Cara Angela,
Di te il mio certificato di dimissione, alla voce “donatore”, mi da solo qualche scarno dettaglio, scritto con parole degne dì un referto autoptico.
Altezza.. peso.. sesso, motivo del decesso.
Ma nulla mi viene detto di chi eri, di cosa ti piaceva, di cosa odiavi,di cosa ti faceva ridere.
Ho avuto la tentazione di fare qualche ricerca più approfondita… ma mi è passata subito.
Però un nome a quella parte di te che mi ha cambiato la vita ho deciso di darlo.
E così… chiamo te nello stesso modo.
Ho una immagine di te… Sei solare… alta e “tanta”.
Hai un sorriso grande come grandi sono le prospettive che si aprono quando si arriva a trent’anni, quando ci si sente in un perfetto equilibrio, attrezzati delle energie dei vent’anni e della maturità dei quaranta.
E ora, quella parte di te che mi porto nel ventre, questo dono, giunge portando con sé queste stesse energie, questo quieto ed entusiasmante modo di guardare l’orizzonte.
È come se mi avesse ridato non solo quelle facoltà fisiche che il mio corpo aveva perduto, ma anche prospettive… desiderio di costruire ed esplorare.
Mi è stato messo nel ventre il desiderio di vivere, viaggiare… rimettermi in gioco.
Le prime notti, sdraiato a letto con una quantità di tubi attaccati, mi addormentavo tenendomi la mano la dove ti hanno messa in me. La poggiavo delicatamente, tra carezza e protezione. E ora provo un rispetto leggero come la mano di quelle prime notti di gioia e lacrime e paura.
Voglio avere cura di noi, cara Angela.
Voglio portarci in questo futuro tutto da scrivere.
Soprattutto voglio ricominciare ad affrontare progetti, scrollandomi di dosso la sensazione che per dodici anni mi ha accompagnato di non poter distendere completamente le ali verso cielo.
Vedi, cara Angela, la vastità dell’orizzonte che mi hai messo delicatamente fra le mani?
Si stende, colmo di splendide incognite, da un’estremità all’altra del mio sguardo.
Avrò cura di questo dono.
Lo nutrirò e lo disseterò.
Lo terrò da conto, senza paralizzarlo di ansie anzi, lo porterò con me a sperimentare ed esplorare. E soprattutto parteciperà con me della enorme lezione che ho compreso in questi dodici anni.
Il valore del tempo che ci appartiene.
Non lo sprecherò, non lascerò che si riempia di rimpianti e non permetterò che mi venga sottratto quando lo posso impiegare per star bene, per essere migliore, per vivere degnamente e pienamente.
Cara Angela, non voglio costruire mausolei in tuo onore, né esplorare la tua storia o celebrare alcunché.
Però portarti con me verso la gioia si, questo lo voglio fare.
E soprattutto, voglio con queste parole stringerti in un lungo, silenzioso abbraccio, così come tu hai fatto con me Il pomeriggio del 2 ottobre.
Il trapianto è una esperienza totalizzante. Nulla prepara alla sua portata e al suo impatto. Sin dalla prima chiamata si entra in un susseguirsi di gioia e paura, di aspettative su questo colossale azzardo. Così io, non ero preparato, per quanto pensassi di esserlo. E sono stato travolto e soverchiato da un caleidoscopio di emozioni, a volte davvero violente.
E tante sono le domande, tra cui quelle sulla vita che hai incrociato.
Nel trapianto si coglie davvero il senso della parola “donare”… e resta un confuso senso di gratitudine in confusa. Ho provato a tradurlo in parole.