Silvia Boldrini. Arte Digitale. Sentimenti. Nata a Roma, ha iniziato a dipingere ad olio e a china da autodidatta, e successivamente si è accostata al mondo della grafica e dell’arte digitale. Coltiva con entusiasmo la passione per le forme di comunicazione visiva, e considera il digitale come un mezzo di studio e sperimentazione stimolante e coinvolgente.
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Sentimenti, Silvia. Parliamo di sentimenti, questa sera. Tutti, nelle tue opere, o c’è qualche sentimento che prediligi?
Penso che i sentimenti siano un ‘carburante’ importante del vivere e nel cercar di esprimerli desidero comunque dare un senso in positivo, di libertà. Sentimenti di angoscia, preferibilmente no…. È vero che negli ultimi anni sono passata anche attraverso l’angoscia familiare, il dolore, ed ho realizzato quindi anche delle cose… contorte, come ‘Knots’ . Complicate e sofferte. Però quello che vorrei porgere è soprattutto un senso di dinamismo costruttivo, non una stasi rassegnata, bensì un senso di trasformazione e di apertura alla vita. In generale ciò che che cerco di mettere nelle mie opere deve corrispondere abbastanza a ciò che sento e che desidero trasmettere: mi deve restituire quella emozione, o almeno ci provo. Poi non sempre riesce… se trovo che non sia giusta, se non mi piace, se non mi riesce, se non mi convince, butto via.
Come hai cominciato?
Ho cominciato dipingendo dopo cena con i colori a olio, perché mi piaceva. Il mio sogno era di fare la pittrice e l’astronoma ma un incidente grave, nella mia famiglia, ha cambiato le cose. Ho iniziato subito a lavorare per mantenere la mia famiglia e sono andata avanti così per vent’anni: lavoravo di giorno, e poi la sera, dopo le dieci, mi mettevo li’ e dipingevo un pochino, oppure guardavo con il telescopio. Ho cercato di continuare a coltivare le mie passioni.
Con altri due ragazzi, abbiamo costruito, una volta, la lente di un telescopio: non ti dico la fatica! Sessanta ore di lavoro a testa, per realizzare lo strumento. In seguito, con un gruppetto di altre persone, abbiamo costituito una associazione di astrofili ed abbiamo anche costruito un piccolo osservatorio dove portavamo i nostri strumenti. Tra le varie attività portavamo i ‘telescopi in piazza’, nelle scuole.. quelle cose che si fanno, ecco. E dopo, piano piano, l’ho abbandonato, perché il mio lavoro si è spostato a Pesaro, e ho continuato a… dipingere dopo cena. E’ andata così. Ad un certo punto ho scoperto il computer, e ho iniziato ad esplorare! E’ affascinante!
Gli animali.
Gli animali perché … in parte per l’incanto che mi dà la loro immediatezza meravigliosa e per ciò che chiamo ‘selvatico’. Il rapporto con gli animali può rappresentare, nella grammatica e nel simbolismo dei sogni (e non solo dei sogni), gli impulsi e le emozioni umane. Nel contempo gli animali possono essere un mondo assai diverso dal nostro: un mondo non umano. Ad esempio vivere con un gatto (o un altro animale) secondo me ha qualcosa di speciale: in un certo senso è presente nella tua sfera personale qualcuno che ne è parecchio estraneo pur condividendo lo stesso pianeta. Un’ estraneo speciale: un animale, qualcuno che consideriamo un non umano. Non si fa entrare chiunque in casa propria o nei propri affetti, eppure talvolta ci si avvicina e ci si fa avvicinare da un piccolo animale completamente sconosciuto, ci si incontra con amore ed allegria: è qualcosa che può far superare la ‘differenza’.
Quando ho realizzato ‘El Puma’ ero attentissima. Volevo fare un puma che stesse fermo e nel contempo fosse molto attento: un puma immobile ma pronto a scattare se necessario, a difendere – in qualunque momento. Lo guardi ed è là, fermo e immobile come una pietra. Lo vedi e ne percepisci la tensione. I felini in agguato; mi appaiono solo apparentemente indifferenti.
Avevo letto di un puma in un libro di Carlos Cataneda, mi piaceva: in un episodio i due protagonisti sono in un deserto e si incontrano con un puma; uno dei due ha paura, molta, è agitato, se la prende col puma, reagisce in modo disperato, irrazionale anche. L’altro gli dice: “Perché ti arrabbi? A lui, ciò che fai non interessa, non se ne fa niente delle tue emozioni, ti vede solo come qualcosa da mangiare e forse qualcosa per il quale affinare il suo modo di cacciare. Non ti puoi arrabbiare per questo, perché questa è la sua natura. E tu lo sai. L’unico modo che abbiamo per sopravvivere è fare qualcosa che non si aspetta.” E i due si mettono a camminare a testa in giù; e così facendo, i due, nel racconto, si sono salvati.
Questo episodio ha attratto la mia attenzione e mi ha dato uno spunto: mi ha fatto pensare al modo che possiamo avere di superare le difficoltà, perché è giusto e naturale anche il reagire istintivamente, però bisogna poi cercare di venirne fuori in qualche modo: quel reagire in quella maniera ‘strana’ (il camminare a testa in giù) era talmente fantasioso e folle che per il puma risultava assolutamente incomprensibile.
Cavalli, rane, e pesci.
Amo gli animali e la ranocchietta (trasformazione) voleva presentare anche un momento ironico. Mi ero fatta male a un piede e soffrivo molto perché sono sempre stata attiva, mi piace muovermi, fare, non posso star ferma, e invece in quel momento muovermi mi era difficile: non riuscivo più a camminare. La ranocchietta è realizzata in digitale con Corel Painter ed è un insieme di ghirigori… sai, come quando fai tutti quei ghirigori con la penna mentre telefoni, ascolti, scarabocchi…. e poi li traduci portandoli a una dimensione umana. Tutti questi ghirigori erano la contrattura di tutte le cose che avevo dentro di me in quel periodo, me ne sono resa conto quando l’ho finita. Mi ero molto appassionata a questa ranocchietta, al suo sguardo diretto e al suo mantello, e l’ho chiamata ‘Tangles, la ranocchietta’ . ‘Ghirigori’, appunto.
Il pesciolino rosso invece era un disegno partito come esercizio: non avevo mai tentato di realizzare sino ad allora qualcosa di così delicato: volevo una superficie molto molto lieve, fluttuante. Per fare il pesciolino ho usato una pianta d’insalata – personalmente ho bisogno di un riferimento fisico per fare le cose, mi è molto d’aiuto – e le foglie d’insalata, quando le tocchi, sono davvero parecchio delicate, hanno una loro dimensione e fragilità, sono morbide al tatto, hanno un loro profumo: tutto questo mi è stato d’aiuto per il Pesciolino rosso e le sue pinne.
Tecnicamente – tra le tue opere ci sono delle differenze di realizzazione, anche sostanziali – come procedi per realizzare un’opera come il pesce?
Come prima cosa devo vedere, provare qualcosa che mi colpisce. Parto, sì, dal moto d’impulso fisico unito al moto d’impulso emotivo. Per il pesce avevo chiara l’emozione che volevo tradurre visivamente ed ho cercato riferimenti sia da foto sia da pesciolini reali. La musica di riferimento è stata ‘Iter Impius’ , di Pain of Salvation. Ho infine tracciato le prime linee del disegno e poi il resto.
Io non saprei da che parte cominciarlo, un disegno, Silvia. Mi piacerebbe disegnare.
Io faccio una riga, semplicemente una linea: questa è la base, lo ‘scheletro’ che dà direzione e traccia per il ritmo visivo. Spesso parte da una sensazione anche fisica: hai presente quando ascoltando un brano musicale reagisci con spontaneità tamburellando con le dita il suo ritmo? Ecco, qualcosa di simile. Tornando alla linea iniziale, su di essa costruisco un’ovale, la ‘pallotta’, poi disegno un’occhio che cosi’ mi dà la proporzione, e poi disegno, appena appena accennate, delle pinne. Poi aggiungo la coda, e cosi’ ho la dimensione e la prospettiva. Quindi, mano a mano, viene fuori il disegno del pesce, dopodiché incomincio a dipingerlo.
Tu nasci come artista di tecniche tradizionali; ora digitale. Ho visto che hai una carriera abbastanza lunga con Photoshop. Ci hai lavorato per tanti anni; ci lavori ancora, con Photoshop, immagino.
Mi piace.
Perché?
Perché … è immediato. Ti da’ tante tante possibilità. È molto veloce, a volte. Non hai i tempi di asciugatura dell’olio, ad esempio. Se sbagli, puoi tornare indietro. Puoi andare a modificare. Ad esempio se sbagli con l’acquerello, devi essere veramente bravo per riuscire a correggere l’errore che hai fatto. Veramente, veramente bravo. Almeno per me, è quasi impossibile riuscire a correggere un acquerello, non mi azzardo, non oso. Ho grande ammirazione per le persone che riescono a farlo. Con l’olio puoi correggere; se l’olio è steso e non asciutto puoi fare modifiche. Con Adobe Photoshop non hai i tempi di asciugatura, puoi fare tutto subito. E’ semplicemente un altro mezzo: lo esplori, utilizzi strumenti come le maschere, le curve, puoi affiancare le immagini, confrontare.
È molto veloce trasferire il tuo pensiero a quello che fai. Poi ti ci vuole un secolo (parlo per me) per scoprire gli strumenti più avanzati, scegliere quelli che ti occorrono, armonizzare la composizione, però a iniziare sei molto veloce.
Hai avuto difficoltà a portare la tua esperienza con l’olio e la china, e le tecniche tradizionali che conoscevi, in Photoshop?
All’inizio non è stato facile. Ma ho trovato, molto spesso su Internet, tanti amici che mi hanno aiutata con consigli, commenti, incoraggiamenti, calci affettuosi … tra cui anche Stefano, ‘Azmulgor’. Poi quando ho scoperto l’altro software, Corel Painter, mi si è aperto un mondo ancora piu’ grande e ne sono stata felice: ero entusiasta perché potevo dipingere anche con il computer. Mentre con Photoshop non riuscivo a disegnare veramente, facevo composizioni, fotomontaggi – con Painter ho cominciato a fare ad esempio ritratti di amici (gentilissimi ad essersi prestati al mio gioco-palestra) esattamente come facevo a mano, e da subito mi ha dato un grande senso di libertà.
Disegnando con la tavoletta grafica, naturalmente.
Sì.
Avere la mano, la penna sulla tavola grafica e quindi su un piano, con il disegno sullo schermo anziché sul foglio e quindi su un altro piano, su un diverso punto di vista; è difficile, questo, per un artista? Me lo sono sempre chiesto, da ‘ignorante dell’arte’. Ho sempre pensato che sia molto, molto difficile.
È vero. All’inizio non mi è stato facile. Considera che non l’avevo assolutamente mai usata. Però pian piano, un po’ alla volta, sono riuscita a prendere un po’ dimestichezza con questo strumento e mi sono astratta dalla necessità di percepire il disegno direttamente sul foglio che sta davanti a me. Soprattutto mi affascinava molto, e quindi desideravo farlo: questo è stato un grande incentivo. Sapevo che mi era difficile e sapevo che non era impossibile… mi ci è voluta un po’ di pazienza, sì. So che per altri magari è più immediato.
L’arte per te che cos’e’?
Emozione, qualcosa che c’è sempre: è qualcosa di bello, vivo e positivo. Forse c’è un pizzico di follia… è un’espressione, un percepire, come il respirare. Penso che sia lo stesso per qualsiasi forma d’arte. So che non comprendo molte forme di arte, però cerco d’intuire che cosa può essere, e amo molto cercare di ‘vedere’ ciò che un’altra persona ha cercato di esprimere, e ciò che è stato realizzato. È bellissimo vedere, osservare, immergersi in tanti modi diversi di esprimere questo proprio sentire, questa esigenza. L’arte richiede molto tuo lavoro, cercare di affinare l’uso dei propri strumenti per arrivare a dire quello che effettivamente vuoi dire, e per farlo comprendere. Per riuscire a dirlo tu, in modo tuo, senza copiare un altro.
Copiare.
Copiare, si può; non tantissimo, però: si. È un peccato, copiare. Uhmmm… detto così sembra un non senso, provo a esprimerlo in altro modo.
Penso che il copiare serva ad allenare la mano, l’occhio, l’uso dello strumento, e serva a scoprire cose che non noteresti se non guardassi con una attenzione in più: per copiare ci sono osservazione e ragionamento, a prescindere dal risultato che può essere più o meno simile all’originale. Anche se si copia qualcosa che piace particolarmente, copiando si cerca di restare fedeli all’originale… se no che copia è?
Penso che quando fai qualcosa di tuo, quando inventi qualcosa di tuo, ci metti anche qualcos’altro. È vero che uno copia-quello-che-ricorda… ma è un ricordo fatto di propria intima sensazione fisica, emozione, sentimento, ragionamento, immaginazione, fantasia, contesto, ricordo, aspettativa, sogno, desiderio. Vissuto, esperienza diretta personale. Un mix di vista, odorato, tatto, suono, odore, cuore e cervello propri. E in più penso che nessuno sia un mondo chiuso in sé stesso. In qualche modo ci aggiungerei anche che: ‘fuzzy logica docet‘.
In parallelo a questo ‘copiare’, a mio modesto parere, non bisogna star li’ a tormentarsi, a ossessionarsi con un voler fare, voler arrivare, raggiungere: se vuoi esprimere una cosa, cerca di farlo sempre e comunque al meglio che puoi. In armonia con il tuo te stesso attuale. Oggi otterrai un certo risultato, riuscirai a disegnare una mela facendo semplicemente un tondo; fra sei mesi saprai fare anche le sfumature, è sempre un percorso in divenire che si accompagna con la maturazione della persona. Se ti perdi sull’ossessione di voler raggiungere l’originalità alla fine raggiungi solo la tua ossessione, non sai più quello che stai facendo. Nel mio piccolo penso che occorra mantenere il proprio equilibrio: sai che vuoi fare e fai, cercando di superare e migliorare i tuoi limiti ma senza andare forzatamente oltre le tue proprie forze attuali.
In qualche modo associo a questo pensiero il fatto che siamo esseri con la scadenza, ma in trasformazione.
Quasi 10 anni di Photoshop.
Non facevo solo quello; più che altro lavoravo su Photoshop nei ritagli di tempo, la sera. Adesso mi ci dedico di più perché ho un po’ più tempo, che riservo anche ai colori tradizionali, poiché trovo per me importantissimo non perderli. Ad esempio ‘Giù in strada’, l’immagine per il concorso ‘Urban 2011’ di dotART: ho fatto a mano e poi con le cere tutti i suoi schizzi d’asfalto e la persona, poi l’ho importata con lo scanner e con Photoshop l’ho sistemata, ho aggiunto delle cose, ne ho tolte altre …
C’è una forte discussione, fra fotografi e artisti digitali. Quant’è lecito, secondo te, utilizzare Photoshop e gli strumenti di ritocco digitale?
Penso che la fotografia sia una cosa e la Digital Art un’altra, e penso che siano ambedue forme d’espressione che si avvalgono anche di strumenti digitali. Come in tutte le forme d’arte, sia nella foto artistica che nella Digital Art sono intrise la passione e la sensibilità dell’artista, a prescindere dallo strumento che utilizza.
Considero che ci sono molti ‘modi’ di far fotografia. Un ritocco pesante, che va a stravolgere quello che è lo scatto, lo trasforma; non è più la foto iniziale, non è più quello che hai ‘visto con gli occhi’. Pensa di decidere di fotografare un paesaggio: se poi togli un ponte e ci metti una montagna, quella non è più una fotografia: è divenuta un fotomontaggio. Non hai fatto solo delle correzioni di colore, non hai fatto solo del ritocco e delle lievi variazioni: hai proprio modificato il messaggio che dava lo scatto. Hai realizzato qualcosa di differente. Un amico fotografo, Bua, mi dice che se fotografia è la concretizzazione di una propria visione, se è intesa come il tendere a ciò che l’occhio in combinazione con la mente e la sensibilità ha percepito in quel momento, poco importa quanto lavoro ‘post-scatto-iniziale’ ci sia.
Guardi e studi molto la fotografia, quindi.
Guardo molto le fotografie perché mi piace vedere come sono composte, cerco di entrare nella foto, di capire/sentire perché una persona ha scattato proprio quella foto li’ in quel momento li’. Perché ha scelto quella luce e quella inquadratura: è qualcosa che mi cattura e mi affascina.
Il punto in cui il messaggio viene modificato dal mezzo digitale è quindi il confine che segna la differenza.
Quel ‘punto’ implica ciò che l’autore desidera effettivamente realizzare e il suo attuale modo migliore di rappresentarlo. Parlando di fotografia e fotomontaggio penso che dipenda dall’intervento digitale: se è stata effettuata solo una leggera correzione delle curve o del colore che magari era troppo abbacinante e l’hai sistemato un pochino, è un conto. Se stravolge completamente il messaggio della foto, non è più una foto …. Anzi: non è più ‘quella tipologia di foto’. Mi hai fatto venire in mente le ‘antiche tecniche fotografiche’, http://www.grupponamias.com/ e le opere meravigliose di Mario Stellatelli, in cui percepisci anche il riecheggiare della musica.
Fai fotografie?
No, sono veramente incapace. Figurati che sono riuscita a fotografare il mio dito anziché il paesaggio che avevo di fronte perché per sbaglio ho messo il dito davanti all’obiettivo: sono a livelli bassissimi. Però il mondo ‘fotografico’ mi piace tantissimo e guardo le foto, cerco di capire/percepire.
Inoltre i fotografi ti parlano della composizione, che è un argomento che amo molto. Parlano della costruzione dell’immagine, del posizionamento degli elementi all’interno della foto, dell’uso dei colori. Ti dicono che se scatti una fotografia e metti un oggetto rosso in primo piano, stai mettendo quel piano in risalto; se quello stesso oggetto lo posizioni in fondo, tutto quello che è sul fondo lo porti in primo piano. Chi sa fare fotografia tutte queste cose le sa, ne è cosciente; è importante saperlo ed essere coscienti di ciò che si sta facendo. Se lo sei, hai una possibilità in piu’ di riuscire a esprimerti… senza preoccuparti di elementi tecnici e ritrovarti ad aver messo un dito davanti all’obiettivo. È come se tu avessi piu’ parole nel tuo vocabolario. Nella fotografia, e anche nei quadri, mi piace cercare di guardare ed entrare: di carpire la sensazione, di sentire che musica mi da’ quell’immagine. Sento molto l’elemento musica: ci sono delle foto che te la fanno proprio riecheggiare o immaginare. Forse è solo fantasia ma, nell’associare spontaneamente tutto questo, nell’osservare, si allarga un po’ l’orizzonte.
E che tipo di foto di piace di più?
La foto in bianco e nero e i paesaggi. Mi piace anche il ritratto in primo piano – non in primissimo piano, però. Visto un po’ più da distante.
È bello. Il colore; che cos’è per te?
È tutto. Il colore è la luce, dal colore crei tutto. Ci passi attraverso, ci sei dentro.
Nella foto però mi dicevi di essere attratta dal bianco e nero.
Forse perché è un opposto.
Haiku e immagini.
Amo molto l’ Haiku come tipo di componimento. Uno di Basho, in particolare, mi aveva colpita:
‘Nell’antico stagno salta una rana; il rumore dell’acqua.’
Finisce così, è brevissimo. Leggendolo, per un attimo avevo come sentito il tonfo, il rumore nell’acqua. Mi dissi: ‘Posso provare a farlo!’ Lo sentivo; era una cosa emozionante. E così ho cercato di creare un’immagine usando Photoshop: una ranocchia che salta dentro l’acqua e fa quel rumore. Al di là del risultato mi ci sono impegnata molto, per me è stato un momento importante. Poi ho cercato di studiare quel genere di poesia, di capirlo un po’ – c’è tanto, nelle poesie Haiku . Ad esempio fra due versi c’è come una piccola illusione, un varco, che lascia spazio al lettore per introdursi, per sentire il rumore della ranocchia. Nelle mie immagini cerco allora di lasciare uno spazio a chi le osserva, per entrare dentro, per esser coinvolto.
Desideri trasmettere.
Si. Però il positivo, la gioia dello ‘insieme’ con una certa coscienza del senso di naturalezza e di trasformazione. Naturalezza significa che fa già parte di noi: il limite e la libertà insieme. Qualcosa che fa parte, in ogni istante.
Eppure fra i nostri Sette Peccati volevi parlare dell’ira.
Perché, fra tutti, mi sembra l’unico possibile. L’unico possibile per me da affrontare, nelle mie opere. L’ira è un’esplosione immediata e non è sempre negativa. Hai una reazione, che controlli solo fino a un certo punto, che si relaziona sia alle debolezze sia alle potenzialità.
L’Ira è una cosa che guarda in avanti, non sta li’ ferma, immobile, rassegnata, uccisa. È come un fotogramma della mente. Qualcosa che è insieme attivo e di reazione: un’istante. Pur nel caos, ha una direzione. E questo provo a rappresentarlo, ad esempio in ‘Miedos’ : quando l’ho realizzato ero molto combattuta. In essa c’era la paura e il desiderio di superarla.
Arrabbiandosi, nel mio sentire, si prova anche timore e paura di ferire: quando ti arrabbi non è che tu voglia uccidere l’altra persona… o l’Ombra nei tuoi sogni: esprimi il motivo del tuo tormento, ecco. Un tormento che non vorresti sentire e infine lo butti fuori… alla luce, fuori dall’ombra. Lo esprimi e allenti la tensione accumulata: è un modo per districarlo. Mi arrabbio moltissimo quando vedo che si lasciano morire le cose per disinteresse, per incuria, perché qualcuno butta fumo negli occhi degli altri. O per le ingiustizie.
E come fai, a trasformare l’ira in qualcosa di positivo?
La positività è nel fatto che tu hai qualcosa dentro di te e lo tiri fuori, butti fuori un’energia che hai dentro di te, un tuo sentimento che fino ad allora non riesci in altro modo a riconoscere. Che non riesci in altro modo a combattere in esterno. E’ qualcosa che ha un eco nel tuo interno, qualcosa che di sicuro non ti è indifferente altrimenti non reagiresti in quel modo, non saresti cosi’ coinvolto da arrabbiarti. Superi un piccolo blocco, quindi, e cresci un pochino.
Non si può vivere sempre ai lati di ciò che ‘angustia’, è assurdo, e quindi l’ira può essere una risorsa. Sempre che non vada a offendere nessuno, insomma, perché ci sarebbe il rischio che si danneggi o colpiscano gli altri. Spesso, anche nei sogni notturni, combattiamo con la nostra Ombra, un lato un po’ selvatico. Incontrare il simbolo dell’ombra è anche accettare gli aspetti negativi e positivi, in una dialettica costante a volte fatta anche di battaglie… ma vogliamo far pace e per fortuna, e per gioia, possiamo proseguire il cammino insieme.
Silvia e la musica.
La musica pensa l’avevo perduta, quando era morto papà, e poi per tantissimi anni non l’ho piu’ ascoltata: era diventata un rumore di sottofondo nel mio mondo. Poi, un amico, ha ritrovato per caso una canzone che mi piaceva da matti, di Sarasate, Zigeunerweisen . Pur essendo passati molti anni dall’ultima volta che la avevo ascoltata ho riconosciuto subito tutti i passaggi, mi sono anche stupita di questo, è stata come una bomba, ho cominciato da li’ a chiedere: ‘consigliami una musica, consigliami una musica’ e ho riempito la casa di cd. E’ come avere un pennello in più. Dev’essere la musica giusta, in accordo con il tuo sentire, col tuo stato d’animo, con la tua emozione. Adesso a parole è difficile, però il senso è quello.
C’è una frase che mi è cara e che amo aver sempre con me, è un pensiero fantastico di Wassily Kandinsky: ‘Mi sembrava che l’anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale, quando l’inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita’.
Di te stessa, che cosa diresti?
Ciao, sono Silvia!
Ridiamo assieme.
Non lo so. Non è mai facile. ‘Sono Silvia, mi piace pasticciare coi colori, ecco!’
I prossimi passi?
Voglio continuare a dipingere, a cercare sempre di fare al meglio che posso. Come accade a ognuno vedo dei difetti nelle cose che ho realizzate e vorrei riuscire a migliorarle, a esprimerle meglio. I prossimi passi sono: continuare.
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