellettuali”, perchè non è assolutamente così, è emozione, passione, e amplifica tutto ciò che è bello nell’essere umano.
Grandi compositori di musica classica per chitarra, quali Angelo Gilardino e Leo Brouwer, ti hanno dedicato dei loro componimenti. Come ci si sente e come ci si comporta davanti a un pezzo mai sentito e da interpretare?
Collaboro con compositori già da molto tempo, e la sperimentazione, le cose nuove, mi hanno sempre molto coinvolto. L’idea di suonare una musica mai sentita mi piace molto, e per questo la ricerca di manoscritti inediti e l’attività con compositori di rilievo sono alla base del mio lavoro. Se si conosce lo stile di un compositore, se si ha già suonato alcune sue composizioni, allora l’approccio a un brano nuovo non spaventa, di solito, a meno che non sia un brano completamente diverso dalla sua stilistica. C’è una differenza sostanziale tra i compositori che sono stati anche grandi interpreti della chitarra, come Gilardino o Brouwer appunto, e che di conseguenza conoscono bene i limiti e le potenzialità dello strumento (strumento difficilissimo per un compositore), e i compositori non- chitarristi, che scrivono pensando a una chitarra ideale, astratta. Quest’ultimo approccio comporta una libertà compositiva che permette di esprimere un’idea musicale non vincolata dai limiti strumentali, ma spesso richiede una revisione della composizione, e in questo senso il compito dell’interprete diventa anche quello di comprendere l’idea di un compositore e tramutarla in una soluzione strumentale che funzioni con la chitarra. In questo senso lavorare con altri compositori, come Gyorgy Kurtag, Sylvano Bussotti o Magnus Lindberg è stato una grande lezione per me, e rispondendo alla domanda sul “come ci si sente” sono davvero onorato e fortunatissimo del fatto che mi sia stata data questa meravigliosa opportunità.
Durante il tuo percorso formativo e la tua carriera, ci sono stati momenti che ti hanno dato soddisfazioni particolari o che si sono rivelati importanti per te? se si, quali? la partecipazione ai Grammy rientra tra questi?
Come ti dicevo prima, la gioia del successo per me dura un secondo, dopo un concerto ben riuscito penso alle cose da migliorare o al programma del concerto successivo, poco dopo aver ricevuto un premio mi rimetto subito a studiare. Certo a volte ricevere i premi fa capire che il lavoro che stai svolgendo è apprezzato da gente del mestiere, cosa che ti fa pensare che non tutta la fatica è stata spesa per nulla, tuttavia ho sempre cercato di non soffermarmi sugli allori. Se devo pensare a qualche premio che mi ha reso particolarmente felice, l’essere nominato “giovane artista dell’anno” ad Aalborg, in Danimarca, o al festival della chitarra di Vienna, e le tre chitarre d’oro sono tra questi. Sono stato felice di essere stato scelto per concorrere ai Grammy a Los Angeles, anche se non ho vinto, perché già il fatto che un produttore voglia puntare sul tuo nome fa piacere; tuttavia, come puoi immaginare, in quel tipo di premi concorre molto il mercato discografico e le mosse di marketing e promozione, e da una piccola etichetta olandese, per la quale avevo inciso le opere di un compositore haitiano (sebbene in collaborazione con Marc Ribot, chitarrista di Tom Waits e John Zorn) non ci si poteva aspettare un grande investimento promozionale. Ma sono felicissimo comunque!
C’è un artista a cui sei particolarmente affezionato?
Tra i musicisti che mi hanno influenzato, certamente l’ascoltare i dischi di Andrés Segovia, il più grande chitarrista di tutti i tempi, mi ha influenzato enormemente. Adoro anche il chitarrista Julian Bream, che ha riscoperto tutto il repertorio rinascimentale inglese (John Dowland) e ha chiesto a grandissimi compositori di scrivere per il nostro strumento; per questo dovremmo essergli tutti grati. Poi naturalmente i grandi interpreti della musica, anche non chitarristi, sono stati fonte di grandissima ispirazione, da Pollini, a Michelangeli, alla Argerich, Perlman, Heifetz, Toscanini. Tra i musicisti che ho incontrato nel corso della carriera, ricordo con particolare affetto ed emozione l’incontro con Robert Fripp, grandissimo pioniere delle sei corde, mente dei King Crimson e chitarra di “Heroes” di David Bowie, che mi ha illuminato e le cui parole mi ripeto ogni giorno come approccio all’arte della musica.
Preferisci dedicarti alla trascrizione o alla composizione?
Mi piace moltissimo lo studio di spartiti, e dunque il trascrivere opere liutistiche in notazione moderna o il trascrivere opere per altri strumenti in spartiti per chitarra è diventato una conseguenza inevitabile di quello studio, specialmente se, come me, si è innamorati della musica in sé, non necessariamente legata a uno strumento. E’ con lo stesso approccio che Segovia trascrisse la Ciaccona per violino solo di Bach, o Haydn, o Scarlatti, alla chitarra. Per quanto riguarda la composizione, faccio ancora un po’ di fatica e mi sento restio. Sono stato coinvolto nel 2007 in un progetto in Germania, per l’importante Quinquennale d’Arte “Documenta” di Kassel, che prevedeva appunto composizioni fatte ad hoc in collaborazione con il bravissimo batterista jazz Jonas Giger, ma poi lo studio di opere meravigliose di musica classica porta inevitabilmente al blocco, al pensare di non riuscire ad eguagliare i grandi nomi della musica. Per me il comporre non è un’esigenza di vita, lo è il suonare piuttosto, e sono contento di poter collaborare con compositori che sanno fare il loro mestiere in modo divino.
Sei stato anche nominato responsabile dell’archivio musicale della Biblioteca Nazionale di Istanbul. Raccontaci di quest’esperienza.
In seguito a un progetto di carattere musicologico, di ricerca ma anche creazione artistica (un progetto multi-disciplinare, che coinvolgeva anche fotografi, ballerini e artisti visivi), finanziato dalla Comunità Europea e che aveva come punto base Vienna, sono entrato in contatto con Volkan Gulcek, direttore e responsabile della Biblioteca Nazionale di Istanbul. Già nel primo viaggio di incontro mi aveva detto che la biblioteca possiede molto materiale inedito, registrazioni e spartiti, che sono in realtà un lascito di un musicologo turco. Mi sono offerto subito di lavorare al materiale, ordinandolo, catalogandolo e soprattutto portando su formato digitale i vinili a 78 giri (quindi, una traccia unica per lato) che funzionavano solamente con un grammofono a mano, il cui ago come sai rovina il vinile ad ogni suo ascolto. Il materiale comprendeva musica classica ottomana, religiosa (repertorio sufi, ma anche canti islamici) e popolare, che raccoglieva i canti di molti “ashik”, i cantastorie presenti in tutto il territorio turco. Il conoscere inoltre un suonatore di “ney” (il flauto turco) per i riti dei dervisci mi ha fatto conoscere un repertorio meraviglioso, i canti dettati direttamente dal profeta Rumi, e inoltre il girare, concentrandomi principalmente nel territorio della Cappadocia, mi ha fatto conoscere moltissimi musicisti che hanno imparato la tradizione tramandata oralmente.
Hai qualche consiglio da dare alle persone? quale potrebbe essere una ‘chiave di lettura’ per imparare a leggere e sentire la musica classica?
Consiglio a tutti gli amanti della musica a provare a sfondare quella porta di reticenza che fa credere la musica classica come noiosa, a lasciarsi andare, sarà un’esperienza meravigliosa, ricchissima. Come tutte le arti, come sai, un minimo di preparazione, un piccolo bagaglio che permetta la creazione di un giudizio personale, è necessaria, tuttavia l’emozione che arriva non è dettata dalla conoscenza, non viene se conosci o meno Schubert, ed è questa la magia della musica. Certo se si tratta di un festival di musica contemporanea, come per l’arte figurativa, allora probabilmente si deve sapere a cosa si va incontro, tuttavia basta una piccola informazione, e per la musica, secondo la mia piccola opinione, quello che deve rimanere è quello che è riuscita a trasmetterti dentro, non certo l’abilità strumentale o l’intellettualismo compositivo.
Infine, cos’è la Musica per te? che ruolo ha nella tua vita e quali emozioni ti regala?
La musica per me è tutto quello in cui ho creduto fin da bambino, nonostante la fatica, le delusioni che ho incontrato e che si incontrano, la cattiveria di altri che vedono nel tuo talento una minaccia, e anche a volte le promesse non mantenute. Quello che è rimasto, alla fine, è sempre e soltanto la musica, l’unico motivo per cui ogni giorno suono per molte ore, il motivo per cui sento che valga la pena reinvestire i piccoli guadagni in progetti o ricerche o viaggi di studio, l’unica vera gioia a discapito dei successi e dei premi: l’unica vera felicità per me è sedersi e suonare.
“This is the best Scarlatti I’ve heard on solo Guitar” (K.Keaton, American Record Guide)
“Superb recording from the prodigiously talented Mesirca” (P.Fowles, Classical Guitar Magazine)
“In Alberto Mesirca, the work has found the most skilled, dedicated, and sensitive interpreter imaginable; and through the work, the listener can hear a formidable classical guitarist perform” (Marc Ribot, Frantz Casséus recording)
Ringrazio Alberto per la sua gentilezza e la sua rara ed elegante umiltà. Penso che non esista alcuna linea sottile che leghi in maniera ovvia una dote personale al talento. Il talento si cela dietro a ciò che si è, prima che a quello che si fa. E’ grazie al sistema e al terreno in cui si coltiva una virtù, che questa acquisisce la facoltà di manifestarsi, o meno, vestita di talento. E questo è il caso di Alberto, il quale, prima che talentuoso musicista, è una splendida e meritevole persona.
Per ulteriori informazioni, visitate il sito www.albertomesirca.com
Anna Toffanello © centoParole Magazine , riproduzione riservata